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Intervista a Joseph Stiglitz: «La ricchezza concentrata in poche mani minaccia la democrazia»
«Ventisei super-ricchi detengono risorse pari al 50% più povero dell’umanità? Mi amareggia ma non mi stupisce. È un trend progressivo, inarrestabile: l’anno scorso la seconda di queste cifre era pari a non più del 47%». Joseph Stiglitz, economista della Columbia University di New York, legge gli sconfortanti dati dell’Oxfam, e condivide la definizione sintetica dell’organizzazione inglese (basata a Nairobi): “out of control”, una deriva fuori controllo.
«Dovrebbe rifletterci chi continua a considerare l’America un modello: questa piega degli eventi ha la sua radice proprio negli Stati Uniti». Stiglitz, dopo aver vinto il premio Nobel nel 2001 per i suoi studi sulle “asimmetrie” informative che influenzano i mercati, si dedica da molti anni alla ricerca sulle diseguaglianze e sui loro effetti devastanti in termini di sviluppo sociale e benessere collettivo: «Le ingiustizie sociali sono arrivate a un punto tale da minacciare la democrazia in tutto il mondo».
Perché, per la violenza che esplode nei movimenti di protesta come i “gilets jaunes”?
«C’è anche il pericolo che qualche demagogo si impadronisca della rabbia popolare. Le forme di attacco alla democrazia sono sofisticate e subdole. Prendiamo l’America: c’è la manipolazione dei collegi elettorali, e c’è chi dice anche i brogli. E spesso la sudditanza psicologica dei cittadini di fronte ai ricchi. È come se dovessero comandare per forza, e non solo sul posto di lavoro: io lo chiamo “capitalismo manageriale”».
E i manager medesimi guadagnano centinaia di volte in più dei loro impiegati?
«Purtroppo è così. Non c’è verso di correggere questa tendenza. Il Dodd-Frank Act, le riforma finanziaria varata nel 2010 perché non si ripetessero gli eccessi che avevano portato alla crisi, fissava paletti precisi sulle retribuzioni degli amministratori delegati, a partire da quelli delle banche, specie in termini di trasparenza: si voleva che gli azionisti avessero ben chiaro cosa avrebbe guadagnato quel dirigente. Ma la lobby dei super-ricchi, assistita dai migliori avvocati, è riuscita a non rispettare questa disposizione, a calpestarla al momento dell’emanazione dei regolamenti attuativi, insomma a non accettare limiti al proprio potere economico. Il principio say and pay degli azionisti, parla e paga, è stato disatteso. In 40 anni la quota dei redditi complessivi in mano allo 0,1% della popolazione al top è quadruplicata, gli stipendi del ceto medio sono fermi a 60 anni fa in termini reali. Ma c’è di peggio: per molti le diseguaglianze sono una tragedia vera. Pensi alla salute».
Per le carenze nell’assistenza universale?
«Non solo. La sconvolgente situazione dei Paesi poveri è sotto gli occhi del mondo. Ma anche nella stessa America, al di là delle mere statistiche sul Pil ci sono 20 milioni di poveri dei quali fra i cinque e i dieci in povertà assoluta: i repubblicani ora al potere sono riusciti a smantellare buona parte dell’Obamacare: 13 milioni di americani sono di nuovo privi di assistenza gratuita. Il tutto dettato dalle grandi aziende. E vogliamo parlare delle tasse? La riforma fiscale di Trump ha abbassato le aliquote per le aziende - il che suona come un aiuto agli amici del presidente, ma potrebbe essere accettabile perché le imprese sono tornate a investire - senza alzarle però sugli individui più abbienti, come logica avrebbe richiesto. Invece le ha aumentate per il ceto medio. Risultato, un impoverimento brutale e diffuso».
Lei cita l’America, ma le diseguaglianze non sono un problema solo americano, anzi.
«Certo, sono diventate una costante in buona parte del mondo. E un dramma collettivo senza pari nei Paesi emergenti. La Gran Bretagna è allineata sul modello americano, la Germania sta un po’ meglio. Solo l’Australia è riuscita a introdurre norme stringenti, e a farle rispettare, che temperano lo strapotere economico dei capitani d’industria».
E l’Italia?
«Non ho studiato bene le dinamiche italiane. Però c’è una regola generale. I governi, specialmente quelli che tendono a destra, e sono sempre di più nel mondo, dovrebbero stare attenti: non è vero che tassando meno i ricchi i benefici ricadono poi sulla popolazione; è vero al contrario che spesso più deregulation, e ancora di più quando il sistema finanziario è preponderante rispetto all’economia reale, porta a più diseguaglianze, quindi più povertà e ingiustizie».