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 2019  gennaio 25 Venerdì calendario

Biografia di Daniele Luttazzi

Daniele Luttazzi (Daniele Fabbri), nato a Santarcangelo di Romagna (Rimini) il 26 gennaio 1961 (58 anni). Comico. Conduttore. Scrittore. Musicista. «Sono solo un individuo profondamente disturbato. Come faccio a vivere con me stesso? Non è facile» • «Presi il cognome da Lelio Luttazzi: così tutti mi chiedevano se ero suo figlio e si ricordavano di me» • Figlio di due maestri elementari. «Da piccolo ero una specie di juke-box ambulante. Mio nonno mi portava quando giocava con i suoi amici, e in cambio di una caramella mi chiedevano le canzoni. Io mi esibivo volentieri: le sapevo tutte a memoria. Il mio gusto per lo spettacolo viene da lì» (a Cristina Caccia). «Lo scoutismo è educazione alla libertà: per questo ricordo con affetto il mio periodo scout. “Cerca di lasciare il mondo migliore di come l’hai trovato” è il grande insegnamento di Baden-Powell. Impari ad assumerti le tue responsabilità. Sono stato prima esploratore, poi rover-redattore nelle riviste dell’associazione (Giochiamo, il mensile dei lupetti/coccinelle, per il quale disegnavo le illustrazioni e la pagina a fumetti con le “Avventure dei pezzati”, e Camminiamo insieme, il mensile dei rover/scolte, per il quale commentavo con vignette comiche gli articoli). Frequentai in proposito un corso di giornalismo presso la sede Agesci di Roma. Fra gli insegnanti c’erano Piero Badaloni e Mario Maffucci. Da rover, nei campeggi estivi che organizzavo con altri capi scout, avevo l’incarico di maestro di espressione. Insegnavo ai ragazzi le tecniche di scena e organizzavo l’intrattenimento per i fuochi da campo serali. E così, per almeno due anni, gli scout di Santarcangelo durante i campeggi hanno assistito a sketch comici interpretati da Daniele Luttazzi e da un giovanissimo Fabio De Luigi! […] Il mio gusto di scatenare la risata risale ad allora. […] Una sera, per una parodia del telegiornale, inventai la battuta d’apertura “Questo telegiornale andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali”. Dieci anni dopo, divenne un tormentone nazionale in bocca al mio personaggio Panfilo Maria, a Mai dire Gol. Chi l’avrebbe mai detto…». «La mia prima censura risale ai tempi degli scout. Scrivevo le storie dei "Lupetti pezzati": cadevano nell’acqua inquinata di un fiume e succedevano strane cose. L’hanno fatto finire sul più bello». «A Santarcangelo di Romagna, dove sono nato, in una famiglia animata da un attivo cattolicesimo, esisteva il collateralismo. Dalla parrocchia, per chi voleva fare politica, la destinazione naturale era la Dc. A Sant’Ermete, una frazione nei pressi del mio paese, c’era da anni una fogna a cielo aperto. Odori nauseabondi, lentezze intollerabili per sanare il problema. Mi interessai alla causa, fui il primo degli eletti. Dopo due anni, fatta chiudere la fogna, me ne andai» (a Malcom Pagani). «Eletto nelle liste Dc, consigliere comunale a Sant’Arcangelo per anni, collaboratore satirico del settimanale della curia di Rimini “Il ponte”, studente in Medicina a Modena: chi mai, da un ragazzo così, si sarebbe aspettato lo scandaloso personaggio che spacca l’Italia in due?» (Ranieri Polese). «L’artista ha un curriculum che inizia a 14 anni con la targa d’argento Unesco per il cortometraggio animato Flic sulla Luna. Dopo il liceo classico, si laurea in Medicina con una tesi sulla eziopatogenesi autoimmunitaria della gastrite atrofica. Nel frattempo collabora a Tango come vignettista» (Gian Piero Moretti). «Ha lasciato un futuro da dottore per fare il comico? “In realtà ha deciso per me il servizio sanitario nazionale. Io volevo fare il ricercatore, ero anche bravino. Sono stato due anni al Policlinico dopo la laurea, poi ho visto un ragazzo che era lì da dieci anni, a lavorare gratuitamente anche