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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Sindelar, che disse «no» a Hitler

«Il calcio…doveva essere per davvero un libro che ognuno legge come vuole, ma i cui protagonisti escono dalle pagine ed entrano nella vita di tutti i giorni». Così scrive uno dei rarissimi casi di calciatore-scrittore, Nello Governato, nel suo libro, La partita dell’addio(Mondadori), romanzo storico che ripercorre la straordinaria parabola umana e sportiva del grande fuoriclasse austriaco, Matthias Sindelar. Un nome che la memoria corta della storia di cuoio avrebbe dimenticato senza quel libro (uscito nel 2007). E nei giorni dedicati alla Memoria delle vittime del totalitarismo nazifascista, non possiamo che celebrare la figurina unica di Sinde-lar, per troppo tempo ricordato soltanto come il “calciatore suicidato”, il 23 gennaio 1939. Ottant’anni fa in un appartamento di Vienna, la città in cui Sindelar era l’idolo indiscusso venne ritrovato morto: disteso sul letto mano nella mano con il suo grande amore italiano, l’ebrea milanese Camilla Castagnola. Una ragazza di appena 29 anni che per amore del suo campione aveva lasciato l’Italia, l’insegnamento nel Liceo e si era trasferita ad insegnare a Vienna. La capitale mittel in cui Matthias, figlio anche lui di una famiglia con radici ebraiche, nato a Kozlov nel 1903 (ai confini con la Slovacchia), era arrivato da bambino. Infanzia povera, una casa popolare nel quartiere industriale Favoriten, lui, unico maschio di casa dopo la morte del padre, caduto nella Grande Guerra sull’Isonzo, nel 1917. La madre Marie, rimasta vedova apre una lavanderia e cresce da sola Matthias e le sue tre sorelle. Un’adolescenza di sacrifici per il il giovane Sindelar per il quale il calcio all’inizio è una palla di stracci che rimbalza male sulla sabbia rossa lasciata per la strada dagli scarichi delle fabbriche di mattoni. Poi quel pallone diventa una “manna” che non arriva dal cielo ma dal fiuto di un talent-scout, il maestro elementare Karl Weimann che, da calciatore dilettante e un passato da arbitro, gli basta vedere il dribbling e lo scatto secco del ragazzo per capire di trovarsi davanti al «fenomeno». Viso sottile e fisico magro dalla muscolatura agile e nervosa il ragazzo si farà le ossa nell’Herta e da lì passa al prestigioso Amateur Wiener (l’attuale e nobile Austria Vienna) del presidente Michl Schwarz. L’uomo che non sarà solo il suo massimo dirigente ma sostituirà la figura del padre perduto. Per lui, e per i compagni di squadra diventa ben presto “Der Papiereine”, “Carta Velina”, ma l’elegante tocco di palla e la fantasia da incantatore quanto il flauto magico, da stampa e tifosi viene elevato a “Piedi di Mozart”. Per preparazione atletica e cura dei dettagli stiamo parlando di un autentico antenato di Cristiano Ronaldo. Un leader umile e silenzioso, alla Scirea, adorato dal saggio mister Hugo Meisl, il boemo che su Sindelar fondò la leggenda e le fortune della più forte nazionale austriaca di tutti i tempi. Il “Wunderteam”, l’Austria che nel biennio che portava ai Mondiali italiani del ’34 inanellò una serie record di 12 vittorie (due pareggi e due sole sconfitte contro i maestri d’Ungheria e a Londra 4-3 con i pionieri del football) realizzando 63 gol: 27 dei quali a firma di “Piedi di Mozart” Sindelar. Il bomber lirico, dopo gli allenamenti e ogni partita amava ascoltare Schubert al gram- mofono o seduto al Wiener Staatsoper e ragionava, non solo con i piedi, ai tavoli del Gran Cafè. Un uomo del popolo che, memore delle sue origini umili, andava in soccorso dei poveri di Vienna e donava biglietti gratuiti per lo stadio, specie ai bambini, la sua grande passione. «Veniva a casa per me, non per mio padre», ricordava da adulto Franz Schwarz, il figlio del patron dell’Austria Vienna. Ed era quella tenerezza del bomber dall’animo trasparente, come la carta velina, che fece