ItaliaOggi, 22 gennaio 2019
L’intelligenza artificiale meglio dell’invenzione della ruota
È tornato di attualità nel dibattito, anche politico, un argomento vintage: la fine del lavoro. Nel 1995 così intitolò il suo saggio l’americano Jeremy Rifkin che preconizza eserciti di disoccupati resi tali dalla crescente capacità computazionale dei computer. Oggi è il turno dell’intelligenza artificiale ad essere sul banco degli imputati, perchè pronta anch’essa a creare una disoccupazione di massa.La realtà è, fortunatamente, molto diversa. Il progresso della tecnologia continua a produrre il risultato più importante per la specie umana: liberare il suo cervello dalle catene di lavori e di mansioni a basso valore aggiunto e poco qualificanti, in quanto ripetitive, per dischiudere le porte a nuove forme di occupazione ad alto tasso «di cervello». L’emersione dell’intelligenza artificiale, da questa prospettiva, è considerabile, per la qualità del lavoro e per la valorizzazione della materia grigia, la discontinuità più importante della storia umana recente, paragonabile all’avvento della ruota capace, allora, di ridisegnare l’organizzazione della vita umana.
Temere gli effetti dell’intelligenza artificiale significa, banalmente, aver paura del fatto che la stragrande maggioranza degli umani possa essere stimolata a fare lavori ad elevato valore aggiunto cerebrale, perché l’azione dei robot ha come obiettivo la sostituzione degli uomini nella esecuzione dei lavori dove la produzione di conoscenza, anche specialistica, innovativa è marginale o del tutto assente. E cosa c’è di più importante, per una società il cui progresso e la cui ricchezza collettiva è fondata sull’ammontare di conoscenza accumulata, del saper creare le condizioni per produrre nuova conoscenza? Nulla, ovviamente.
E la diffusione dell’intelligenza artificiale significa esattamente tutto ciò perché la maggior parte dei cervelli del pianeta saranno «costretti» a lavorare in occupazioni non standard o non affidabili a sistemi esperti o evoluti e quindi saranno libere di formarsi e applicarsi in lavori originali e di qualità per produrre nuova conoscenza. È il più grande moltiplicatore della storia nella produzione del sapere e, quindi, di forme occupazionali originali e stimolanti. Un mondo di nuovi lavori e un modo nuovo di stare nel mondo del lavoro. Come descritto nel libro in uscita 7 giorni per volare di Daniele Viganò che, introducendo il concetto di talento liquido, aiuta indirettamente a capire quanto migliore sarà il mondo del lavoro post rivoluzione dell’AI.