Il Messaggero, 22 gennaio 2019
In cima al monte ci metto la firma
Il 1948 per Alcide De Gasperi è un anno di straordinaria importanza. Il 18 aprile la sua DC ha trionfato alle elezioni contro il Fronte Popolare, a maggio è diventato per la quinta volta Presidente del Consiglio. Il 9 settembre lo statista, che ha 67 anni, si prende un giorno di vacanza in montagna. Ma il suo Trentino è lontano. Da Campo Imperatore, De Gasperi sale ai 2912 metri del Corno Grande, la vetta più alta d’Abruzzo. A raccontare questo episodio è il primo libro di vetta di quella cima, un quaderno sgualcito dalle intemperie e dagli anni che è stato piazzato lassù nel 1947, protetto dalla pioggia e dalla neve da una semplice scatola di metallo. E che oggi è conservato negli archivi della sezione dell’Aquila del Cai. L’escursionismo e l’alpinismo, si sa, non sono solo fatti privati. Oggi le ascensioni si documentano con foto, video e racconti sui social, pochi minuti dopo essere state ultimate. In passato, per raccontare il proprio passaggio, l’unico modo era una firma sulla cima. A metà dell’Ottocento, gli alpinisti lasciano i loro biglietti da visita tra i sassi o in una bottiglia di vino o di champagne infilata nello zaino di una guida, e vuotata per celebrare l’ascesa. Nel 1874, sui 3353 metri della Marmolada, un gruppo di guide locali propone ai suoi clienti di far fare apposite cassette, da porre sulla cima de’ monti in luogo delle solite bottiglie, nelle quali mettere al sicuro i biglietti. La Società degli Alpinisti Tridentini, che più tardi confluirà nel Club AIpino Italiano (il Cai fu fondato a Torino nel 1863 per iniziativa di Quintino Sella), accetta e completa l’idea. Nelle cassette, al posto dei biglietti, viene posto un piccolo libro per le firme.
Il NOME COL SANGUE
Non accade su tutte le cime, ma solo su quelle con difficoltà alpinistiche. Altri libri, più grandi e alla portata di tutti, negli stessi anni vengono piazzati nei rifugi. «Il libro delle vette è il catalogo di una schiera di eletti e soprattutto di volitivi, il libro d’oro di una nobiltà senza consulte araldiche!», scrive in quegli anni Giovanni Strobele, alpinista e segretario della Sat. «Per decenni firmare era estremamente importante. In assenza di matite o penne si era disposti a intagliare le pagine, se non a firmare con il sangue», sorride Claudio Ambrosi, l’odierno direttore della Sat. Dai primi anni, nelle pagine iniziali dei libri, si chiede ai visitatori di evitare commenti e poesie, e di scrivere solo nome e cognome, il club di appartenenza, la data e l’itinerario seguito. Chi disubbidisce, come il pittore Fortunato Depero che nel 1914 si esibisce in uno schizzo, trasforma il libro (in questo caso quello del Monte Altissimo) in un prezioso oggetto da museo.
La scoperta della firma di De Gasperi sul primo libro di vetta del Corno Grande, conservato con i successivi nella sede del Cai all’Aquila, dimostra che piccoli tesori di storia si possono nascondere ovunque. Il Museo Nazionale della Montagna di Torino, affacciato sul Po e sulle Alpi, ospita i libri dei rifugi del Monte Bianco, del Cervino e del Monviso. Tra loro c’è quello della Capanna Margherita, su una cima del Monte Rosa che tocca i 4554 metri. Il verbale dell’inaugurazione, datato 18 agosto 1893, è sottoscritto da conti e baroni valdostani e piemontesi, dai dirigenti del Cai e dal fotografo Vittorio Sella. Ci sono anche i nomi delle guide. Ma la prima firma è quella di Margherita, la regina, arrivata fin lassù su una slitta.
LA BIBBIA SUGLI OTTOMILA
Oggi i libri di vetta non compaiono solo sulle cime difficili. L’Appennino laziale e abruzzese ne ospita decine, dal Terminillo fino al Monte Gennaro e al Gran Sasso. Sugli 8125 metri del Nanga Parbat, in Pakistan, Reinhold Messner ha lasciato nel 1978 un tubo di metallo con la riproduzione della Bibbia di Gutenberg, e ovviamente con la sua firma. In un viaggio tra le firme lasciate sulle cime, però, la tappa obbligata è la sede della Sat, nel Palazzo Manci di Trento. Il bibliotecario Riccardo Decarli custodisce quasi 600 libri riportati a valle da cime famose come il Campanile Basso o le Torri del Vajolet. L’elenco può essere consultato online, ma le firme vanno cercate sulla carta. Chi s’interessa all’alpinismo e alla sua storia trova le firme di Tita Piaz, Hans Steger, Riccardo Cassin, Bruno Detassis o Cesare Maestri, spesso lasciate dopo una nuova ascensione. Chi preferisce la cultura trova Dino Buzzati, Fosco Maraini, Bruno Bozzetto e Rolly Marchi. Su varie vette, un secolo fa, ha lasciato la sua firma re Alberto I del Belgio. Propone una chiave di lettura diversa la scrittrice trentina Astrid Mazzola, che nel suo libro Firme in cielo (Il Margine, 2013), illustrato dalle foto di Ruggero Arena, si è concentrata sugli sconosciuti. «Non volevo fare un libro di storia, mi sono interessata a storie, sensazioni e amori di persone di cui non ho citato i cognomi. I libri di vetta sono bottiglie lanciate nell’oceano. Riproducendo quelle parole mi sembra di dialogare con chi le ha scritte».