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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Il Sud Africa è una polveriera

Sono andato a trovare un mio amico a Cape Town, in Sud Africa. Due settimane. Molte cene con amici (tantissimi italiani) e molti incontri con imprenditori locali (nel settore delle automobili: sia il mio amico che io siamo appassionati di vetture d’epoca). E in ognuna di queste occasioni ho testardamente posto le stesse domande: come si vive qui? Qual è il rapporto con la popolazione di colore? Quale futuro vi immaginate? E ho ricevuto sempre la stessa risposta: si vive benissimo, la vita è molto meno cara che in Europa, il rapporto con la popolazione di colore è ottimo, il futuro è roseo, siamo un Paese ricchissimo e ben amministrato, l’unica produzione industriale e commerciale dalle rive del Mediterraneo alla congiunzione dei due oceani, l’Atlantico e l’Indiano, è qui, in Sud Africa. Dopo di che ho sempre posto l’ultima domanda: come è possibile? Nel resto dell’Africa vige disordine, violenza e corruzione; tutti si ammazzano l’uno con l’altro entusiasticamente; miseria ovunque, anche nei tantissimi Paesi ricchi di materie prime come il Sud Africa.Perché solo qui c’è il paradiso terrestre? Anche qui, sempre la stessa risposta: merito di Nelson Mandela. Finito l’apartheid, Mandela ha spiegato a tutti che l’unico modo per vivere prosperi e felici era la riconciliazione. Niente violenza, niente vendette, tutti insieme d’amore e d’accordo in un Paese unito. Quanto alla corruzione ce n’è tantissima, la politica (tutta di neri) ruba a più non posso; ma va tutto bene, il Paese è prospero. Sono ripartito con la radicata convinzione che la realtà fosse diversa.
Cape Town è una città bellissima, ordinata, pulitissima, case belle, porto indaffarato e prospero, centri commerciali lussuosi, automobili da sogno. Non dico che pare di essere a Londra ma certamente è molto meglio di Roma. Però nelle strade che vi arrivano e che io ho percorso giornalmente (il mio amico vive in un quartiere residenziale a una mezz’ora dal centro), in corrispondenza dei semafori strategici, accoccolati sui marciapiedi, decine di persone, maschi e femmine, aspettano che qualcuno offra un lavoro: tagliare l’erba, svuotare una cantina, vuotare i secchi della spazzatura. Stanno lì, sotto il sole; man a mano il loro numero diminuisce e a sera ne rimangono solo più una decina.
Ho usato il termine persone ma è bene spiegare subito che tutti quelli con cui ho parlato (tutti bianchi) si riferiscono alla popolazione di colore con il termine «negri». Quello che qui in Europa è politicamente scorrettissimo, lì viene usato con naturalezza. Intendo dire che non c’è l’atteggiamento di sfida che è proprio di un razzista europeo: sono «negri» da sempre e questo è il modo in cui i bianchi sudafricani li identificano. Non ho toccato l’argomento (ho cercato di stimolare informazioni e confidenze e quindi ho evitato con cura ogni polemica) ma ho chiesto quale era la composizione di questa popolazione «negra»: quasi tutti di varie tribù (predominanza Xosa) e una piccola percentuale di «colorati», che significa gente frutto di accoppiamenti tra «negri» e bianchi. Mi hanno detto che i «colorati» sono per lo più gente affidabile, che spesso gestiscono attività in proprio; i «negri» invece sono il peggio del peggio, tutti caratterizzati da una pigrizia che scivola nell’abulia: lavorano fino a quando hanno guadagnato abbastanza da pagarsi il minimo necessario; poi non si presentano più e tornano quando hanno finito i soldi. Il che, naturalmente, li rende inaffidabili e improduttivi, così mi hanno spiegato in particolare gli imprenditori e i commercianti.
