La Stampa, 22 gennaio 2019
Le mani dei taleban su metà Afghanistan
Metà della popolazione afghana è tornata sotto il tallone dei taleban. Oltre 16 milioni di persone che vivono in 253 distretti, controllati in pieno o in parte dagli studenti barbuti. La nuova prospettiva, poco incoraggiante, nasce da una analisi della Foundation for defence of democracies, nel pieno del dibattito che ha aperto la decisione di Donald Trump di ritirare metà dei 14 mila soldati americani ancora presenti nel Paese. L’emirato degli eredi del mullah Omar ha così raggiunto un’estensione che non conosceva da prima dell’intervento degli Stati Uniti, cominciato nell’ottobre del 2001. Oltre 17 anni che non sono bastati a debellare quello che oggi è il più forte gruppo jihadista al mondo, alleato di Al Qaeda.
Le aperture di Washington finora hanno ottenuto pochi risultati. I colloqui della scorsa settimana a Doha in Qatar, fra l’inviato speciale della Casa Bianca Zalmay Khalilzad ed emissari del nuovo «emiro» Hibatullah Akhundzada sono rimasti bloccati dalla richiesta degli islamisti di essere riconosciuti come «governo legittimo» e di escludere Kabul dalle trattative. Gli Usa avevano offerto una piattaforma generosa, elaborata e in parte divulgata dalla Rand Corporation.
Ma mentre negoziano, i taleban conducono una guerra implacabile alle forze di sicurezza afghane. Ieri hanno fatto strage a un centro di addestramento dell’Intelligence, nella provincia di Wardak. Una ventina di reclute sono rimaste uccise.
Il portavoce dei jihadisti Zabihullah Mujahid ha precisato che l’attacco è stato portato con un «Humvee esplosivo» e ha «distrutto parte della base». Un colpo letale, perché l’Intelligence è fra le forze d’élite più efficienti, mentre l’esercito, con la riduzione del 90 per cento del contingente Nato, cede terreno. L’analisi della Fdd, basata su rapporti del Sigar e del suo Long War Journal, sottolinea come ormai 16 milioni e 860 mila persone vivano in zone sotto controllo parziale o totale degli islamisti. Ma i taleban non sono soltanto un gruppo terroristico. Un altro rapporto, dell’Overseas Development Institute, mostra come abbiano sviluppato un «loro modello di governo parallelo» nelle zone occupate.
È un modello «sofisticato», molto diverso rispetto al regno del terrore impiantato dall’Isis in Siria e Iraq. I taleban sono passati dalla «coercizione» a suon di punizioni medievali in nome della sharia a una «influenza strisciante», che punta a convincere la popolazione a preferirli al governo «empio» del presidente Ashraf Ghani. I jihadisti diventano così parte della «fabbrica sociale» e segnano punti a loro favore. Per esempio nel campo della sanità. Il rapporto denuncia che mentre i taleban «interferiscono raramente» nei servizi prestati dalle Ong nei territori contesi, lo stesso non si può dire di funzionari governativi, militari e milizie pro-Kabul.