Corriere della Sera, 23 gennaio 2019
Il padre del laser Gerard Mourou: «Scoprii le sue proprietà sciando»
«Ho iniziato ad occuparmi di ricerche nel campo laser ancora nel 1967 – racconta il Premio Nobel per la Fisica nel 2018 Gerard Mourou —. Ero affascinato dalle nuove sorgenti di luce, cioè dai laser. A differenza delle comuni lampade, si tratta infatti per la prima volta di avere disponibili sorgenti coerenti, cioè direzionali e di un solo colore e con elevatissima brillanza. Da un punto di vista applicativo ero anche attratto dal fatto che non erano chiaramente noti quali potessero essere i suoi reali utilizzi. A quel tempo, infatti, il laser era anche chiamato “una brillante soluzione in cerca di un problema”». Mourou è di casa al Politecnico di Milano e lo ha scelto per la sua prima conferenza pubblica dopo l’assegnazione del Nobel. Altre 150 sono in calendario in numerose nazioni. «Un gradito riconoscimento», come ha ricordato il rettore Ferruccio Resta, proseguendo così un prezioso rapporto tra il grande scienziato e la scuola laser del Politecnico creata da Orazio Svelto che lo stesso Mourou ha battezzato «il padre del laser italiano». Tra l’altro Mourou, 74 anni, dopo aver trascorso trent’anni negli Stati Uniti, tra l’Università di Rochester e del Michigan prima di rientrare in Francia, per cinque mesi si fermava nel laboratori del Politecnico svolgendo attività di ricerca.
Al Nobel lo scienziato francese è arrivato per la sua idea diventata famosa con l’acronimo Cpa (Chirped Pulse Amplification) consistente nella generazione di impulsi ottici ultrabrevi e ultraintensi capaci di aprire un panorama di preziose applicazioni soprattutto legate alla medicina. Ma non solo. «L’idea iniziale derivava dalla difficoltà incontrata nell’amplificare i laser che avevo a disposizione a Rochester. Per superarla ebbi l’intuizione di allungare l’impulso e quindi di comprimerlo in modo adeguato. Questo succedeva mentre sciavo durante le vacanze natalizie in un ambiente rilassante e stimolante. Donna Strickland, che allora collaborava come me per la tesi di dottorato, diede un prezioso contributo dimostrando l’ applicabilità dell’idea». Insieme scrissero la conquista raggiunta ed entrambi meritarono il Nobel.
Il risultato faceva maturare nuove possibilità prima impensabili. «La più importante che emerse presto – spiega Mourou – riguardava l’oculistica ed era mirata alla correzione dei difetti visivi come miopia e astigmatismo. Infatti si mettevano a punto le due tecniche Lasik e Smile attraverso le quali con impulsi ultrabrevi e intensi si sagomava la cornea creando una lente negativa. In tal modo era possibile operare in maniera molto precisa minimizzando i danni ai tessuti circostanti. Era un magnifico passo avanti a vantaggio dei pazienti e rapidamente si diffondeva. Finora, con queste tecniche si calcola siano stati operati nel mondo circa 25 milioni di persone».
Ma altre prospettive si stanno concretizzando derivate dall’invenzione di Mourou. «Sicuramente tra le nuove applicazioni c’è l’uso della mia tecnica per accelerare particelle come elettroni e protoni costruendo acceleratori più piccoli e più funzionali da usare nella terapia tumorale oggi nota come adroterapia. Altre ancora riguardano la fisica nucleare, sempre per arrivare a macchine acceleratrici meno gigantesche e meno costose dedicate allo studio dei costituenti dell’ atomo come accade al Cern di Ginevra, ma anche per trattare i rifiuti radioattivi, per l’archiviazione dei dati, le comunicazioni o la realizzazione di veloci sistemi di cattura delle immagini».
La frontiera dei laser ormai riguarda da tempo dalla vita quotidiana, alla ricerca, alla Difesa e per questo la gara tra i maggiori laboratori del mondo è sempre più accesa. «È vero – ammette il Nobel —. Però l’Europa è oggi un passo avanti rispetto agli Stati Uniti. L’Italia, inoltre, ha una posizione rilevante nel team europeo che lavora al progetto LaserLab e Milano è un centro di eccellenza a livello internazionale grazie al lavoro svolto da Orazio Svelto negli ultimi quarant’anni». Il futuro prossimo, dunque, che cosa ci riserverà ? «Intanto bisogna studiare per passione e non per raggiungere il Nobel anche perchè si potrebbe rimanere delusi – dice con ironia, sorridendo -. Il meglio, comunque, deve ancora venire».