Corriere della Sera, 23 gennaio 2019
Quanto ci manca Umberto Eco
«Anni fa a New York sono capitato con un tassista (…) pachistano. Mi ha chiesto da dove venivo, gli ho detto dall’Italia, mi ha chiesto quanti siamo ed è stato colpito che fossimo così pochi e che la nostra lingua non fosse l’inglese. Infine mi ha chiesto quali sono i nostri nemici. Al mio “prego?” ha chiarito pazientemente che voleva sapere con quali popoli fossimo da secoli in guerra per rivendicazioni territoriali, odi etnici, continue violazioni di confine, e così via. Gli ho detto che non siamo in guerra con nessuno. Pazientemente mi ha spiegato che voleva sapere quali sono i nostri avversari storici, quelli che loro ammazzano noi e noi ammazziamo loro. Gli ho ripetuto che non ne abbiamo, che l’ultima guerra l’abbiamo fatta cinquanta e passa anni fa, e tra l’altro iniziandola con un nemico e finendola con un altro».
Difficile dimenticare, soprattutto di questi tempi così gonfi di odio, la lezione straordinaria che Umberto Eco tenne il 15 maggio 2008 all’Università di Bologna. Era intitolata «Costruire il nemico». E dopo quell’incipit in cui raccontava dello stupore provato quel giorno a New York a sentirsi fare quella domanda inattesa, il grande scrittore proseguiva riflettendo via via più amaro sul bisogno che dalla notte dei tempi aveva spinto l’uomo a crearsi un nemico: «Avere un nemico è importante non solo per definire la nostra identità ma anche per procurarci un ostacolo rispetto al quale misurare il nostro sistema di valori e mostrare, nell’affrontarlo, il valore nostro. Pertanto quando il nemico non ci sia, occorre costruirlo». Il persiano. Il barbaro. Il lebbroso. Il negro. L’immigrato. L’ebreo.
Sono tre anni che se ne è andato, Umberto Eco. E Dio sa quanto ci manchi. Più ancora in giorni come questi in cui, alla vigilia della «Giornata della Memoria» di cui ignora probabilmente tutto, un deputato settantenne grillino come Elio Lannutti posta su Facebook odio antisemita riesumando «I protocolli dei Savi di Sion» amati da Adolf Hitler e pensa di cavarsela farfugliando ops, mi è scappata, chiedo scusa. Come si trattasse d’una battuta stupida sfuggita in Transatlantico. E la cosa più grave, ha ragione Enrico Mentana, è che a troppi suoi colleghi sembra solo un infortunio… Dimissioni? Perché mai…