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 2019  gennaio 24 Giovedì calendario

Massive Attack: «Io, la Brexit e il fantasma di Banksy»

Ma non sarà che poi riporta solamente queste parole e butta tutta la parte politica, vero?». A metà della conversazione Robert del Naja — in arte 3D, origini napoletane, mente della storica formazione di musica elettronica Massive Attack nonché artista visivo e, secondo molti, la persona che si nasconde nel cappuccio di Banksy — si ferma e mette le cose in chiaro. L’occasione è il tour con cui celebra i venti anni dell’album Mezzanine (la ristampa deluxe sarà pubblicata il 19 aprile, il tour mondiale parte lunedì e passa in Italia il 6, l’8 e il 9 febbraio a Milano, Roma e Padova), ma il discorso scivola subito sul potere e come evitare di subirlo. «Negli ultimi tour avevamo uno schermo dove passavano scritte, era una riflessione e un cut-up sui media, su chi controlla le informazioni. Su cosa è vero e cosa è finto. Questo tour è diverso. Ho lavorato con Adam Curtis e l’artista che si occupa di Intelligenza Artificiale Mario Klingemann per creare qualcosa che mostri i cambiamenti di questi venti anni. Inevitabilmente quindi si parlerà anche di Brexit, una questione troppo complessa per affrontarla con le tifoserie di politici europeisti o euroscettici, la popolazione è troppo divisa».
E la musica?
«Suoneremo tutto Mezzanine, lo abbiamo sezionato ed eseguiremo anche i brani che avevamo campionato, dagli Ultravox ai Cure. Quindi niente greatest hits: chiunque si aspetti di ascoltare Safe from harm dovrebbe andare subito sul mercato del secondary ticketing per rivendere i biglietti».
Dall’esordio sono quasi trent’anni. All’inizio vi chiesero anche di cambiare il nome in Massive, senza Attack.
«Erano i primi anni, non sapevamo bene come funzionavano le cose, stavamo imparando le regole delle radio e dei media. Ci dissero che il nostro nome era associato erroneamente con la guerra, che non avrebbero passato in radio le canzoni. Erano stronzate ma noi eravamo naif e non ci opponemmo. In generale erano anni ingenui in confronto a oggi».
Continua a seguire la squadra del Napoli?
«Certo, ma l’ultima partita che ho visto è stata a Parigi, contro il Paris Saint-Germain. Forza Napoli! Forza Koulibaly (lo dice in italiano, ndr)!».
Quest’anno a San Gregorio Armeno per i presepi hanno realizzato anche la statuina di Liberato, l’artista senza volto. Lo conosce?
«Qualcuno mi ha mandato link dei suoi video chiedendomi se volessi lavorare con lui. Mi era sembrato molto intrigante, ma alla fine non se n’è fatto niente».
Cosa risponde a chi dice che lei è Banksy?
«Credo che la gente passi troppo tempo in rete a seguire teorie cospiratrici. È difficile oggi dire quale sia la verità quando ci sono masse intere che cercano informazioni solamente sui social e su YouTube, dove si può caricare di tutto. Dall’altra parte ci sono politici che denigrano i media o li descrivono come fake. Crediamo a tutto e mettiamo tutto in dubbio. Fa paura. Come vede ho completamente evitato di rispondere alla sua domanda».
Una volta, per replicare alle voci (alimentate anche da Banksy, che anni fa scrisse sul suo vecchio sito «Ho copiato 3D dei Massive Attack. Lui sì che sa disegnare»), lei disse: «Siamo tutti Banksy».
«Intendevo che abbiamo tutti la capacità di esprimerci, di dire la nostra. Abbiamo questo potere».
Pensa che la street art possa essere utile?
«La street art ha la possibilità di diffondere le opinioni, ma ha anche la responsabilità di non creare divisioni. Come la musica. E la politica. Chi governa dovrebbe essere più responsabile e preoccuparsi di promuovere l’unità. È una situazione, quella attuale, che condiziona anche il calcio. In Inghilterra c’è voluto molto tempo per rendere gli stadi un ambiente più socievole. In Italia la situazione negli stadi è il risultato della politica di divisione da cui siamo circondati. Ci piacciono le partite perché sono divertenti, tirano fuori la tribalità, ma quando si supera il limite, alimentati anche dall’inquinamento del dibattito pubblico, iniziano a emergere razzismo e xenofobia».
Con Thom Yorke dei Radiohead ha realizzato anche la colonna sonora di "The UK Gold", un documentario sui paradisi fiscali.
«Me ne aveva parlato un mio amico vicino al movimento Occupy London. Il film mostrava le conseguenze di decenni di capitalismo esasperato e le responsabilità delle banche. Quello che succede oggi in Europa è la diretta conseguenza della crisi finanziaria: sembra un cliché ma quando c’è una crisi tutti si guardano in cagnesco. Se i poteri forti della finanza non avessero fatto danni ora non guarderemmo all’immigrazione con tanto sospetto».
Come andò quando collaborò con Matteo Garrone per il film Gomorra?
«C’era questo collegamento con Napoli, mio padre viene da lì. Quando ho visto il film ho pensato che fosse molto potente, ma mi sembrava che le immagini già dicessero tutto, non avevano bisogno di altro. Quindi ho composto musica solo per i titoli di coda. Mi piacerebbe lavorare anche con Paolo Sorrentino. Un genio. Ma quando lavori per il cinema sei parte di un meccanismo, devi seguire certe regole. Per me è più stimolante creare da zero».