il Giornale, 25 gennaio 2019
Viaggio nell’America dello shutdown
Atterro a Miami e l’aereo resta bloccato in pista per due ore insieme ad altri velivoli sperduti, perché il personale addetto alla sicurezza è dimezzato. E persino le spie sono in crisi perché gli informatori dell’Fbi sono in genere loschi individui a libro paga, come le fonti della Cia che formalmente non opera sul territorio patrio, ma i suoi funzionari fanno la spesa al supermercato. Niente informatori, niente informazioni, l’intelligence boccheggia. I grandi media di sinistra, la Cnn e il New York Times, vanno a nozze con questa situazione critica perché è facile darne l’intera colpa a Donald Trump e alla sua fissazione per il muro di frontiera col Messico. Il criterio politico è elementare: tutto ciò che danneggia Trump va a vantaggio dei Democrats, esattamente come accadeva in Italia ai tempi di Berlusconi. Tutto nasce, come sappiano, dalla richiesta di cinque miliardi di dollari per costruire (...)
(...) una barriera fisica con cui separare Stati Uniti e il Messico: un muro che in larga parte già esiste grazie a Obama che non ha trovato ostacoli nei giornali dei sinistra e, prima di lui, con Bill Clinton.
Gli Stati Uniti nacquero alla fine del Settecento come prima repubblica democratica del pianeta. Uno scandalo internazionale per quei tempi, prima della Rivoluzione francese. Per mitigare la diffidenza fra le teste coronate del mondo, i padri fondatori vollero una costituzione da monarchia parlamentare con un Re presidente a scadenza quadriennale, capace di prendere decisioni quasi sovrane, ma che per finanziare le sue imprese, guerre o muri, è costretto a bussare alla porta del Congresso, come fa del resto simbolicamente ogni anno la Regina inglese. Un Congresso ostile al re, come è adesso la House o camera bassa, chiude la borsa per ripicca politica e il re per contro-ripicca chiude i fondi destinati alla cosa pubblica, determinando lo shutdown. Le televisioni e i giornali liberal (cioè di sinistra) vanno a caccia di tristi storie causate da «re Donald» mettendo sotto i riflettori i poveri statali che vanno incontro alla eviction, cioè allo sfratto esecutivo con polizia sul pianerottolo e stoviglie sul marciapiede. Oppure diffondono la tristissima storia dell’impiegata nera malata oncologica che deve scegliere fra pagare le rate del mutuo o la chemioterapia per tenersi in vita. In compenso, lo shutdown funziona anche come albero della cuccagna come è accaduto quando, per una catena di paradossi amministrativi, sono state distribuite gratis tonnellate di Mac-and-cheese (pastasciutta precotta nel formaggio filante, passione di adolescenti e obesi).
Cominciano a scarseggiare i fondi destinati ad affrontare i casi di violenza domestica e persino per scorte di iniezioni letali dove la polizia carceraria deve stringere la cinta insieme ai detenuti. Gli Stati Uniti sono il Paese più punitivo del mondo: ha la percentuale più alta di cittadini in carcere grazie a un sistema flessibile nella trattativa sulle condanne, ma intransigente fino all’ossessione per un divieto di sosta. Tutta l’impalcatura della difficile legalità per motivi sociali, razziali e criminali, è affidata a funzionari e agenti di ogni rango e ruolo, federali, statali, di contea, con tutto il law enforcement che va dal vigile urbano all’agente federale e al cacciatore di evasori fiscali nell’inconfondibile suit, il completo grigio con cravatta grigia e camicia bianca. Tutto il sistema dell’ordine pubblico americano è fondato nella retribution (punizione in nome della legge) e oggi quel sistema scricchiola. La gente passa dalla depressione allo sconcerto, alla furia perché l’America è il Paese in cui i protocolli sono rispettati ossessivamente. E i sacerdoti dei protocolli sono gli uffici dello Stato. Ora la polizia non ha più la consueta larghezza di mezzi, anche se non tutti gli statali sono stati messi in congedo. Coloro che sono stati lasciati senza stipendio spesso lavorano per patriottismo e non è chiaro se i volontari riceveranno gli arretrati.
Nel sistema militare intanto, generali e ammiragli della più potente forza armata della terra sono di pessimo umore perché la manutenzione langue. E il loro malumore si riflette sui sondaggi secondo cui Donald Trump ha perso in poche settimane otto punti, a vantaggio di chi ha «tirato fuori le palle» e cioè la presidente del Congresso Nancy Pelosi, la nemica numero uno della Casa Bianca alla quale Trump ha tolto l’aereo di Stato. E lei per rappresaglia gli ha tolto il passi d’ingresso in Parlamento. I diplomatici e le ambasciate americane all’estero sono anche loro in sofferenza e cancellano gli impegni più costosi determinata da una situazione caotica che dura da due mesi, battendo ogni precedente record: il governo ha già «chiuso» altre volte, ma mai così a lungo. Per ora non si vede la fine del tunnel perché nessuno dei due contendenti – il Re repubblicano e il Parlamento – può permettersi di perdere la faccia. Gli americani si sentono di colpo più europei, soggetti ai capricci di uno sciopero generale, anche se lo shutdown non è uno sciopero. L’American dream è in questa fase ai suoi minimi, visto che anche Wall Street e le grandi compagnie informatiche sentono il polso di una crescente insicurezza.