Alberto Cerruti per gazzetta.it, 22 gennaio 2019
GIGI SIMONI FA 80! "L’INTER E’ STATO IL MIO GRANDE AMORE. NON MI ASPETTAVO DI ESSERE ESONERATO. MA MORATTI HA RICONOSCIUTO DI AVERE SBAGLIATO – IL RIGORE NON FISCHIATO A RONALDO CONTRO LA JUVE? UNA FERITA CHE RESTERA’ PER SEMPRE. L’ARBITRO CECCARINI L’HO RIVISTO MA HA FATTO FINTA DI NON RICONOSCERMI – SPALLETTI? A VOLTE FACCIO FATICA A CAPIRLO" – E POI MERONI, BRUNO CONTI, RONALDO (“IL PIU’ FORTE CHE HO ALLENATO”) E QUEL REGALO DI BAGLIONI QUANDO LASCIO’ LA LAZIO… -
Dalla prima partita con la Fiorentina di Bernardini all’ultima come presidente della Cremonese. Gigi Simoni ha attraversato più di sessant’anni di calcio, da giocatore, allenatore e presidente, tra i pochi protagonisti in quattro derby – a Genova, Torino, Roma e Milano –: l’unico ad avere festeggiato dodici promozioni, ma soprattutto l’unico capace di farsi voler bene da tutti, da San Siro a Sanremo.
Da Moratti a Baglioni, che non ha aspettato il compleanno numero 80 di oggi per fargli un regalo dal quale non si è mai separato. “Vede questa medaglietta d’oro? La tengo sempre sotto la camicia, perché me l’ha donata Baglioni quando ho lasciato la Lazio. C’è la data, 12-6-1986, con la dedica: “Per un amico che partendo non se ne va, un ricordo di una bella amicizia nata a Roma e mai interrotta”.
Prima e dopo la Lazio, è stato in altre 20 squadre: a quale è rimasto più affezionato? “Il primo amore è stato il Grande Torino che ho visto da bambino con mio papà. Poi ho giocato nel Toro con Meroni, quando ci chiamavano “i Luigi d’oro” e per questo seguo con simpatia il Torino, anche perché Cairo è sempre stato molto affettuoso con me. E poi nel Torino c’è Petrachi, mio ex giocatore, che è bravissimo. Il vero tifo, però, è per l’Inter, il grande amore professionale. E per tutti i tifosi io sono sempre l’allenatore dell’Inter”.
Ma con l’Inter era finita male… “Non mi aspettavo di essere esonerato. Moratti, però, ha riconosciuto di avere sbagliato e adesso abbiamo un ottimo rapporto, perché è davvero una persona splendida. A Natale mi ha mandato un panettone enorme, con gli auguri”. Il ricordo più bello è la coppa Uefa? “Solo a livello sportivo, perché io scappai negli spogliatoi amareggiato per le voci che circolavano sul possibile arrivo di Zaccheroni. E infatti non ci sono nelle foto dei festeggiamenti. A livello personale, invece, il ricordo più bello è l’ovazione ricevuta dai tifosi di San Siro, tutti in piedi ad applaudirmi, quando sono tornato la prima volta sulla panchina del Piacenza. Moratti mi ha detto che nessun altro è stato accolto così”.
Come mai poi è passato al Piacenza? “Mi avevano chiamato Del Sol per il Siviglia, Eriksson per il Benfica. Magari sarei diventato il capo di Mourinho che incominciava allora, ma rifiutai per motivi personali, preferendo ricominciare da Piacenza”. Ha smaltito la rabbia per quel rigore non fischiato da Ceccarini a Ronaldo? “È una ferita che rimarrà sempre, anche perché Ceccarini ripete che aveva visto giusto”. Non ha più riparlato con lui? “No, anche perché quando ci siamo trovati a qualche cerimonia io l’ho salutato e lui ha fatto finta di non riconoscermi”. Chi ricorda più volentieri tra i tanti giocatori allenati? “Il mio preferito, a livello umano, è Bruno Conti. L’ho scoperto a 20 anni, l’ho lanciato titolare nel Genoa. Un ragazzo d’oro, campione in campo e fuori”.
A livello tecnico, invece, il primo è Ronaldo… “Il più forte che ho allenato. Conservo ancora la sua maglia sporca di fango, dopo la doppietta a Mosca. Ma non dimentico West, che mi manda ancora tartarughine in legno”. Chi vorrebbe rivedere tra i suoi tanti compagni d’avventura? “Rocco, grande allenatore e uomo unico. Mi portò al Torino e poi mi anticipò la convocazione in Nazionale, grattandosi la pancia nello spogliatoio”. Come visse il successivo trasferimento dal Torino alla Juve? “Andai alla Juve perché fu bloccato il trasferimento di Meroni e perché mi voleva Heriberto Herrera, però giocai poco. La Juve aveva quelle strane maglie che si allargavano sulla schiena. Se davvero lì è nata la storia dei gobbi, io sono stato uno dei primi gobbi”.
Oggi c’è un’altra Juve: ricorda squadre più forti? “La Juve è la squadra più forte, ma la più forte che ricordo è la Fiorentina di Bernardini, che vinse lo scudetto nel 1956”. Quanto ci vorrà per rivedere un’Inter da scudetto? “Spero poco, perché per adesso è ancora una squadra che può vincere con chiunque, perdere con chiunque e fare solo un punto in due partite contro il Sassuolo”. Le piace Spalletti? “È un buon allenatore, ma a volte faccio fatica a capirlo”. Chi vorrebbe vedere, in futuro, al suo posto? “Simeone sarebbe l’ideale, è di un’altra categoria. L’ho avuto come giocatore e in un quaderno aveva già gli appunti sui metodi di lavoro di tutti i suoi allenatori. Mai visto uno così”.
Icardi non segna più: è condizionato dal contratto? “Non credo perché è forte in campo e fuori. Come attaccante non ha rivali e merita di rimanere all’Inter, anche se la trattativa mi sembra un po’ complicata”. C’è un allenatore nel quale si rivede? “Giampaolo, che avevo portato a Cremona. Non so se sia un bene o un male, ma mi assomiglia molto”. A 80 anni è stanco di guardare il calcio? “No, perché il calcio è la mia vita. Mi manca il campo ed è un peccato che non si possa fermare il tempo. Ma ho la fortuna di avere vicino mia moglie Monica e mio figlio Leonardo, che per colpa di Shevchenko è diventato milanista. Così, quando c’è il derby, sono contento in ogni caso: per me o per lui”.