La Stampa, 24 gennaio 2019
Mbappé e i ventenni non si vestono da coatti
Resta il tatuaggio come memoria dell’era coatta abbandonata dall’ultima generazione di fabbricatori di immagine. Segni sulla pelle portati sempre con fierezza, l’eredità di uno stile rifiutato.
Fine della fase rapper a tutti costi, del fuoritaglia obbligatorio: felpa macro e maglietta striminzita stringibicipite, fine del bianco portato con troppa disinvoltura, della pelle sopra il torso nudo, della bandana sotto il cappello da baseball. Il ventenne vira verso l’aria per bene e se l’onda lunga fa lo stesso giro di sempre, presto, spariranno i jeans squarciati alle ginocchia, magari non dalle gambe dei liceali, ma da quelle dei loro fratelli maggiori. Primo atto di una rivoluzione culturale.
L’evoluzione del tamarro
Il coatto una volta era un outsider, uno che non conosceva il codice di ingresso delle compagnie più vivaci, dei lavori più brillanti, dei bar più frequentati, era uno semplice che litigava con il gusto e mescolava a caso: parole, vestiti e opinioni. Era la macchietta di Carlo Verdone, ottima indole e pessima reputazione, la memoria di Tomas Milian, guitto d’onore. Poi è diventato un arrogantone, un tipo sopra le righe e sopra i colori e alla fine ha perso ogni carattere ed è rimasto un modo di essere. Vai a capire come, quasi un simbolo di libertà. Non seguo le convenzioni, mi muovo male e mi pattino peggio. Camicie aperte, basette lunghe, baffo da attore porno, oro, borchie, quello che per francesi e americani è bling bling, portato con spavalda tracotanza e arrivato qui un po’ annacquato: via l’aria cattiva imparata negli Anni Ottanta da Mr. T e dentro l’esibizioniso spinto.
Fino a qui, fino a che bisognava avere milioni di follower e bisogna ancora, solo che tanti ventenni non ne hanno più voglia e se non stesse iniziando a spuntare una nuova coscienza digitale, la Apple non avrebbe inventato la funzione Detox. Ecco, quella funzione è entrata nell’armadio e da lì può persino insinuarsi nel cervello. Forse.
«Il valore della classe»
La si può chiamare raffinatezza e probabilmente lo è, anche se ha bisogno di una definizione meno classica. Decenni di contaminazioni hanno lasciato tracce indelebili. La nuova eleganza è un ricorso storico, per ribellarsi alla moda dominante ci si oppone e siccome girare in mimetica e portare la cresta ha segnato l’ultimo secolo, il contrasto arriva dalla giacca sulla T-shirt, dal maglione a girocollo, dal pantalone stirato con cura, dal vestito con cravatta con cui Kylian Mbappé spinge i ragazzini all’emulazione.
La stella del Paris Saint Germain è la sintesi dello strappo perché è giovane, ricco, calciatore, viene dalla periferia parigina, figlio di immigrati e secondo lo stereotipo dovrebbe essere uno che mostra la rivincita. Uno che esagera. Invece lui di solito usa l’educazione e appare di conseguenza. Biondo platino solo per festeggiare la Coppa del Mondo vinta a 19 anni e altrimenti rasato a cadenza regolare, con l’impermeabile verde, lungo sopra il pantalone beige, con le camicie azzurre e spesso tirato a lucido
La passerella non tarda a intercettare il trend. Dolce & Gabbana, tramortiti dai guai sul fronte orientale, fanno inversione a U con una collezione dedicata al tema: «Vorremmo lanciare un messaggio alle nuove generazioni sul valore della classe». Detto da chi ha inserito il corno rosso portafortuna nello streetwear diventa una frase che ha un suo peso storico. Non è soltanto questione di tendenza. Non è soltanto il quattordicenne Noah Schnapp, faccia della serie «Stranger Things» che chiede allo stilista un completo (non proprio sobrio)per la serata dei Grammy o il marchio Fendi che si muove sotto la linea guida «Per un giovane niente di più sovversivo di un abito formale». È una rivolta contro la volgarità e magari fosse il primo, fatuo, anticorpo contro gli anni della fiera ignoranza portata come virtù.
Nel blu dipinto di blu
Rimettersi in ordine potrebbe essere un inizio anche se è evidente che i primi a liberarsi del rozzo sono stati i più ricchi e che il divario, abnorme, che ormai c’è tra le classi potrebbe di nuovo deviare il sentimento collettivo. Ghettizzare l’eleganza nel perimetro di una casta. Però per un Presley Gerber baciato dai cromosomi perché figlio di Cindy Crawford e quindi bello, modello, abituato al lusso e tanto facilitato nella svolta da osare la canottiera, ci sono tanti ragazzi che naturalmente iniziano a escludere. Le patacche, l’eccesso, l’aggressivo, il sempre connesso e quindi costantemente in cambiamento.
Riemerge il classico, il capospalla che è anche una ricerca di sicurezza e il tentativo di schivare il giudizio perché Twitter e Instagram ne hanno sparati troppi. Provate a contare i like di un abbigliamento casual che non cerca accenti. Cosa si può dire contro mille sfumature di blu? Che è noioso? Magari, ma non siamo poi così abituati a vederlo, non di certo tra chi emerge e quindi traina. Eppure alla voce attori su cui puntare esce il nome di Andrea Arcangeli, protagonista di «Trust» di Danny Boyle, del film tv su Aldo Moro. Anni 24, segni particolari: giacca spesso e volentieri. Persino a quadri, il retrò che torna e si porta dietro vecchie abitudini e nuovi traguardi. Tipo darsi una ripulita. In tutti i sensi.