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 2019  gennaio 24 Giovedì calendario

Intervista all’avvocata dei latitanti italiani

La Francia non può rinnegare la parola data ai tanti italiani accolti». Irène Terrel, sessantotto anni, è lo storico avvocato dei latitanti che sono scappati Oltralpe all’inizio degli anni Ottanta. Insieme al marito Jean-Jacques De Felice, legale di origini italiane morto nel 2008, ha difeso quasi tutti i fuoriusciti dalla lotta armata, dalle ex brigatiste Marina Petrella e Roberta Cavalli a Cesare Battisti.

Quanti latitanti italiani sono ancora suoi clienti?
«Con mio marito ne abbiamo difeso alcune decine, non ho mai tenuto il conto. La maggior parte sono passati da questo studio legale diventato un riferimento non solo giuridico ma anche umano».
Perché ha preso così a cuore questa causa?
«Mi sono sempre occupata di diritto degli stranieri. I primi italiani vennero da me dopo che mi occupai del caso Hypérion (legato al rapimento Moro, ndr), insieme all’Abbé Pierre. Oggi comunque non sto parlando come avvocato di nessuno».
In che senso?
«Al momento la Francia non ha ricevuto nessuna richiesta di estradizione dall’Italia. Spero di non dover più tornare a difendere nessuno dei miei ex clienti, lo spero più che altro per loro».
L’hanno chiamata in questi giorni?
"Certo, sentire di nuovo i loro nomi e le loro fotografie apparire sui giornali è come uno tsunami. Sono persone ormai anziane, con figli e nipotini, italiani che hanno vissuto più tempo in Francia che in patria, e vi garantisco non è stato un esilio dorato».
Un esilio “con lo champagne” ha detto Salvini...
«Queste persone sono dovute ripartire da zero. Alcuni hanno aperto ristoranti, altri sono diventati psicologi, architetti, per molti la situazione è rimasta sempre precaria. E comunque tutti hanno vissuto in balìa di qualche tranello che potesse far precipitare la loro normalità».
Per questo molti latitanti sono rimasti nell’anonimato?
«È l’indicazione che abbiamo suggerito per facilitare l’integrazione, con un risultato positivo. Nessuno di loro ha mai più avuto rapporti con la lotta armata, né commesso qualsiasi reato».
Una regola di discrezione che Battisti non ha rispettato.
«Di lui non voglio parlare. L’ho difeso nel 1991, riuscendo a bloccare l’estradizione, e poi la seconda volta nel 2004 fino a quando ha deciso di scappare dalla Francia e cambiare avvocato».
Come chiama questi latitanti: ex terroristi, rifugiati?
«La parola “terroristi” è generica, si presta a strumentalizzazioni. Non li chiamo rifugiati perché la loro condizione non è quella prevista dalla convenzione di Ginevra. L’Italia è una democrazia. Per me sono persone che hanno trovato asilo in Francia».
Visto che l’Italia è una democrazia perché non tornare e regolare i conti con la Giustizia?
«All’epoca François Mitterrand aveva scelto l’accoglienza seguendo convinzioni personali ma anche perché c’era un implicito accordo con i dirigenti italiani dell’epoca. E comunque oggi non possiamo più discutere della bontà della scelta di Mitterrand».
Perché no?
«È un dibattito che aveva senso negli anni Ottanta o Novanta. Oggi sono passati quarant’anni dai fatti, la prescrizione non è solo un concetto giuridico ma anche filosofico e morale. In Francia abbiamo una tradizione di amnistia utilizzata per chiudere gli orrori della guerra d’Algeria o le persecuzioni in Nuova Caledonia».
Non ha mai un pensiero per i parenti delle vittime?
«Sì certo ma ripeto: esiste un momento in cui lo sguardo storico deve prendere il sopravvento su quello repressivo e giudiziario. Oggi tra l’altro non vediamo una richiesta di giustizia».
Perché?
«Il governo sembra assetato di vendetta. Che senso ha esibire Battisti come una bestia in gabbia? È un comportamento inaccettabile per delle istituzioni democratiche».
Convinta che Macron non estraderà nessuno?
«Mi sono confrontata con governi di destra e sinistra, con Presidenti molto diversi. Tutti hanno sempre rispettato la parola data da Mitterrand. L’unico caso di estradizione è quello di Persichetti per ragioni anti-giuridiche».
Se ci sarà bisogno, è pronta a ricominciare la battaglia legale?
«Spero davvero non succeda. L’ultima volta, nel 2008, è stato molto difficile. Marina Petrella è arrivata a pesare quaranta chili in carcere e alla fine il decreto di estradizione è stato annullato per ragioni umanitarie».