Come ho detto, Cape Town è una città europea. Però tutti i complessi residenziali e le case monoresidenziali site in città sono circondate da mura alte più del doppio di un uomo, sormontate da filo spinato modernissimo (quello con le lamette) avvolto in spirali di oltre mezzo metro di altezza e (sono rimasto assai colpito) elettrificato. Evidentemente questo paradiso terrestre è abitato, meglio circondato, da diavoli.
E poi ci sono le township. Ne ho vista una, ma dall’esterno, fuori dai muretti che la circondano. Il mio amico non ha voluto entrare. Kayelitsha. Fa paura. Migliaia di casette, 3 metri per 4, fatte di lamiera ondulata, senza finestre, una porta, costruite sulla sabbia, lungo i fianchi di colline che poi sono dune di sabbia, nelle valli tra queste. Niente acqua e fogne. L’elettricità è attinta dai pali della luce pubblica: decine di cavi che partono da ogni palo e si infilano a raggiera in ogni casetta. Quando piove si allaga tutto e molte di queste costruzioni si disfano. Quando c’è il sole sono dei forni e quando è inverno si gela. In ognuna ci abitano anche più di 10 persone. Nessuno sa quante persone ci vivono: da 500.000 a 1.000.000, sembra. Ci sono bambini dappertutto, adulti apparentemente inerti, qualcuno che con chiodi e martello ripara o costruisce una nuova casetta, sempre di lamiera. Kayelitsha è la terza township sudafricana per numero di abitanti, prima di lei ci sono Soweto e Sharpeville; e dopo di lei decine di altre. I neri, in Sud Africa, sono 47 milioni e vivono quasi tutti in queste condizioni; poi ci sono i colorati, 5 milioni, e i bianchi, 4 milioni e mezzo.
Ovviamente tutto questo mi ha fatto dubitare dell’ottimismo dei miei ospiti. Ho fatto qualche cauta esplorazione. E qualcosa è venuto fuori. Sì, c’è un movimento politico, l’Economic Freedom Fighters (Eff) che fa capo a un agitatore, Julius Malema. Propone la nazionalizzazione e l’esproprio nei settori dell’industria, delle miniere e finanziario; e una riforma agraria che sottragga i latifondi (ce ne sono di immensi, ho visitato due bellissimi vigneti di oltre 500 ettari, assaggiando vini locali buonissimi) agli «schiavisti bianchi». Però! Mi sono documentato sul web. Malema propone un governo socialista come anticipatore di una società comunista controllata dalla stragrande popolazione di colore. Ha detto e ripetuto che il ricorso alla violenza non deve essere escluso: «I bianchi devono comprendere con le buone o con le cattive che sono dei semplici cittadini e non i padroni del Sud Africa». E, al momento, è leader del terzo partito del Sud Africa, all’8% oggi ma dato in crescita furibonda da tutti i sondaggi. Qualcuna delle persone che ho frequentato mi ha anche confessato che ci sono molti episodi di aggressione nelle grandi farm; alcuni farmisti (li chiamano così) sono stati ammazzati nel più puro stile africano: coltellacci e saccheggio/vandalismo delle case.
Alla fine ho detto ai miei nuovi amici: ma vi rendete conto che siete su una polveriera? Presto o tardi (presto) qualcuno dirà agli abitanti di Kayelitsha di prendere il machete e andare a Cape Town a prendersi quello che è loro di diritto. E non c’è dubbio che questa massa di diseredati ci andrà. E come loro tutti i 47 milioni di «negri» che vivono di niente. «Ma no, sarebbe la fine del Sud Africa ricco e prospero. E Mandela glielo ha fatto capire benissimo». Mah. Se i gilets jaunes hanno messo Parigi a ferro e fuoco, non credo che questi neri poveri e di fatto tenuti in un regime di apartheid poco dissimile da quello istituzionale, finito nel 1994, saranno da meno. Basta che trovino qualcuno che glielo suggerisca. E pare proprio che l’abbiano trovato.