Corriere della Sera, 24 gennaio 2019
La geopolitica del passaporto
In tempi di ritorno della geopolitica e di frontiere meno aperte, si discute spesso di passaporti. La Commissione di Bruxelles ha aperto un’indagine sui seimila «passaporti d’oro» che una ventina di Paesi Ue ha concesso, dietro pagamento, a individui non europei, si sospetta in qualche caso criminali. Commercio spiegabile: non tutti i documenti hanno lo stesso valore. Con il suo passaporto, un italiano può entrare in 187 Paesi senza bisogno di un visto o ottenendone uno all’arrivo a destinazione o viaggiando con un Eta (Electronic travel authority): cioè senza che il governo del Paese di destinazione debba dare l’approvazione. Come gli italiani, anche svedesi, finlandesi e danesi possono entrare in 187 Stati muniti al massimo del passaporto. Meglio fanno tedeschi e francesi: 188 destinazioni libere da autorizzazione. Ancora meglio per gli abitanti di Singapore e della Corea del Sud: 189. Al vertice i giapponesi, con 190 destinazioni. I dati sono presi dal Passport Index elaborato dalla società Henley & Partners, che monitora regolarmente 199 passaporti. Quasi tutti gli occidentali godono di un’ampia libertà di viaggio, superiore alle 180 destinazioni. A dire il vero, si tratta di una libertà piuttosto vigilata. Il fatto stesso di dovere portare con sé un passaporto per viaggiare è in qualche modo una limitazione, anche se oggi è dato per scontato. In alcuni casi molto concreta, come negli Stati di polizia, dove il timore di essere privati del passaporto accompagna regolarmente i viaggiatori. Fatto sta che la libertà di circolare abbastanza liberamente è un prodotto del mondo globalizzato, dell’abbassamento delle barriere tra Stati. Da questo punto di vista, la cosiddetta «prima globalizzazione» fu più aperta di quella attuale. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, dopo il Congresso di Vienna e con il crescere dei movimenti di manodopera grazie all’industrializzazione, nell’Ottocento l’obbligo di passaporto o di documenti simili fu di fatto abolito, in Europa ma anche in Giappone, Australia e nelle Americhe. Solo con la prima guerra mondiale (spie, individui alieni e così via) venne reintrodotto. Per restare. Oggi, i cittadini con più restrizioni sono gli afgani e gli iracheni: entrano senza visto in soli 30 Stati, seguiti da somali e siriani con 32. L’evoluzione del Passport Index aiuta a capire lo stato della globalizzazione.