il Giornale, 24 gennaio 2019
La crescita record dei polli
Quella dei polli è un’industria «sporca», ma anche «profittevole» scrive l’Economist. E dato che l’Economist traccia sempre delle tendenze e apre nuovi dibattiti, come la domanda che aveva lanciato nel 2014 «i robot ci ruberanno il lavoro?» – è bene andare ad approfondire. Nell’articolo «Come i polli sono diventati la carne più diffusa nei paesi più ricchi», parla di una fabbrica per la produzione di carne di pollo del Colchester, nel sud est dell’Inghilterra. Qui i polli vivono tra escrementi e stipati in batterie. Ma questo lo sapevamo già. CIWF Italia segnala che 500 milioni di polli sono allevati ogni anno in Italia e il 95 per cento proviene da allevamenti intensivi. Per garantire prezzi bassi, i polli vengono stipati in «edifici bui e spogli». Muoiono prima rispetto a 30 anni fa e poi finiscono sui nostri piatti. Gli animali degli allevamenti intensivi, secondo la CIWF Italia, vivono in una superficie inferiore a un foglio A4 per animale, con zampe deformate e cuore indebolito. Tra i paesi dell’Oecd, secondo l’Economist il consumo di cane di manzo e maiale è rimasto invariato dal 1990. Quello di carni bianche nei paesi ricchi, invece, sta crescendo a ritmi allarmanti: un bel +70 per cento. Insomma, gli esseri umani mangiano talmente tanto pollo che l’industria si deve adeguare. Secondo Pirgs US, un gruppo di ricerca di pubblico interesse americano e canadese, in uno studio intitolato «quanto è sicuro il nostro cibo», si focalizza sulla diffusione della salmonella in America e dice anche che i richiami di carne e pollame contaminati sono aumentati dell’83 per cento. Secondo il rapporto Pirgs US, i cibi pericolosi sono un problema nell’industria alimentare americana: i richiami del dipartimento dell’agricoltura Usa per le carni di pollame americana sono cresciuti drammaticamente dal 2013. I polli, poi, sono sempre più grossi. A dirlo, uno studio di Martin Zuidhof dell’Università di Alberta. Sono stati analizzati i pesi di polli vivi nel 1957, nel 1978 e nel 2005. Se nel 1957 i polli di 57 giorni pesavano in media 0,9 kg, nel 1978 erano arrivati a 1,8 kg e nel 2005 a 4,3 kg. E chiaramente, con l’aumento del peso dei polli, l’industria è diventata più efficiente: nutrire un solo grande pollo è più conveniente che nutrirne due piccoli. Infatti, secondo lo studio, con 1,3 kg di grano si produce 1 kg di pollo. Chiaramente, si è molto distanti dai 2,5 kg di mangime per kg di pollo del 1985. E, poi, c’è un’altra notizia recentissima diffusa questo gennaio dalla associazione brasiliana delle proteine animali (Abpa): le esportazioni brasiliane di carne di pollo, nel 2018, hanno raggiunto 4,1 tonnellate. In Brasile, il settore è in crescita: sono state spedite 377,3 mila tonnellate medie mensili nel secondo semestre dello scorso anno; un risultato che ha ridotto le perdite del primo semestre 2018. Il direttore di Abpa ha attribuito l’aumento alla crescente domanda cinese. In questi giorni, Amadori è stata sanzionata da Agcom per pubblicità ingannevole: enfatizzava «l’impegno per garantire le migliori condizioni di benessere dell’animale in ogni fase della filiera». La nostra dieta sembra distante dalle abitudini alimentari americane e cinesi, però anche in Italia il consumo di carne di pollo è in aumento. L’indagine Ipsos del 2018, presentata a Unaitalia su dati del 2017, dice che per il 54 per cento degli italiani, pollo e tacchino sono diventate la principale fonte di proteine. Comprare polli bio? Seguire la dieta per «salvare il pianeta» diffusa dal Word Economic Forum? Potrebbero essere due valide alternative.