lui, e mi sono chiesto: questo è il mio futuro? Ho lasciato perdere. Collaboravo già a Tango, mi sono iscritto a un concorso per comici, ho vinto La Zanzara d’Oro, poi sono andato a Roma, a Riso in Italy, dove mi hanno notato Arbore e Porcelli, che mi hanno voluto a Doc» (Caccia). «Poi mi presero a Fate il vostro gioco, a Raidue. Durante le prove feci questa battuta: “Messa a punto una nuova tortura per i pedofili, che comporta l’iscrizione al Partito socialista”. Scese giù il regista, e mi disse che per quel giorno non dovevo fare niente: solo stare seduto accanto a Lella Costa e guardarla. Mi pagarono per quello. Per tredici puntate non dissi una parola, e non tornai in tv per tre anni» (a Stefano Pistolini). «Per il programma Banane (su Telemontecarlo nel ’90) il cabarettista fa una perfida parodia di Gigi Marzullo che intervista Hitler, Gesù e la Morte. Anche in questo caso viene “tagliato”. Dopo programmi radiofonici e monologhi teatrali, il suo volumetto 101 cose da evitare a un funerale diventa un best-seller. Poi il rientro in televisione, nel programma cult di Raitre Magazine 3 con “Sesso con Luttazzi”, “La piccola biblioteca” e “La cartolina di Luttazzi”. “Tabloid”, il telegiornale in forma ridotta che tutela le capacità mentali degli ascoltatori, nel programma Mai dire Gol, lo consacra al successo di pubblico» (Moretti). «Eccolo nella squadra di Mai dire Gol su Italia 1, nei panni di Panfilo Maria Lippi, del professor Fontecedro e dell’annunciatrice Luisella. Preventivamente, l’Avvenire, aveva avvertito: basta con le scorribande sacrileghe e con il sesso. “Ma non fu così”, dice Carlo Taranto, uno dei tre della Gialappa’s Band. “Le battute sul viaggio del Papa a Cuba o sulla vera storia di Gesù nei finti tg di Panfilo Maria, me le ricordo bene. Del resto, noi volevamo Luttazzi, non una sua versione edulcorata. Quello vero, che a Magazine 3 si faceva tartine di mestruo o di sperma”» (Polese). «Nel ’98, sempre su Italia 1, esordisce alla conduzione di Barracuda, talk show notturno sullo stile di quello lanciato negli Usa da Steve Allen negli anni Cinquanta e ripreso poi da David Letterman e Jay Leno: censurato già alla prima intervista (la produzione taglia il passaggio in cui Claudio Martelli dice “Berlusconi non è un politico: è un piazzista”), il comico torna in Rai al termine del contratto. I passaggi censurati faranno poi parte del libro che porta lo stesso titolo della trasmissione. Protagonista di spot Telecom particolarmente fortunati, Luttazzi ripropone per 12 settimane, tra gennaio e marzo del 2001, su Raidue, il format del talk show nel programma Satyricon» (Stefano Biolchini). «“Satyricon fu uno spartiacque. La mia intervista a Marco Travaglio fu un asteroide a ciel sereno. Dissero che era un complotto della sinistra: nulla di tutto questo. Semplicemente, a volte negli imperi al crepuscolo si creano smagliature alla periferia. Mi infilai in una di queste grazie al libero genio di Freccero”. Prima di ospitare Travaglio si era già fatto notare. “Alla prima puntata titoli, scandalo, riprovazione. ‘Vergogna, Luttazzi annusa le mutandine’. Dico: calma, questo è solo l’inizio. Contri, consigliere d’amministrazione Rai, tuona: ‘A che livello siamo caduti. Gli resta solo la coprofagia’. Argomento perfetto, penso. Mangerò la merda che mi state tirando addosso. Poi l’intervista su L’odore dei soldi, il libro di Travaglio e Veltri sulle origini misteriose delle fortune di Berlusconi. Nello studio la tensione crebbe a livelli incredibili. Cade una scenografia e per istinto dico ‘Abbiamo sventato un attentato’, e il pubblico esplode in una risata liberatoria. A trasmissione finita, vado a casa. La mattina mi telefona Dario Fo. Mi dice: ‘Complimenti, ma ti capiterà questo, questo, questo e questo’. E questo, questo, questo e questo successero”. Aveva ragione. Solo di querele