innamorare le folle degli stadi e anche la giovane Camilla. La Castagnola in questa breve ma intensa storia di una passione entra in scena nell’estate del ’34, quando da perfetta sconosciuta ma grande appassionata di calcio, si presenta nell’ospedale milanese in cui Sindelar è stato ricoverato per il ginocchio andato in pezzi. Fatale fu quel-l’entrata da “boia” dell’oriundo azzurro Luisito Monti nella semifinale persa (a San Siro) dall’Austria contro quell’Italia di Vittorio Pozzo che a Roma alzò al cielo la sua prima Coppa Rimet. «Meazza e compagni campioni del mondo», «Carriera finita per Sindelar» titolavano i giornali di allora. Ma un’operazione al menisco, sperimentale per l’epoca, e l’amore della bionda ed eterea Camilla rimisero in piedi il campione che, ginocchio perennemente fasciato, tornò ad essere il faro dell’Austria Vienna con cui nel ’36 conquistò la seconda Coppa Mitropa (antesignana della Champions) e si preparava a volare in Francia per i Mondiali del ’38, quelli della rivincita. Ma la sua Austria si estinse prima, complice il feraleAnschluss e l’imperativo hitleriano di una pangermanizzazione, anche del calcio. Austria e Germania unite sotto un’unica selezione con la svastica stampata sul petto. Una ferita al cuore per l’idealismo romantico di Matthias e una condanna già emessa, con le leggi razziali, nei confronti dell’ebrea Camilla. Il 3 aprile 1938 al Prater di Vienna, davanti a 60mila spettatori, l’ultimo atto del “Wunderteam”, ormai denominata “Ostmark”, si consuma nell’amichevole farsa – a uso e consumo della propaganda nazista – contro la Germania. Il 35enne Sindelar disputa la più bella partita della sua immensa carriera e realizza il gol del 2-1 per la selezione austriaca. Una rete che, in tribuna, aveva già offuscato l’umore dei gerarchi nazisti, i quali divennero furiosi al passaggio del giocatore che, con il compagno di squadra Karl Sesta si rifiutò di fare il saluto nazista. Ma mentre poi Sesta ebbe un ripensamento, e a 35 anni debuttò nella nazionale tedesca, – la stessa che per espressa volontà del ct Sepp Herberger aveva convocato Sindelar – il “Mozart del calcio”, così come aveva giurato amore eterno a Camilla non avrebbe mai tradito la sua ex “Austria felix”, e disse «no». Una decisione che pagò con la vita. Per lui e la Castagnola quel tetro 1938 fu l’ultima stagione, non solo calcistica, ma un lento e precoce autunno dell’esistenza che si trascinò tra nostalgie amorose e la speranza di un ritorno agli antichi fasti. «Camilla aveva preso a ricordare. Aveva sentito dire che rimpiangere il passato significa pregiudicare il futuro», scrive Governato in memoria di quell’amore struggente che culminò in tragedia. La Gestapo, dal giorno del “grande rifiuto” marcava stretto il campione e la sua donna. Lunghi mesi da spiati, trascorsi come gli amanti deLavita degli altri (lo splendido film von Donnersmarck, premio Oscar del 2007, stesso anno d’uscita del romanzo di Governi). L’ultimo capodanno (del ’38), Matthias e Camilla festeggiarono con pochi amici e una casa riscaldata anche dalla nuova stufa appena acquistata da Sindelar. Un particolare importante: la polizia tedesca parlò di morte della coppia per via delle esalazioni causate dalla stufa: dunque un incidente, forse un suicidio. Non vi fu nessuna autopsia, né, agli archivi tedeschi risulta un fascicolo sul “Caso Sindelar-Castagnola”. Finale di partita. In 40mila a Vienna accorsero al funerale del “Mozart del pallone”, ben presto dimenticato in un’Europa in fiamme, in cui anche gli eroi dello sport finirono sotto le macerie della guerra o deportati nei campi di concentramento. In Italia, quel 23 gennaio 1939, gli azzurri campioni del mondo (per la seconda volta) piansero il grande Sindelar, specie Giuseppe Meazza che per diventare il campione che è stato, aveva studiato per anni i movimenti e la tecnica di quel “Mozart” innamorato del calcio, dell’Austria, e della sua Camilla.