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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Le visioni di Sandy Skoglund

Il mondo visto alla rovescia è fatto di persone ricoperte di popcorn, di foglie azzurre che rendono respirabile l’aria tossica degli uffici, di volpi rosse che siedono alle nostre tavole e cani blu elettrico che occupano il salotto. Gatti radioattivi da una parte, cascate di caramelle dall’altra e non è fantasia, ma un’istantanea della quotidianità. Solo al contrario: come la pensi invece di come la vedi e come la immagina Sandy Skoglund nelle «Visioni ibride», mostra di Camera che apre giovedì a Torino.
Lei, artista tecnologica, è nata in Massachusetts sotto il segno della pubblicità e a settant’anni ancora fa la differenziata con gli scarti delle nostre angosce: plastica, organico, artificiale, biologico. Il tentativo quasi impossibile di separare il vero dal falso.
Viviamo in una società geneticamente modificata?
«Siamo in mezzo al conflitto tra i pro e i contro della scienza, progresso e manipolazione sono indivisibili e noi ci perdiamo in questo groviglio. Solo che la fantascienza si sta trasformando in fanta-non-scienza».
Cosa significa «naturale» nel 2019?
«Rifiuto di ciò che è artificiale».
Concetto che va di moda, ma con il bio, il non sintetico, stiamo davvero cercando di superare l’era della plastica?
«Il ritorno a quel che è genuino fa parte della nostra costante ricerca di verità. È un istinto che abbiamo tutti in qualche percentuale e prima o poi si fa sentire».
Lei però rifiuta di fotografare la realtà così come è.
«Non direi. Il mio è realismo puro: se giri al contrario quello che vedi e lo riproduci è sempre un pezzo di vita. Sembra differente da quel che abbiamo intorno ogni giorno, ma non è inventato. Sta lì sotto, esiste, anche se non in forma concreta».
Fake news, realtà virtuale: sicura che le sue non siano foto-fake proprio per denunciare il potere del falso?
«Cerco di scattare immagini che non somigliano a fotografie. Cerco di catturare i pensieri, non le cose».
C’è un fotografo classico che la emoziona?
«Man Ray. Ma se parliamo di classico, i miei favoriti sono i manieristi Pontormo e Bronzino: sono la dimostrazione che l’ansia non è un problema partorito dal nostro secolo, ha accompagnato l’intera storia umana».
Classificherebbe le sue foto come nature morte?
«Sì. Sono una memoria, un ricordo: proprio come dice il genere, si portano dietro la prova di quanto la natura sia fragile, dicono che tutto deperisce facilmente o cambia o passa. Tutte le mie foto sono una finestra sul passato».
Rosa barbie, verde acido, corallo, la tinta del 2019, tra l’altro. I colori evocano tutto tranne il passato.
«Ogni colore è come un sentimento, lo scelgo in base a ciò che mi racconta. Per Winter, il lavoro inedito esposto per la prima volta a Torino, ci ho messo dieci anni a trovare il grigio inverno».
In dieci anni l’opera è cambiata dall’idea originale?
«Ho continuato a spingermi oltre i limiti, a imparare sempre nuove tecniche digitali, come la scultura in 3D. Sono partita dai fiocchi di neve e lì sono rimasta, ma sono molto diversi da come li immaginavo all’inizio».
Inverno: stagione, stato d’animo, età o minaccia del riscaldamento globale?
«L’inverno è inquietante e meraviglioso insieme. Mette paura e affascina in tutte le sue definizioni, e questo è durato un decennio quindi è carico di potenzialità e segreti».
Gli essere umani dentro i suoi lavori sembrano sopravvissuti.
«Siamo tutti sopravvissuti in un mondo nuovo. Ci ritroviamo a mutare continuamente e a doverlo fare per forza. La contemporaneità è un concentrato caotico di opportunità e ostacoli. Un groviglio».
Gli animali e gli oggetti però hanno colonizzato i suoi set, un anticipo di intelligenza artificiale?
«L’umanità non perde importanza perché perde spazio, anzi lo cerca anche quando è sepolta da tutto il resto. Gli uomini qui non sono reduci, semplicemente si adattano e lottano per non perdere la propria natura».
Quanto la pubblicità influenza le sue creazioni?
«Le definirei pubblicità che non pubblicizzano, e visto che uso uno slogan la risposta è implicita. Anche se il contrasto tra l’estro usato per spot o design e l’arte è sempre più sfocato». 
Ha ispirato i Rem, i Soundgarden, gruppi che hanno usato il suo universo per costruire video pop. Immagina mai le colonne sonore per le sue opere?
«Proprio no, lavoro nel silenzio più totale, ma mi diverte vedere come la musica reinterpreta ciò che vedo».—
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