le chiesero 160 miliardi di vecchie lire. […] “Il giorno dopo D’Alema disse: ‘Satirycon è un boomerang per la sinistra’. Mi si squarciò un velo. In Italia il potere è diviso in clan di destra, di sinistra, religiosi, eccetera, ciascuno con i suoi sotto-clan. Quello che non puoi immaginare venendo dalla provincia è che a volte un sotto-clan di destra si allea con un sotto-clan di sinistra: tu fai una battuta, e la coltellata ti arriva alle spalle”» (Pagani). Passò alla cronaca come «editto bulgaro» la dichiarazione che Berlusconi pronunciò un anno dopo, il 18 aprile 2002, durante una conferenza stampa in occasione di una visita ufficiale a Sofia: «L’uso che Biagi, Santoro, Luttazzi hanno fatto della televisione pubblica pagata coi soldi di tutti è un uso criminoso, e io credo che sia un preciso dovere da parte della nuova dirigenza di non permettere più che questo avvenga». I tre, sebbene in modi diversi, uscirono effettivamente dai palinsesti Rai; mentre, però, sia Santoro sia Biagi vi fecero in seguito ritorno, Luttazzi – dapprima per un effettivo ostracismo nei suoi confronti, poi per le sue pretese di assoluta autonomia e libertà d’espressione – non ebbe più alcun programma sulla televisione pubblica. «Oh, proposte ne ho avute, dato che i miei picchi d’ascolto tv fanno gola; ma tutte si arenano al momento del contratto. Offro ogni manleva legale, eppure le tv vogliono poter tagliare quello che giudicano scorretto. La satira, però, è libera, o non è. Fin che posso, tengo il punto. Difendo il mio diritto, e quello del popolaccio italiano, al libero pensiero, anche se, a quanto pare, il popolaccio italiano non ci tiene molto, al suo libero pensiero. Rifiuto inoltre le proposte che finirebbero per rendermi complice del contesto dominante. “No” alla presentazione della prima edizione del Grande Fratello (poi accettò la Bignardi). “No” alla rubrica sul Foglio di Giuliano Ferrara. “No” alla presentazione del Festival di Sanremo con Baudo e la Hunziker. Considero i miei “no” altrettanti atti satirici. Sono però sempre in agguato: non appena si apre una breccia, mi ci infilo». Dopo alcuni anni trascorsi a esibirsi nei teatri (tra i suoi spettacoli, Satyricon, Adenoidi 2003, Bollito misto con mostarda, Come uccidere causando inutili sofferenze, Barracuda 2007), tornò infatti sul piccolo schermo, su La7, con Decameron, «varietà satirico in cui “si parla di politica, sesso, religione e morte”. Il direttore di La7 Antonio Campo dall’Orto […] dopo la quarta puntata […] sospende il programma. Motivazione ufficiale una battuta su Giuliano Ferrara, ma molto probabilmente la vera pietra dello scandalo è il monologo sull’enciclica papale Spe Salvi registrato da Luttazzi per la puntata successiva, mai andata in onda» (Nanni Delbecchi). «Per chi ama Daniele Luttazzi – la sua acutezza, la sua intelligenza, il suo senso critico –, il ritorno in tv è stato una mezza delusione, anzi una delusione totale. Non è suo mestiere impancarsi a tribuno della plebe, non è suo compito fare comizi. E Decameron è stato un lungo sfogo, una scarica di contumelie contro tutto e contro tutti» (Aldo Grasso). «L’ultima sua “apparizione” in pubblico risale al 2010, nel corso della trasmissione di Michele Santoro Raiperunanotte. In quella occasione, Luttazzi mette in scena una gag favolosa, nella quale descrive dettagliatamente un atto di sodomia ai danni dell’opinione pubblica italiana totalmente manipolata e narcotizzata» (Luigi Manconi). «Successo autentico, capolavoro di satira (quella vera). […] La querelle-plagio è scattata con precisione chirurgica. Poco dopo la rinascita a Raiperunanotte. Forse orchestrata da rivali, da addetti ai lavori pronti con il colpo in canna. Giubilanti all’idea di infierire sulle ferite di un competitor più libero: più bravo, più insopportabile. “Luttazzi copia”: garantivano i filmati su