Il Messaggero, 24 gennaio 2019
La pubblicità dei libri, da Gutenberg ai social
Da quel 23 febbraio 1455 in cui Johannes Gutenberg produsse il primo best seller della storia, la Bibbia a 42 linee, prodotto con la rivoluzionaria tecnica di stampa a caratteri mobili, autori ed editori hanno sempre cercato di promuovere i propri libri. Fu un collaboratore del tipografo di Magonza, Peter Schöffer, ad avere per primo l’idea di stampare un foglio con diciannove titoli disponibili e ad affiggerlo sui muri: è iniziata così la straordinaria storia della pubblicità editoriale, da Gutenberg all’era dei social network, raccontata in un libro di Ambrogio Borsani ed edito da Neri Pozza, La claque del libro (cediamo anche noi alla tentazione di promuoverlo: sarà in libreria dal prossimo 31 gennaio).
Alcuni segreti del mestiere sono molto più vecchi di quanto non si creda. Il primo a usare una tecnica pubblicitaria oggi nota come Unique Selling Proposition (argomentazione esclusiva di vendita) fu Denis Diderot che nel 1750 scrisse della sua monumentale (e inedita) Enciclopedia: «Nessuno sinora aveva concepito un’opera tanto vasta, o quanto meno nessuno l’aveva attuata». L’equivalente di uno strillo sul manifesto di un thriller di oggi. Leggiamo sul volantino di Sperling & Kupfer dedicato al prossimo libro di Stephen King, Elevation (uscita, 19 febbraio): «In un racconto di rara intensità, King si prende la libertà di dare una possibile risposta alle tristi derive del nostro tempo».
«Prendete dunque questo libello: non gratis però, ma datemi il giusto compenso», scriveva il grande editore veneto Aldo Manuzio. In questo delizioso saggio illustrato di Borsani, scrittore e assieme pubblicitario, seguiamo le metamorfosi del muro, da luogo deputato alle affissioni promozionali a bacheca di Internet, dove ogni autopubblicità è lecita. Curiosamente, uno dei primi attacchini della storia aveva il nome di Simon Collat, che firmò un libro di memorie dedicato alla sua professione. La pubblicità conquistò i muri al punto che la città di Londra, nel 1839, vietò di affiggere manifesti sulle proprietà private: arrivarono così gli uomini-sandwich e i carri con annunci mobili, tecniche tutt’ora in uso.
IL DUELLO
La pubblicità sui giornali fu sdoganata da un duello, il 22 luglio 1836. I francesi avevano trovato in edicola La Presse, un nuovo quotidiano diretto da Émile de Girardin, che aveva avuto l’idea di dedicare un’intera pagina del suo giornale alla pubblicità. Il concorrente Armand Carrel, direttore del National, lo accusò di affronto alla libertà di stampa e lo sfidò a duello. La sorte decise in favore di De Girardin, che al contrario del suo rivale sopravvisse allo scontro a fuoco.
Il Novecento è stato, per la promozione del libro, il regno della televisione, così come oggi i social network spesso decidono le sorti dei nuovi titoli in uscita. Il fenomeno dei libri nati in seguito alla fama del personaggio (e non viceversa) si chiamano libroidi; è il caso della influencer Iris Ferrari, che Mondadori ha chiamato a firmare Una di voi. Borsani cita il caso di Rupi Kaur, poetessa riuscita a diventare virale grazie a Instagram (e soprattutto alle sue foto indelicate dedicate alle mestruazioni). In fondo, come diceva Marshall McLuhan, il guaio non è che gli annunci pubblicitari siano notizie, ma che siano sempre e soltanto buone notizie. Se qualcosa va storto, è meglio.
LA STRATEGIA
Oggi, qual è la strategia migliore per promuovere un libro? «C’è chi gira le librerie, fa il giro dei media, dalla radio alla tv – dice il pubblicitario Sergio Spaccavento – ma ci sono anche fenomeni che vanno di pari passo con i social». L’errore – dice il copywriter, che è anche autore televisivo e docente universitario – è credere che sulla Rete siano tutti analfabeti: «In realtà i social sono utilizzati anche da molte persone di buona cultura, che postano o leggono consigli di lettura». Nino Frassica, per esempio, ha un ottimo rapporto con il pubblico, non solo sul web: «Fa collezione di selfie di lettori con i suoi libri». La pubblicità migliore è quella che è (o sembra) spontanea, «e non è detto che sia gratuita», come le recensioni sui siti, da Amazon a Ibs. Altra tecnica, ottima per gialli e thriller, è il booktrailer: poiché i video sono il mezzo prevalente sugli smartphone, con questo mezzo si può intercettare un pubblico nuovo che non va a cercare la recensione.
«Nel nostro Paese resta ancora forte la tv – dice Gianluca Comin, presidente dell’omonima società di comunicazione – un passaggio da Fazio o Augias muove centinaia di copie». Importante è «immaginare il target», il pubblico ideale: «Se vuoi parlare ai sedicenni oggi anche Facebook è inutile, meglio usare Instagram o Snapchat».
Nella nuova galassia dell’informazione, così come all’epoca di Gutenberg, il segreto resta il passaparola. «Oggi ho ricevuto almeno tre raccomandazioni di letture da persone che conosco – dice il sociologo e studioso di cultura digitale Derrick de Kerckhove – anche da uno scrittore famoso, Lev Manovich, che mi ha mandato la pubblicità del suo Ai Aesthetics. Un libro si lancia a un pubblico che va da 5 a 150 persone, finché la reputazione dell’autore diventa virale». L’importante è il rapporto di fiducia che ci lega agli amici che ci consigliano personalmente un libro, allora il messaggio diventa «molto potente». A prescindere dalla vicinanza fisica di chi, in questo villaggio globale, si fa avanti per primo.