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 2019  gennaio 23 Mercoledì calendario

Tutto il potere agli scimmioni

Il potere per Jean-Didier Vincent, neurobiologo, neuropsichiatra, membro dell’Accademia francese delle Scienze e divulgatore-guastatore, è un fenomeno umano. Troppo umano. Una prerogativa della nostra specie. Nella gran parte dei vertebrati vige il principio della dominanza, in altre parole la prevalenza del più forte sul più debole, che sia per la conquista di un territorio, l’ordine di beccata per i polli o il privilegio dell’accoppiamento. Solo le grandi scimmie - sostiene - conoscono il fenomeno della leadership. La capacità di orientare il consenso attraverso persuasione e strategie.
Un senso per il potere che è particolarmente acuto negli scimpanzé ed è all’apice nell’essere umano. In realtà, fenomeni di leadership sono stati recentemente studiati anche nei branchi di lupi e nei delfini, dove è l’abilità nel gestire le risorse, risolvere conflitti e guidare i gregari in un territorio nuovo è decisiva rispetto alla possanza fisica. Gli uomini, però, attraverso il linguaggio e la coscienza di sé, sono arrivati a organizzare il potere in modo da regolare e dirigere - e spesso affliggere - società complesse. Un potere che si estende nello spazio e dura nel tempo.
«Il potere risponde al bisogno di organizzazione di una società. Ci sono varie forme di potere, come la dominanza, che è un fenomeno biologico, mentre il potere nelle società umane dipende soprattutto dalla leadership, che è differente e nasce in zone del cervello, come l’amigdala, responsabili delle emozioni, e in quello che chiamo cervello sociale e, quindi, nella capacità dell’uomo di riconoscersi l’uno nell’altro».
Il potere può essere gelido. Un insieme di sistemi politici di calcolo, persuasione e coercizione ben bilanciati. «Stato si chiama il più freddo di tutti i mostri», è una frase di Friedrich Nietzsche da «Così parlò Zarathustra» che Vincent cita nel suo nuovo libro «Biologia del potere», appena uscito per Codice Edizioni. L’autore riprende anche il «Leviatano» di Thomas Hobbes, mostro oceanico e ambivalente, metafora paurosa ma pure di governo legittimo. Il punto è che il potere può essere anche caldo. «Il potere, di fatto, è una passione dell’uomo», dice Vincent. E le passioni nascono nella neurobiologia umana.
Questo saggio è l’ultimo di una serie di libri di divulgazione - qualche commentatore ha parlato di perturbazione -, come il fortunato «Biologia delle passioni» e la «Biologia della coppia». Dove lo scienziato-scrittore ha portato sulla scena biochimica e discipline neurologiche per farle dialogare con l’arte, il sesso, la società. Nell’indagare l’origine remota del potere, stavolta, Vincent, pone in dialogo etologia e filosofia della politica, dipinti celebri - come il «Mondo Nuovo» di Giovan Battista Tiepolo - e letteratura, per esempio il «Brave New World» di Aldous Huxley. E poi i meccanismi neurali di dominanza sociale nella corteccia prefrontale, studiati da Noriya Watanabe e Miyuki Yamamoto, si remixano con la «Scienza Nuova» del filosofo settecentesco Giambattista Vico. Soprattutto, il neurobiologo non si accontenta delle chimiche cerebrali che fanno girare il rondò del potere, ma esibisce la passione (biologica, ovviamente) del moralista, come quando fa risalire l’età dell’oro alle pacifiche ed egualitarie società di cacciatori-raccoglitori del Paleolitico superiore, prima dell’agricoltura e dell’allevamento.
È divertente leggere alcuni degli studi scientifici elencati da Vincent, sovrapponendoli alla cronaca politica di questi giorni. Il «pecking order», le gerarchie a colpi di becco tra i polli, ricordano da vicino gli scambi di battute al vetriolo tra Emmanuel Macron e Matteo Salvini. I trabocchetti - a volte mortali - di babbuini e scimpanzé anziani a danno dei giovani pretendenti al comando, attraverso vere e proprie congiure, fanno pensare agli sgambetti di Massimo D’Alema a Matteo Renzi. La xenofobia di oche e galline ci dice qualcosa sulle nostre paure verso i migranti. La manipolazione della paura, d’altra parte, è arte umana. L’idea spiazzante di Vincent è nell’accostare biologicamente amore e potere: entrambi - ragiona - nascono dagli stessi sistemi desideranti del cervello. L’ormone dell’ossitocina, infatti, è la benzina del «cervello sociale» che spinge gli umani alla cooperazione, alla formazione della famiglia e, infine, anche alla creazione di ruoli e gerarchie.
I meccanismi dell’empatia, allora, sono gli stessi del carisma del capo e dell’obbedienza a a un sistema o a un despota? I governati si riconoscono in una guida, democratica o autoritaria, attraverso un processo di transfert emotivo e a un calcolo di convenienze. Nello stesso tempo, però, il potere mette da sempre in scena un teatro della crudeltà e della violenza che ha poco di empatico. Insomma: come il discorso amoroso - per citare Roland Barthes - la narrazione del potere può avvenire soltanto attraverso frammenti.