La Stampa, 21 gennaio 2019
Le auto da sogno di Marcello Gandini
Non ha un garage pieno di luccicanti fuoriserie, il sarto delle supercar. Di tutte quelle che ha progettato in 50 anni di carriera non ne ha mai comprata una: neppure quella a cui è più affezionato. Non dice quale sia, ma una figlia preferita Marcello Gandini ce l’ha eccome. Forse è in uno di quei disegni che le case automobilistiche non hanno capito, forse non è mai stata prodotta. Ma le tante che sono nate dalla scrivania del designer torinese sono bastate per passare alla storia. Perché dietro il boom delle auto sportive degli Anni 70 c’è quella che i critici hanno chiamato la Rivoluzione Gandini.
Idee e tratti inconfondibili, che hanno lasciato traccia sulle auto (non solo sportive) prodotte per mezzo secolo: basta ripensare a modelli mitici come la Lamborghini Miura, la Fiat X1/9, la Ferrari GT4, l’Alfa Montreal e la Maserati Ghibli. «Se mi chiedete quante ne ho progettate rispondo che non lo so. E non è presunzione o eccesso di modestia. Questo è stato il mio approccio alla carriera: dopo ogni auto iniziavo a pensare a quella successiva. Con un obiettivo: ognuna doveva essere radicalmente diversa dalle precedenti».
A 80 anni Marcello Gandini continua a parlare al futuro e al presente, mai al passato. L’età della pensione per lui non è ancora arrivata: ha dovuto rinunciare alla corsa e alle passeggiate mattutine in montagna, ma tutte quelle idee che ancora gli frullano per la testa meritano di essere trasformate in progetti. «Ho avuto la fortuna di cambiare mestiere due o tre volte nella vita. Sono partito con la meccanica, la mia prima passione, e alla fine mi sono occupato di design. Quando le case automobilistiche hanno istituito i centri stile pensavo che il mio mestiere fosse finito ma ora ho rispolverato le competenze di meccanica e proprio di questo mi occupo ancora».
Torino e il Museo dell’automobile dedicano al grande innovatore delle quattro ruote una mostra avvincente, con modelli che arrivano anche da molto lontano. Si inaugura giovedì e attraverso 13 sezioni, fino al 26 maggio, racconta il lavoro del designer più schivo e rivoluzionario. Uno che ha scelto di lavorare da solo, quasi ritirato nella sua villa ai piedi della Val di Susa. E anche da qui, infatti, nasce il titolo della mostra: Marcello Gandini, genio nascosto. «La mia fortuna è stata quella di decidere di lavorare da solo, senza collaboratori. È stato faticoso, ma ho fatto una vita migliore».
L’unico inventario che ha fatto sfiora quota 400. Ma quante case automobilistiche si sono affidate alle sue innovazioni?
«Difficile ricordarle tutte. Di sicuro posso dire che i miei progetti sono stati realizzati in Spagna, Francia, Germania e Giappone, qualcosa negli Usa, in Indonesia e in Svezia».
Il progetto che ha richiesto il lavoro più lungo?
«Quello per la Stratos da rally: per arrivare al risultato finale ci sono voluti parecchi mesi. Come al solito pensavo di fare tutto da solo, ma è stato fondamentale il supporto di un gruppo di eccellenti modellisti. Alla fine l’abbiamo creata a mano, senza un progetto, direttamente in officina».
La sua Miura ha decretato il primo successo della Lamborghini. Negli Anni 70 la volevano tutti: attori, magnati e piloti. Cos’è che piaceva tanto di quest’auto?
«Era radicalmente nuova e aggressiva, ma con qualche dolcezza. Era percepita come qualcosa di vicino alla gente».
La collaborazione con la Ferrari si è limitata alla Gt4. Come mai è stato l’unico modello firmato per la casa di Maranello?
«La Pininfarina aveva quasi l’esclusiva con la Ferrari e ha sempre lavorato benissimo. È stata un’eccezione che la carrozzeria Bertone, con la quale io lavoravo, sia stata chiamata per la Gt4. Forse era una questione di stili differenti. Ma per un certo numero di anni la nostra Gt4 è stata la Ferrari più venduta».
In due mesi, fra il ’65 e il ’66, è riuscito a produrre una Porsche, una Jaguar e una Lamborghini.
«Abbiamo fatto persino di più: in 5 mesi abbiamo realizzato anche un modello per l’Alfa e uno per la Simca. C’era il salone di Ginevra e bisognava fare in fretta, si facevano anche 22 ore di lavoro al giorno».
Gandini e la Luna: cosa accomuna la sua carriera con l’esplorazione del nostro satellite?
«Un momento meraviglioso, era il maggio del ’69. Nel giorno in cui l’Apollo 10 riuscì a compiere la sua esplorazione intorno alla Luna io stavo progettando la Fiat X1/9. Disegnavo mentre in tv si vedevano le immagini di questa grande impresa».
La sua ossessione per il compatto, l’idea di realizzare auto col numero minore possibile di pezzi, ha cambiato anche il modo di produzione. Si può dire che ha cambiato lo stile delle auto ma ha anche rivoluzionato le fabbriche?
«Non era quella l’idea, ma è successo. Diciamo che le case automobilistiche si sono adeguate, erano troppo indietro rispetto alle nuove tendenze».