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 2019  gennaio 20 Domenica calendario

Leggere e scrivere

Una donna che legge seduta su un palo confitto nel mare, mentre le onde le si rifrangono intorno. Accavalla le gambe e appare concentrata nella lettura del libro, che regge in mano. Lo tiene con la mano sinistra e afferra il volume dalla costa superiore, mentre con la destra lo sfoglia; ha la testa reclinata ed è indifferente a tutto quanto accade intorno a lei. La foto è sulla copertina di un libro appassionato, A libro aperto. Una vita è i suoi libri (Feltrinelli), scritto da Massimo Recalcati, psicoanalista. Si tratta di un’autobiografia in forma di lettore, attraverso i volumi che l’autore ha letto nel corso della sua vita: una sequenza d’incontri decisivi. Ogni libro segna un momento particolare della vita di Recalcati, a partire dall’Odissea, incontrata da bambino, per passare attraverso Il sergente nella neve di Mario Rigoni Stern, L’interpretazione dei sogni di Freud sino ad arrivare a La strada di Corman McCarthy, uno dei libri su cui maggiormente Recalcati si è soffermato nei suoi ultimi saggi. Ogni libro è passaggio, la porta d’accesso a una realtà nuova, e insieme strumento per una trasformazione intellettuale: per una nascita del proprio sé. Tutto avviene attraverso il desiderio; ogni libro letto e raccontato segna la nascita d’una consapevolezza ulteriore, da cui non si può più prescindere.
 
E poi il libro legge il suo lettore, tanto quanto è lui a leggerlo e a possederlo: un rapporto biunivoco. Si tratta di un possesso intellettuale, che è anche fisico, spinto dal desiderio di conoscenza e insieme di verità. Lo stile e il tono usati da Recalcati possiedono questa determinazione. Una tensione attraversa il racconto, volume dopo volume. A chi a sua volta lo attraversa restano impresse le pagine dedicate a La nausea di Jean Paul Sartre, con la copertina che reca un disegno di Alberto Giacometti. Il ritmo è quello dell’inesausto, di chi dice: ancora, ancora, e ancora. Una volontà di sapere che non si basta mai, come il dischiudersi di qualcosa che già si possiede; meglio: lo schiudersi continuo di sé. 
 
Ma non c’è solo questo modo di leggere, segnato dalla passione impellente della verità, c’è anche il passo lento di Alberto Manguel, scrittore, saggista che in Vivere con i libri (Einaudi) ci racconta prima di tutto la “scomparsa” della propria biblioteca di trentacinquemila volumi dopo aver vissuto con lei in una casa di pietra a sud della valle della Loira per anni. I libri scompaiono dentro le casse, e finiscono dormienti in un deposito. Manguel s’è trasferito dalla Francia a New York, e i suoi amati libri non lo possono seguire. Una malinconia attraversa questo libro, malinconia del vivere senza i libri. La lettura è il tema preponderante del volume, e i libri scomparsi la fonte del racconto, fondato su dieci digressioni. Un libro di memorie d’un uomo maturo, quasi anziano, differente da quello di Recalcati, che manifesta invece la passione di un giovane uomo alla continua scoperta del mondo. Manguel dà spazio alla malinconia di chi ha molto vissuto, e ha pensato ai libri come una biblioteca, là dove lo psicoanalista sembra più un ragazzo che esamina lo scaffale della propria camera, i libri allineati lì, ciascuno dei quali conservato gelosamente presso di sé. I suoi libri ora vivono nelle pagine che scrive; ogni capitolo diventa l’incontro con un grande amore, che continua nel ricordo ad alimentare il proprio pensiero, come la propria identità.  Manguel, da bibliotecario, non riesce a prescindere dalle incarnazioni materiali dei libri che ha letto. A differenza di Borges, suo maestro, che teneva a mente frasi, o passi dei libri letti, Manguel non riesce a separarsi dal supporto materiale in cui ha trovato le parole che ora ricorda. La parola chiave del suo libro è “conforto”, e non “conoscenza”, come invece per Recalcati. Manguel evoca il suo tavolino da notte dove gli articoli di conforto sono i libri, e dove la biblioteca dei suoi volumi costituisce nella memoria una “dolce rassicurazione”. Ora che non c’è più, almeno fisicamente, la perdita della biblioteca lo aiuta a ricordare chi sia veramente. 
 
Entrambi gli autori conoscono la passione del leggere e del rileggere. Manguel si rifà alla regola borgesiana enunciata da Pierre Menard, per cui ogni testo diventa diverso ad ogni nuova lettura. Definisce questo il lato oscuro della brama di leggere, desiderio che Thomas de Quincey ha dichiarato “assolutamente incessante e inesorabile come la tomba”. Un paragone sorprendente, che richiama l’immagine dei volumi tolti dagli scaffali dopo la sua partenza dalla Francia, ora custoditi nelle casse: tante bare. 

