il Fatto Quotidiano, 24 gennaio 2019
Landini è la sponda che serve al M5s
I Cinque Stelle si giocano il loro futuro politico su un tema solo: il lavoro. Tutto il resto – dall’ambiente alla collocazione europea, ai rapporti con la Lega – sono dettagli. Bastava osservare la scaletta degli interventi al grande show di martedì a Roma per presentare il reddito di cittadinanza: sul palco si è parlato soltanto di quello. E ora arriva Maurizio Landini alla guida della Cgil, uno che potrebbe anche essere un concorrente dell’ala sinistra dei Cinque Stelle, una specie di Jeremy Corbyn all’italiana, ma che Luigi Di Maio e i suoi si aspettano sia soprattutto un interlocutore attento, che dia una legittimità “di sinistra” a certe scelte che ai Cinque Stelle serve per rassicurare un pezzo del loro elettorato che non ama l’alleato leghista.
Il segretario uscente della Cgil, Susanna Camusso, non è mai stata indulgente con il governo: in una recente intervista al Fatto ha definito “di destra” la prima legge di Bilancio gialloverde e ha previsto un futuro prossimo a “pane e acqua”, per quei 50 miliardi di aumenti di Iva automatici che il governo Conte ha previsto tra 2020 e 2021 in cambio del via libera europeo al bilancio 2019. La Camusso, come molti sindacalisti e gran parte delle forze socialdemocratiche, era anche piuttosto fredda sul reddito di cittadinanza: troppo confusa la distinzione tra assistenza e politica attiva del lavoro, troppo sbilanciato sulle imprese che si prendono gli incentivi all’assunzione del beneficiario, troppo aggressivo verso il disoccupato, trattato sempre come un potenziale fannullone.
Landini ha la fortuna di arrivare quando quel dossier ormai si è chiuso: il dibattito intellettuale sulla necessità – o l’utilità – di un sussidio generalizzato contro la povertà che assomiglia molto a un assegno di disoccupazione con molti vincoli è per il momento messo tra parentesi. Nei prossimi mesi si discuterà soltanto dell’attuazione, dei mille problemi burocratici, della riforma dei centri per l’impiego. Tutti nodi cruciali, ma che non richiederanno prese di posizione troppo nette da parte della Cgil: a differenza del Pd, che è un avversario politico del M5S, Landini non avrà alcun incentivo a tifare per il flop del reddito di cittadinanza.
L’ex leader della Fiom sarà invece una sponda preziosa per i prossimi punti dell’agenda M5S sul lavoro. Nell’evento romano di martedì, Pasquale Tridico, il capo dei consulenti economici di Luigi Di Maio, ha già indicato la prossima battaglia culturale e politica: la riduzione dell’orario di lavoro, così da redistribuire i posti esistenti su più persone possibili. Una misura un po’ novecentesca, che non tocca i tanti super-precari che un orario non l’hanno neppure perché lavorano a partita Iva o in nero, ma che di certo troverà il consenso di Landini, così come è stato per il decreto Dignità che ha irrigidito l’utilizzo dei contratti a termine (e che dai primissimi dati, molto parziali, non sembra aver prodotto i disoccupati temuti).
Una certa sintonia di temi e toni – Landini non è uno che parla sottovoce – è quindi chiara. Ma c’è una grande incognita: la congiuntura economica. Secondo l’Istat siamo già in recessione, con due trimestri di crescita negativa, dalle stime di Bankitalia e Fondo monetario il 2019 potrà registrare al massimo un aumento del Pil dello 0,6 per cento, quasi la metà di quanto auspicato dal governo. Con l’economia ferma, di posti per i beneficiari del reddito di cittadinanza ce ne saranno pochi, le assunzioni dei precari oggetto del decreto Dignità saranno meno, il clima diventerà più teso. E Landini potrebbe trovarsi a diventare, anziché il partner sognato dai Cinque Stelle, il punto di raccolta di tutti i delusi dalle promesse M5S sul lavoro.