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Intervista a Sabino Cassese: «Anche il popolo sbaglia»
Professor Cassese, la Camera sta votando la riforma costituzionale che introduce in Italia il referendum propositivo. Si tratta di una pietra miliare per la cosiddetta “democrazia diretta”, obiettivo identitario per i 5Stelle. Rispetto al progetto iniziale del Movimento il testo è molto cambiato e sono state accolte diverse proposte dell’opposizione. E tuttavia per alcuni giuristi si corre comunque il rischio di svuotare un Parlamento già troppo spesso scavalcato. Lei, da giudice emerito della Corte Costituzionale, come la vede?
«Va apprezzato l’atteggiamento dialogante del M5S, che conferma una propensione all’ascolto del ministro Fraccaro. Va valutato positivamente il fatto di aver udito esperti (il governo comincia a rispettare la competenza?). Va apprezzato il compromesso raggiunto sulla proposta dell’opposizione (Stefano Ceccanti) relativa al quorum di approvazione. Rimangono, però, domande senza risposta, relative agli effetti sistemici del popolo legislatore sull’assetto costituzionale. Quale effetto questo avrà sull’ipertrofia legislativa italiana, senza un limite al numero delle leggi popolari? Non c’è il pericolo di andare ad intasare un già affollato quadro legislativo, svuotando il Parlamento? Come può incidere il carattere necessariamente dicotomico del referendum (si risponde solo sì o no) su decisioni che richiedono scelte più complesse? Quale sarà l’effetto di una legge proposta e approvata dal popolo? Il Parlamento potrebbe poi modificarla o abrogarla?».
L’articolo 1 della nostra Carta dice che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti stabiliti dalla Costituzione”. Quelle forme vengono ora messe in discussione?
«Questa è la proposta di una legge costituzionale, che opererà come uno dei limiti a cui fa riferimento l’articolo 1. Ma ci sono norme che possono difficilmente operare.
Una è quella che consente leggi popolari anche di spesa, con l’obbligo di indicare i mezzi per farvi fronte. Ma come possono promotori e popolo indicare i mezzi per farvi fronte? Non si finirà come gli emendamenti al bilancio proposti a suo tempo da Rifondazione comunista, che indicava sempre l’introduzione di una imposta patrimoniale? L’iniziativa in materia di bilancio, che la Costituzione affida solo al governo, ha una sua ragion d’essere, perché il governo conosce i conti e ha l’“expertise” tecnica. Il Parlamento può indicare i mezzi per far fronte alla spesa perché dispone permanentemente del potere legislativo. Il popolo non può che rinviare a successivi provvedimenti, che non sono necessariamente nella sua disponibilità».
Grazie al pressing di opposizioni e giuristi è stato introdotto un quorum: la proposta referendaria diventa legge se il sì vince con i voti di almeno il 25 per cento dell’elettorato, circa 12,5 milioni di cittadini. Inoltre non c’è più il “ballottaggio” tra la proposta del “popolo” e quella eventualmente approvata dalParlamento. Non sono correzioni sufficienti ad evitare lo svuotamento delle Camere?
«Non credo che bastino. Il Parlamento è da tempo sotto attacco: si pensi alla questione vitalizi. C’è il pericolo di portarlo fuori asse, spostando il peso della legislazione maggiore verso il popolo. Norberto Bobbio ha scritto una volta che nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia».
Altra novità è il vaglio preventivo di ammissibilità da parte della Corte costituzionale sulle materie sottoposte a referendum. Questo “filtro” dovrebbe assicurare il rispetto dei vincoli internazionali e di quelli sulle leggi di spesa e in generale dei principi fissati dalla stessa Carta. Basterà questo a scongiurare un impatto negativo sulla nostra legislazione?
«Non completamente, perché c’è poi l’aspetto quantitativo, come ho detto prima».
Il Pd appare in una situazione imbarazzante: la maggioranza ha accolto diverse sue proposte di modifica e il referendum propositivo era previsto anche dalla riforma Boschi (bocciata dal referendum del 2016). Probabilmente i democratici si asterranno in questo primo passaggio alla Camera. Dovrebbero fare diversamente?
«Il Partito che si denomina democratico può opporsi con difficoltà all’introduzione di maggiore democrazia. Il punto critico sta nell’assicurare questa maggiore democrazia. Come evitare un certo plebiscitarismo insito nei referendum? Come assicurare quegli errori madornali che il popolo può fare (vedi la Brexit)? Quindi, io sarei favorevole a introdurre qualche limite esplicito (ad esempio di materia o relativo ad alcuni diritti indisponibili) in modo che la democrazia diretta non “mangi” quella rappresentativa, per evitare errori che l’abuso dei referendum ha prodotto in California, ad esempio».
Ma il problema della democrazia diretta, o di una maggiore partecipazione dei cittadini al processo politico-legislativo, esiste o no? E come si dovrebbe risolvere?
«Ci sono due punti critici. I sostenitori della democrazia diretta sono singolarmente afoni quando si passa alla democrazia deliberativa, che è la partecipazione dei cittadini alle grandi decisioni collettive di carattere amministrativo. Ad esempio la Tav. L’altro è quello della prova di resistenza alla quale il governo sta sottoponendo le istituzioni italiane. Il fatto che un decreto legge come quello sul reddito di cittadinanza e su quota 100 viene approvato in Consiglio dei ministri, insieme con molti altri provvedimenti, in 38 minuti vuol dire che anche il Consiglio dei ministri è diventato un organo di ratifica. La sovrabbondanza di decreti legge vuol dire che si promette più democrazia, ma se ne assicura meno. La fame di posti e il desiderio di liberarsi degli attuali amministratori va ben al di là del pure deprecabile “spoils system” ed è segno di una preoccupante “occupazione dello Stato”. Se il ministro dello sviluppo economico afferma che la Banca d’Italia “non ci prende”, vuole dire che abbiamo bisogno di un nuovo Baldassarre Castiglione per spiegare la compostezza ai nostri governanti. Quale sarà l’effetto del referendum propositivo, quando andrà ad aggiungersi a tutto questo?»