YouTube. Spiazzanti, deludenti. Inequivocabili. Molte battute erano state mutuate, con variazioni minime, dai repertori degli stand-up comedian americani. Daniele poteva – doveva – difendersi ammettendo gli errori. Riconoscendo che, sin dai primi anni di carriera, nei mesi di vacanza a New York si nutriva un po’ troppo disinvoltamente dei satirici americani. Sarebbe bastato dire: “Scusate, ho sbagliato, perdonatemi”. Avrebbero capito. I fans, esigentissimi (perché lui li ha cresciuti così). La critica. Gli amici. Invece si è arrampicato sugli specchi. Le citazioni, le “cacce al tesoro”, i “ruoli attanziali”. Il blog chiuso, i filmati oscurati invano. L’uomo che ironizzava sulle scopiazzature di Bonolis, che infieriva sui comici che sbirciavano dal suo repertorio, a sua volta saccheggiava. Sentenza: condanna all’oblio» (Andrea Scanzi). Da allora, non è più apparso né in televisione né nei teatri. «Ho deciso di non fare teatro finché non potrò tornare in tv. La censura, eseguita nell’ombra, va portata alla luce: è il senso politico della mia assenza dalle scene, che nessun giornalista ha ancora raccontato». «Per una sorta di contrappasso brutale, Luttazzi pare diventato come il Berlusconi di Montanelli, così bravo nell’esser bugiardo da credere ormai alle proprie bugie. […] Se oggi Luttazzi è uno degli artisti più in difficoltà di Italia, e se ogni volta che lo citi nove persone su dieci rispondono (ingiustamente) “ah sì, quello che copiava”, non è (solo) colpa di censura, potere e media: è anche colpa di alcuni suoi errori. […] Ora, anche se mai lo ammetterà, Daniele ha paura che quel pubblico non ci sia più. Anzi: ne ha terrore. Non è solo censura: sta zitto per paura. Per rancore. Per senso di colpa» (Scanzi). Nel gennaio 2019, Carlo Freccero, nuovamente divenuto direttore di Rai Due come ai tempi di Satyricon, ha annunciato la sua intenzione di riportare Luttazzi in Rai: «È finita l’epoca di Berlusconi e quella di Renzi: ci mancherebbe che si proibisse la satira. Mi sembra essenziale che Luttazzi torni in Rai, ma se sarà non succederà prima dell’autunno. Non posso lasciare la sua satira feroce nella nebbia del potere del politicamente corretto». «Ma intanto la tv è cambiata, in peggio. Ciò che era normale, in un naturale inseguimento fra satira e censura, negli anni ’80 con Fo, Rame e Grillo, nei ’90 con i fratelli Guzzanti, Dandini, Reggiani, Leone, Loche, Paolo Rossi, Chiambretti, Hendel, Luttazzi e tanti altri, oggi è impensabile. Resiste Crozza, scivolato però dalla Rai a La7 al Nove, e poco altro (come il lieto remake della Tv delle ragazze). […] Non siamo più abituati all’idea. Se Luttazzi tornasse in Rai, se non solo Freccero e Salini ma anche i partiti giallo-verdi (bersagli designati delle sue nuove stilettate) gli dessero carta bianca, che pubblico troverebbe? O meglio: troverebbe un pubblico?» (Marco Travaglio) • Numerosi libri all’attivo. «Nel ’95 scoppiò il putiferio per Va’ dove ti porta il clito, parodia del best-seller di Susanna Tamaro. Che chiese il sequestro del libro, senza ottenerlo perché il giudice, sentita una eletta schiera di esperti (fra cui Maria Corti), riconobbe il “diritto di parodia”» (Polese). Tra gli ultimi, i romanzi parodistici Lolito (2013) e Bloom Porno-Teo-Kolossal (2015), entrambi usciti in allegato a Il Fatto Quotidiano (Lolito fu poi anche pubblicato da Chiarelettere, sempre nel 2013). «Lolito non è solo un volume su Berlusconi, ma un romanzo sul berlusconismo e sul Paese che l’ha sostenuto. Beba, la Lolita minorenne di Lolito, è l’Italia. A poco a poco, nella narrazione si insinuano elementi grotteschi che creano orrore. […] Il delitto di Berlusconi è l’estetizzazione del reato, e anche Lolito, come tutto il resto, si può leggere in molti modi. Ci sono tre livelli di lettura. Primo livello: il libro è una satira del berlusconismo e del rapporto