Corriere della Sera, 24 gennaio 2019
Sordi e dolori di Alberto Sordi
Una cosa odiava più di ogni altra. Quell’etichetta «Sordi uomo parsimonioso», utilizzata spesso dai giornali per sottolineare una certa frugalità in tema di utilizzo del denaro. Avaro forse di pecunia, generosissimo, quasi bulimico, nei progetti in cantiere. Sancho Panza, Benito Mussolini, John Martin il trombettiere del generale Custer. E, ancora, Henry Kissinger, in virtù di una netta somiglianza tra il Segretario di stato Usa e l’Albertone nazionale che colpì anche Oriana Fallaci. Sogni rimasti nei cassetti.
L’attore, scomparso il 24 febbraio 2003 nella sua casa-mausoleo di via Druso, girò duecento film e, molti altri aveva intenzione di portare sullo schermo, come confermano i materiali emersi dal Fondo Alberto Sordi, conservato dalla Cineteca nazionale, tesoro su cui gli studiosi stanno lavorando da tempo e che per la prima viene raccolto in una pubblicazione ad hoc, il numero monografico della rivista «Bianco e nero», curato da Alberto Anile. Lettere, manifesti, fotografie, trascrizioni di dialoghi, contratti, articoli, soggetti e trattamenti. Un pozzo senza fondo reso ancora più leggendario dalla tendenza del nostro a ingigantire, fornire doppie e triple versioni.
All’altezza del mito dell’eroe di Cervantes, la ricostruzione delle peripezie legate al Don Chisciotte e Sancho Panza con la regia di Mario Monicelli, sceneggiatore con Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, e Vittorio Gassman nel ruolo del cavaliere errante. L’idea venne a Sordi stesso, nel 1982, rivedendo La grande guerra, dopo il successo de Il marchese del Grillo. «Mi è parsa la prova generale del Don Chisciotte: il millantatore a confronto con il vigliacco, l’illusoria grandezza della follia che si misura con modesto realismo quotidiano». A produrre, i De Laurentiis che pubblicano una locandina sul Giornale dello spettacolo con l’indicazione dell’uscita: Natale 1984. Ma tutto si blocca, in linea con le difficoltà di ogni Don Chisciotte cinematografico. O, suggeriscono i materiali del Fondo, la marcia indietro fu dell’attore. Non sarebbe stato un incontro alla pari tra i due antieroi della Mancha. Comprimario, non co-protagonista.
Era stata la prudenza, invece, a bloccare il progetto più ardito e scivoloso. «Mussolini come lo vedo io non sarebbe polemico e tanto meno nostalgico, o magari un po’ nostalgico sì perché allora eravamo ragazzi. Ma soprattutto sarebbe umano. Un poveraccio, come in fondo siamo tutti», raccontò Sordi nel 1967 a Carlo Laurenzi per il Corriere della Sera. L’intenzione era raccontare gli anni tra il 1941 e ‘43, «quando le cose iniziarono a andare male». L’articolo fa scalpore, arrivarono minacce, «persino dall’America del Sud». «Guai se fai un film sul Duce». A lui restò il rimpianto. «E la convinzione che avrebbe avuto successo».
Andrà più vicino a prestare il volto a un altro personaggio storico, Kissinger. Le foto conservate nel Fondo testimoniano una somiglianza sorprendente. «Sono destinato. Con quegli occhiali, i capelli tinti in rossiccio, se lascio appena andare il mento, sono identico. Due gocce d’acqua. E cos’è K. se non un’antica proiezione del mio personaggio? Io ho sempre, rappresentato uomini, omoni o omini, schiavi e vittime del potere, gente triturata da una logica che li deforma, li schiaccia…». L’idea era di sdoppiarlo, quello vero e un italiano, un romano, steward dell’Alitalia. Salta tutto. E resta il mistero: Sordi conobbe Mr. Kiss (così lo chiamava)? Lui sostiene di sì, ma forse i racconti sono romanzati.
E più fantasiosa di ogni romanzo è la vita del più curioso dei ruoli mancati: Giovanni Martini, trasteverino, già con i Mille di Garibaldi, e poi in America come John Martin, trombettiere del 7° Cavalleggeri del generale Custer, unico sopravvissuto a Little Big Horn. Un invito a nozze per Sordi. Peccato davvero che Un romano nel West non veda la luce: si perderà negli anni 60 tra minacce di cause legali con la produzione, poi risolte. «La battaglia di Little Big Horn è finita. Dino De Laurentiis e Alberto Sordi hanno fumato il calumet della pace».