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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Il boicottaggio di D&G in Cina continua

Nel mondo della moda i boicottaggi non sono una cosa rara e se vengono gestiti con un po’ di attenzione – chiedendo scusa e ritirando i prodotti che li hanno causati – solitamente rientrano nel giro di qualche settimana. Quello di Dolce & Gabbana in Cina però continua a distanza di due mesi dal motivo che lo aveva fatto iniziare: tre video pubblicitari percepiti come razzisti e i commenti offensivi dello stilista Stefano Gabbana, seguiti da scuse goffe e poco convincenti da parte sua e di Domenico Dolce, l’altro fondatore del marchio. In particolare, i video mostravano una ragazza cinese in abito da sera che cercava di mangiare tre tipici piatti italiani – pizza, spaghetti e un cannolo siciliano – con un paio di bacchette, tra molte difficoltà; in uno dei video, a un certo punto, una voce maschile fuori campo ironizzava sul cannolo chiedendo “è troppo grande per te?”. Dopo le polemiche che ne erano seguite, Gabbana aveva scritto in un messaggio privato su Instagram, poi reso pubblico, cose come «la Cina è un paese di merda» e «Cina Ignorante Mafia sporca puzzolente». Tra mille proteste venne cancellata una costosissima sfilata organizzata da D&G a Shanghai e i principali rivenditori online cinesi ritirarono i prodotti dell’azienda.

Il sito di moda Business of Fashion scrive che ancora oggi in Cina i rivenditori online, come TMall, JD.com e gli occidentali Net-a-Porter e Farfetch, non offrono articoli di Dolce & Gabbana. A dicembre su Weibo, il principale social network cinese, D&G è stata nominata il 97 per cento di volte in meno rispetto alla media dei quattro mesi precedenti mentre negli ultimi due anni e fino allo scorso novembre D&G era l’azienda di lusso più nominata su Weibo: secondo la società di ricerca Gartner L2 generava il 41 per cento di engagement nella categoria. Ancora adesso il profilo Instagram del marchio è pieno di commenti offensivi mentre le poche celebrità che ancora ne indossano gli abiti vengono insultate sui social. La scorsa settimana alcune foto su WeChat, un servizio simile a WhatsApp ma con molte più funzioni, mostravano i negozi di D&G a Shanghai e a Hong Kong con dentro soltanto i dipendenti, mentre lunedì le scuse pubblicate su Weibo dalla modella cinese protagonista del video sono state accolte da molti con durezza.

In Occidente invece Dolce & Gabbana non ha patito molte conseguenze: i suoi prodotti sono disponibili sui soliti rivenditori online in Europa e negli Stati Uniti, a Milano ha presentato la collezione uomo per il prossimo autunno-inverno e a Natale la prestigiosa vetrina della Rinascente a Milano era dedicata a Dolce e Gabbana, rappresentati da pupazzetti al lavoro in atelier.

È vero che contrariamente ad altre aziende del lusso D&G è meno radicata in Cina, ma le vendite non erano comunque indifferenti: nel 2018 il fatturato complessivo era stato di 1,29 miliardi di euro, di cui il 25 per cento, cioè 320 milioni, provenienti dall’area asiatica e in particolare dalla Cina, dove il marchio ha una sede a Shanghai e una a Pechino. Soprattutto si tratta di un mercato in espansione che D&G stava provando a sfruttare: ha 54 negozi nel paese, nell’ultimo anno ne aveva aperti altri in altre quattro città e la sfilata cancellata in seguito alle proteste voleva essere un sontuoso tributo alla Cina, con 500 abiti e sei mesi di organizzazione.

Secondo un rapporto del 2017 dell’agenzia McKinsey, la Cina spende ogni anno circa 72 miliardi di dollari nel lusso: copre il 30 per cento del settore a livello mondiale e, stando alle proiezioni più recenti, ne diventerà il principale mercato entro la fine dell’anno. Liz Flora, direttrice del settore Asia e Pacifico per Gartner L2, ha commentato che «in questo caso siamo in un territorio inesplorato. Nei tempi moderni non abbiamo mai visto un marchio di lusso fare un errore di questa grandezza nel mercato cinese». Secondo l’agenzia di consulenza londinese Brand Finance il guaio potrebbe costare a D&G fino al 20 per cento del suo valore, pari a 937 milioni di dollari.

Il danno è stato peggiorato anche dall’incapacità di gestirlo. Già nel 2017 D&G era stata criticata per una campagna pubblicitaria giudicata poco lusinghiera nel raffigurare gli abitanti comuni di Pechino ma reagì con prontezza: la pubblicità venne ritirata e sostituita da un’altra con celebrità cinesi. Questa volta le scuse sono arrivate dopo giorni, con un video quasi amatoriale considerato da alcuni un’ulteriore presa in giro: Gabbana e Dolce parlavano senza troppa convinzione, come se leggessero da un gobbo, si impappinavano e dicevano altre cose inappropriate (Gabbana diceva a un certo punto di voler chiedere scusa ai cinesi «che sono tanti»). Le celebrità cinesi, come il cantante Wang Junkai e l’attrice Dilraba Dilmurat, hanno rescisso i loro contratti pubblicitari, lasciando il marchio senza grossi testimonial. Dal 23 novembre l’azienda non ha pubblicato più nulla su Weibo e sembra non avere una strategia chiara per rimediare.

Non ha aiutato infine un rinnovato patriottismo cinese: l’impressionante crescita economica è andata di pari passo con un rinnovato orgoglio culturale. Fino a pochi anni fa le aziende straniere erano viste con una certa deferenza e un errore sarebbe stato perdonato più morbidamente; ora invece errori come quello dei tre video sono considerati una mancanza di rispetto per un paese che si sente di nuovo una grande potenza, desiderosa di essere riconosciuta tale.