tra Berlusconi e l’Italia attraverso la parodia della Lolita di Nabokov. Il secondo: il libro è una parodia di tutti i libri di Nabokov. Il terzo: il vero libro è il commento in appendice che spiega le tecniche dell’intertestualità moderna, di cui il romanzo non è che un lussuoso esempio. Come in un videogame, si passa da un livello a quello successivo, da un divertimento a quello successivo in base alla propria abilità». «Bloom Porno-Teo-Kolossal è una Odissea scritta con la penna di Joyce e, viceversa, un Ulisse come lo avrebbe scritto, o dettato, Omero. […] “Bloom PTK […] è il secondo di una trilogia satirica il cui bersaglio extraletterario è il popolaccio italiano, che si merita tutto il male che gli capita, poiché considera indice di massima furbizia l’essere complice del potere che lo vessa, e vivere all’accatto di prebende più o meno fortunose. […] Un popolaccio che ha come abdicato alle proprie responsabilità civili e morali, preferendo restare maleducato, diseducato, illetterato. Gonzo perenne dell’imbonitore di turno. […] Un’ideologia dominante si esprime in un linguaggio, e può essere corrosa solo con un linguaggio altro”» (Daniela Ranieri) • Due album musicali pubblicati: Money for dope (2005) e School is boring (2007). «Daniele Luttazzi era un artista di rottura anche quando, nel 1978, cantava nel gruppo new wave Ze Endoten Control’s. “Avevo creato la ‘musica neoplastica’. Una serie di loop sonori, derivati da vecchi dischi di liscio deformati col calore”. […] Lei è un comico pubblico, mentre i suoi dischi sono molto privati. “Vero, nella mia carriera i due piani sono ben distinti. Con la satira emerge un lato del mio carattere, con la musica un altro. Convivono, ma sul palco non potrei mescolarli. Poteva farlo Gaber, ma la satira è altro. Non amo i comici che buttano là una canzone come un sorbetto”» (Scanzi) • «L’unico nemico della satira è il potere, di cui i bersagli non sono che incarnazioni. Ieri si faceva satira su politica, sesso, religione e morte; e oggi pure. Il problema ce l’ha solo chi strumentalizza la satira a fini partitici, cioè di propaganda; ma non c’entra con la scomparsa della satira dalla tv italiana. […] La satira è sempre politica, ma non è più satira quando diventa propaganda partitica. La differenza è che la satira è arte, e lascia l’uditorio libero di decidere sul da farsi, mentre la propaganda partitica è marketing del potere, e ti dice per chi votare. Se fondi un partito, sei encomiabile: ma da quel momento non riuscirai più a fare satira. Non perché lo dico io, ma perché satira e propaganda partitica sono inconciliabili. […] Mi fermai, chiudendo il blog nel 2006, proprio perché vedevo la deriva del pubblico che cercava nel satirico un leader senza macchia. Mi fermai per non implementare un circuito perverso di cui vedevo tutti i pericoli. Invitai anche Grillo a chiudere il suo blog, ma non lo fece: abbiamo capito perché». «Il mio punto di riferimento è Lenny Bruce. Diceva: “Io faccio parte della corruzione che metto alla berlina.” Un atteggiamento molto più sano» • «Quello capitalistico è un modello insostenibile. […] La decrescita è una necessità. A poco a poco, diventerà un sapere di tutti» (a Federico Zamboni) • «A Mai dire Gol, su 80 battute settimanali me ne venivano approvate 8: quelle divertenti, sì, ma non troppo abrasive. […] Dopo una mia battuta (“Priebke condannato all’ergastolo. Si vede che non ha fatto in tempo a iscriversi a Forza Italia”), ci furono interrogazioni parlamentari e strigliate varie. Risultato: alle riunioni del lunedì mattina cominciò a partecipare anche il produttore Mediaset di quel programma. Si sinceravano in anticipo». Con la squadra della Gialappa’s non finì bene. Raccontò Giorgio Gherarducci: «La sera prima avevamo registrato l’ultima puntata. Tutti i protagonisti dovevano entrare in scena e scazzottarsi. Luttazzi, all’ultimo momento, lasciò in camerino la parrucca di Panfilo Maria Lippi – il suo personaggio – e scappò. In maniera abbastanza vile. Il giorno dopo, a pranzo, c’eravamo tutti. Anche i tecnici. Quando si trattò di pagare, ci mettemmo d’accordo e gli dicemmo: ‘Ora paghi tu’. Non aveva mai pagato una lira in vita sua, credo sia la persona più tirchia del mondo. Era il minimo. Ci rimase male, e disse: “State scherzando, vero?”