Il Sole 24 Ore, 22 gennaio 2019
I pericoli del referendum propositivo
La discussione alla Camera del disegno di legge costituzionale che vorrebbe riformare profondamente l’art. 71 della nostra Costituzione è in parte cambiata dopo alcuni significativi emendamenti che sono stati accettati dalla relatrice, eliminando alcune delle più grossolane carenze precedenti (come, ad esempio, l’assenza di previsione di ogni quorum di partecipanti al referendum popolare che dovrebbe approvare un nuovo testo legislativo, o la mancata previsione di un preliminare attento controllo da parte della Corte costituzionale su alcuni preliminari aspetti di costituzionalità).
Evidentemente ci si è resi conto che criticatissime modifiche costituzionali come quelle proposte in origine non potevano realisticamente essere condivise dai parlamentari in modo sufficiente da evitare l’agevole richiesta da parte delle opposizioni di un apposito referendum popolare sulla nuova legge costituzionale (come ben noto, per l’art. 138 Cost., il referendum può essere chiesto anche solo da un quinto di Deputati o di Senatori, quando la legge costituzionale non sia stata adottata nella seconda votazione con la maggioranza dei due terzi dei componenti delle due Camere). Anche qui si è manifestato il paradosso che i sostenitori dell’accrescimento dei cosiddetti istituti di democrazia diretta temono fortemente di sottoporre le loro proposte a referendum popolari; quindi in questo caso i sostenitori della grande innovazione secondo la quale si potrebbe giungere ad attribuire il potere legislativo al corpo elettorale, sottraendolo al Parlamento, stanno cercando di evitare il referendum costituzionale riducendo le attuali vaste opposizioni parlamentari con alcune marginali concessioni, per lo più necessitate dall’irragionevolezza di alcune originarie proposte.
Restano però intatti, o malamente nascosti, alcuni seri difetti della proposta originaria.
Tutto ruota intorno a quella che sarebbe l’innovazione fondamentale e cioè alla previsione che si possa giungere alla produzione di una legge ordinaria non più tramite il procedimento legislativo parlamentare, ma tramite un testo proposto da un Comitato promotore, sottoscritto da cinquecentomila elettori e poi approvato da un apposito referendum popolare. Ciò – si noti bene – anche in presenza di una diversa opinione del Parlamento, che preferirebbe un altro testo legislativo o il mantenimento della legislazione esistente.
Non può sfuggire, infatti, che anche dopo gli emendamenti recenti, il testo del progetto prevede che se anche il Parlamento manifesta la sua diversa volontà rispetto alla proposta popolare, perfino mediante l’adozione di un’apposita legge, questa non prevale, ma origina semplicemente lo svolgimento del referendum sul testo proposto dal Comitato promotore.
Solo nell’ipotesi in cui il referendum respinga il testo proposto dal Comitato, la legge parlamentare potrebbe essere promulgata. Ciò dimostra – fra l’altro – che il referendum popolare si svolgerebbe praticamente in un clima contestativo e polemico verso il Parlamento, “colpevole” di voler procedere lui alla nuova disciplina del settore.
L’adozione di una legge costituzionale del genere dimostrerebbe in modo palese che il potere legislativo risiede in via primaria fuori dal Parlamento della Repubblica.
Senza entrare nel dibattito teorico del rapporto fra democrazia rappresentativa e cosiddetta democrazia diretta (in realtà molto spesso organizzata e promossa dalle più diverse forze), ciò che va detto con chiarezza è che solo in sede parlamentare e governativa si può avere una visione completa ed equilibrata del complesso dei fenomeni sociali, finanziari ed istituzionali ed anche individuare responsabilità politiche: e se spesso l’opera dei diversi soggetti istituzionali si dimostra deludente, tanto più temibile sarebbe un sistema politico fondato sui soggetti sociali, culturali ed economici capaci solo di mobilitare di volta in volta parti dell’opinione pubblica, soggetti inevitabilmente privi di visioni d’insieme e di ogni tipo di responsabilità.
Tornando ai troppi difetti del testo di revisione costituzionale proposto, segnalo un altro profilo critico che mi sembra finora poco considerato, ma che rivela la grande sommarietà della progettazione: se la presentazione di un disegno di legge popolare da parte di almeno cinquecentomila elettori produce per diciotto mesi una serie di obblighi per il Parlamento in quella materia, a cominciare da una sorta di “congelamento” dei suoi poteri legislativi, cosa mai potrebbe succedere in caso di disegni di legge di iniziativa popolare in ambiti di grande rilevanza o vastità? E tutto ciò riguarderebbe perfino i poteri legislativi dei Governi, da esercitare anche in casi straordinari di necessità e di urgenza?
C’è davvero da augurarsi che le Camere riflettano a fondo sull’impatto delle innovazioni proposte sul complessivo nostro sistema costituzionale.
(Presidente emerito della Corte costituzionale)