Noi sappiamo che i libri, a differenza degli uomini, possono risorgere; sono loro il vero Lazzaro dell’esistenza umana. Scrivendo con il fuoco della passione Recalcati fa rivivere l’incontro con i singoli libri della sua vita, e rende possibile la loro resurrezione. Il tema della biblioteca è diventato in questi anni una sorta di ricorrente ossessione. Escono sempre nuovi libri dedicati a questa istituzione umana, che nel contempo sembra in crisi: una contraddizione. L’ultimo volume apparso è La biblioteca. Un catalogo di meraviglie di Stuard Kells (Mondadori). Quale sarà il destino della lettura nei prossimi decenni? Continueremo a leggere nei modi e nelle forme attuali, nelle forme in cui sono cresciuti uomini come Recalcati e Manguel? Molte cose sono cambiate e ancora cambieranno. La lettura nella forma tradizionale, legata ai libri e alle biblioteche, è destinata a trasformarsi radicalmente, e in parte questo è già avvenuto. Una neuroscienziata cognitivista americana, Maryanne Wolf, autrice anni fa di Proust e il calamaro (Vita e Pensiero), affronta in una sua nuova opera, Lettore, vieni a casa (tr.it. di Patrizia Villani, Vita e Pensiero), una questione davvero importante: cosa succederà alla lettura nel mondo digitale, che ci sta fagocitando giorno dopo giorno, e insieme digerendoci in modo inarrestabile e silenzioso? Esisteranno ancora lettori come Recalcati e Manguel? Oggi una delle forme di lettura più diffuse tra i giovani è la modalità dello skimming, la lettura superficiale. Favorita dal supporto digitale, consiste in un attraversamento veloce del testo comparso dal fondo luminoso dell’apparecchio – computer, smartphone o tablet, non fa differenza; in questa modalità del testo si colgono solo alcuni grumi di parole, per poi correre subito alle conclusioni e successivamente ritornare alla ricerca di parole utili, per afferrare il senso del testo.
 
Altre due tecniche di lettura si affiancano a questa: skipping, il salto di parti del testo, e browsing, lo scorrimento veloce. Queste tecniche portano ad afferrare aspetti laterali dell’argomentazione o del racconto; non aiutano la comprensione complessiva del testo. In questo tipo di lettura vanno smarriti prima di tutto i dettagli, poiché l’attenzione è catturata dalle “parole chiave”, quelle che vengono indicizzate nel web. Si smarrisce in questo modo non solo l’elemento sequenzialità, ovvero la successione stessa degli eventi di una storia, ma anche il ritmo, quello della storia e più ancora quello della lingua. Per capire occorre normalmente ritornare più volte sul testo che si legge, situarlo nel tempo e nello spazio. Uno degli aspetti che emerge dai racconti di Recalcati e Manguel è la fisicità dei libri, il loro legame con le persone, non solo con il lettore: con chi gli ha messo in mano quel libro. La fisicità in Manguel è legata alla biblioteca; in Recalcati al singolo libro. Il volume è prima di tutto un oggetto situato nello spazio, che può essere afferrato, come fa la ragazza della copertina, che lo stringe in mezzo al movimento delle onde nel mare; lo tiene in modo saldo. La lettura ha bisogno della terza dimensione, e questa è connessa con la capacità della memoria, come ho avuto già modo di argomentare qui: il libro deve essere toccato, aperto, chiuso; tenuto sottobraccio, spiegazzato, consumato.
 

L’elemento tattile è altrettanto importante di quello visivo. Alcune delle pagine di Recalcati fanno venire in mente il modo attraverso cui Comenio insegnava a leggere usando le lettere: lettere che potevano essere messe in bocca e persino mangiate. L’aspetto edibile del libro emerge in A libro aperto, dove la parola contenuta nei volumi è manducata, mangiata e digerita, affinché il sapere possa entrare nel cuore di chi legge. Non a caso il cuore era per gli antichi la sede stessa della memoria. Ricorderanno le generazioni future le parole che leggono sui tablet? Probabilmente sì, ma non sarà più la memoria come la concepivano l’Umanesimo e il Rinascimento, matrici della lettura moderna. Una memoria instabile, labile, fluttuante segnerà il futuro dei lettori? Probabile. La comprensione del testo è tuttavia un atto d’introiezione, come ha spiegato padre Marcel Jousse in un libro straordinario, La manducazione della parola (Edizioni Paoline), un gesto che riguarda la presenza del corpo e la sua stessa simmetria bilaterale. Il pensiero profondo, che ha prodotto i libri di cui si sono nutriti lettori come Recalcati e Manguel, è figlio di una lettura, fondata sull’estensione temporale, piuttosto che su una lettura fratta e frammentata, come quella descritta da Maryanne Wolf. Sarà l’umanità ancora capace di leggere, e perciò di scrivere, in futuro opere filosofiche come il Tractatus di Wittgenstein, Essere e tempo di Heidegger, romanzi come L’uomo senza qualità di Musil o l’Ulisse di James Joyce? Libri per cui occorre una concentrazione e una focalizzazione, oltre che la capacità di leggere e rileggere per ore la medesima frase, e di farla risuonare dentro di sé. Perderemo tutto questo? Possibile, ma per compensare questa perdita in profondità, dovremo necessariamente acquistare un’ampiezza di sguardo, un allargamento dell’orizzonte visivo, che però non sia solo dispersione, bensì unione e unità. Possibile? Per il momento una risposta certa non c’è.