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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Vivere come un albero (con la realtà virtuale)

Se fossimo un albero, che cosa sentiremmo? Forse non è una domanda che ci poniamo spesso, ma al World Economic Forum in corso a Davos è possibile fare questa insolita e straordinaria esperienza: trasformarci in una pianta e provare com’è la sua vita, grazie alla realtà virtuale e l’ausilio di alcuni elementi multisensoriali. Da seme, al buio sotto terra, a vittima della deforestazione. 
Il progetto si chiama «Tree», albero in inglese. «Volevamo parlare di cambiamento climatico, ma un video che documenta un disastro e poi fornisce statistiche sarebbe stato noioso. Ormai siamo immuni a immagini e numeri», racconta Milica Zec, 36 anni, regista serba, emigrata 12 anni fa negli Stati Uniti e cofondatrice (con l’americano Winslow Turner Porter) di New Reality, la società che ha realizzato Tree, diretto dai due soci. «L’idea? Personalizzare, perciò abbiamo deciso di mettere la persona dentro un albero, per fargli sentire quello che prova». 
«Negli ultimi 100 anni i film hanno comunicato una storia. Con la realtà virtuale e la multisensorialità, ricreando elementi come il vento, il calore, gli odori, e grazie a una sorta di gilet attivo per percepire le vibrazione che simulano la crescita, non abbiamo più bisogno di uno schermo», aggiunge Porter, 37 anni, americano. «Possiamo immergerci direttamente dentro la storia, immedesimarci. Così diventa un’esperienza molto più profonda, che ricordiamo a lungo». Ecco la chiave: «Quando una cosa ci tocca da vicino, diventa un nostro problema – spiega Zec —. Le foreste pluviali sono così lontane da noi, ma sono il polmone del pianeta, il nostro alleato naturale per rallentare il cambiamento climatico, per questo dobbiamo preservarle». 
In «Tree» l’esperienza comincia invitando lo spettatore a piantare un seme vero dell’albero di Kapok in un vaso di terra. Poi si indossa una specie di zainetto interattivo (Subpac), che trasmette vibrazioni al busto per sperimentare la trasformazione della pianta. Completano l’equipaggiamento una maschera virtuale, cuffie e manopole per orientare la crescita dei rami, che diventano le nostre braccia. All’inizio è tutto buio: siamo il seme sotterra, sentiamo l’odore di humus che sa di buono, osserviamo rivoli di acqua scorrere sotto di noi. Poi comincia la lotta per salire in superficie, verso quel raggio di sole che penetra il terreno. Quando emergiamo, siamo al livello dei funghi e delle formiche rosse, che appaiono gigantesche. Continuiamo a crescere: le nostre gambe sono il tronco e man mano che si alza dal suolo gli insetti rimpiccioliscono. Siamo nella foresta pluviale del Perù, con tutti i suoi odori e rumori incessanti: ogni tanto un pappagallo si posa sui nostri rami. Nella notte di luna piena sembra di toccare le stelle con i rami. Il vento agita le nostre fronde. È una sensazione strana, ma bellissima. Poi all’improvviso la notte è squarciata dal bagliore del fuoco: fumo e fiamme si avvicinano sempre di più, sentiamo l’odore di fumo. Le fiamme attaccano anche le nostre radici, non c’è scampo, l’albero prende fuoco e cade. È la fine. 
«Quando le persone si tolgono la maschera di realtà virtuale sono in lacrime. Oggi è successo già quattro volte, perfino a una professoressa della Cornell University. Li abbracciamo per confortarli», dice Porter. Perché la tragedia del pianeta diventa la nostra. 
La statistica più angosciante: soltanto nel 2017 abbiamo perso l’equivalente di 40 campi da football di alberi ogni minuto. «Se non agiamo ora, entro il 2030 soffriremo conseguenze catastrofiche, ha messo in guardia il rapporto dell’Ipcc dell’Onu, lo scorso ottobre. Ed è stata una sveglia per tutto il pianeta», afferma la regista serba. 
New Reality, fondata 3 anni fa, specializzata in progetti con impatto ambientale e sociale, ha cominciato con «Giant», sul tema della guerra, proiettato anche al Maxxi di Roma, mentre «Tree», che ha debuttato al festival di Sundance nel 2017, è arrivato all’evento di Internazionale a Ferrara. Il prossimo progetto sarà «Breathe»; ci farà entrare nel corpo di una bambina di 6 anni, sopravvissuta a una guerra, e l’accompagneremo per tutta la sua vita, fino a 90 anni. «Dopo la distruzione degli uomini e della natura, vogliamo ridare speranza», anticipa Zec. Un sensore misurerà il nostro respiro, permettendoci di osservarlo.