. A quel punto io sbottai: “‘Scherziamo’ un cazzo: tu adesso paghi!”. E ce ne andammo. Lo rifarei anche adesso» • «A me interessano questi argomenti: il sesso, la morte, la tecnologia, la religione. E mi sono accorto che occuparsi di questi temi già di per sé crea irritazione negli altri. Ma non mi importa». «Ho un mio mondo perverso ed esprimo anche quello. La moralità di un comico è fare battute che fanno ridere lui per primo. Io rido alle mie battute, anche se spesso non sono d’accordo con quello che dico. Non bisogna essere ideologici. Nella risata c’è sempre verità». Non bisogna fare “satira politica”: bisogna fare satira politicamente. La satira ha impatto solo se agisce come se lo schema concettuale comune fosse già sovvertito. È questo che dà fastidio al blocco d’ordine perbenista, a creare scandalo. La comicità che non sovverte schemi concettuali, cioè ideologie e pregiudizi, è, appunto, mera decorazione» (a Mattia Coletti) • «Sadico, coprofilo, maniaco per vocazione; estremista per uno scherzo del destino» (Edmondo Berselli). «Una lunga carriera da censurato. Come se i guai, Daniele Luttazzi, se li andasse a cercare. […] Usare gli escrementi per far ridere, come ha fatto riferendosi a Giuliano Ferrara, è una vecchia tecnica di comicità basale, nota ai latini, agli antichi greci e ai bambini. Però lui non faceva ridere, e se la prendeva con quelli che dicevano che non faceva ridere. Faceva riflettere, magari. […] Ma la risata è un’altra cosa» (Alessandra Comazzi). «Luttazzi, nella ferocia, ci ha sempre sguazzato. Genio schizoide, trasversale, polivalente. Colto, esigente, contorto. Sensibile. La musica, la comicità, la saggistica (le critiche a Beppe Grillo restano argutissime). Talento col culto dell’ultima parola, sessuologo con la fregola di dimostrare di averlo sempre più lungo degli altri: “Io sono più satirico, io sono più intelligente, io sono più bravo”. In tanti lo aspettavano al varco. […] Non piaceva a nessuno (ma al pubblico sì). Il suo tonfo ha reso felici quasi tutti» (Scanzi) • Dopo l’esplosione dello scandalo, nel 2010, disse a Ferruccio Sansa (Il Fatto Quotidiano): «Nessuna battuta di quelle che cito è plagio, sia perché invito a scoprirle (non è plagio se è dichiarato, è un gioco intellettuale), sia perché si tratta di calchi o di riscritture con variazioni e aggiunte, procedimenti legittimi. […] L’arte del comico». Nel 2001, però, intervistato da Silvia Fumarola (la Repubblica), aveva illustrato così il proprio metodo di lavoro: «Leggo tutti i giornali del mondo. Prendo appunti e scrivo le battute. Faccio una scrematura iniziale, alla fine una ventina vanno bene e le tengo. Poi ne restano otto, nove. C’è metodo nella comicità. Tutto nasce dalla mia reazione alla realtà quotidiana» • «Ho sempre ritenuto Luttazzi uno dei pochi comici intelligenti della nostra tv. Fin dai tempi di Magazine 3, il programma con Gloria De Antoni e Oreste De Fornari, si sapeva che il nostro andava “contenuto”, che spesso amava épater lo spettatore con un frasario pesantemente ginecologico. Così con i Gialappa’s, il suo periodo migliore. Lui esagerava con il macabro, loro limavano e la risata era sicura, e devastante. Poi c’è stato l’episodio di Satyricon, dove Luttazzi ha pensato bene di darsi alla politica, che non è nelle sue corde. Il resto, l’hanno fatto l’esilio, la schiera delle tricoteuses che affolla i teatri, i Santoro e tanti altri» (Grasso).