Sguardo malinconico acceso da lampi d’ironia, Morgan si racconta in camerino. Uno show.
Una bella coppia, lei e il direttore di Rai2 Carlo Freccero.
«Freccero è un rivoluzionario situazionista integrato alla Guy Debord. La parola situazionista oggi si può tradurre in persona libera, che ragiona con la sua testa. Qualcuno che riesce a dire che non è d’accordo e sa motivare le scelte. Non ti mette davanti ai diktat. Una persona libera quando fa il dirigente ovviamente aiuta».
In che senso?
«Perché la Rai non è fatta da una singola persona o da una singola idea, ma da una collettività e deve durare nel tempo. Ecco perché ci vogliono persone che argomentano, che hanno visioni plurime e riescono a capire la diversità. E qui voglio arrivare al mio ruolo».
È preoccupato?
«Qualcuno può storcere il naso e dire: "Lui è troppo provocatore". Capiranno invece che ci tengo a fare servizio pubblico. Alle prime edizioni di X Factor in Rai ho fatto cose belle musicalmente, mi hanno lasciato lo spazio e la libertà di agire. Ricordo che introdurre il brano inedito per i concorrenti è una mia invenzione, e oggi su questo si basa la discografia italiana. La Rai mi diede modo di muovermi in un format rigoroso comprato dall’Inghilterra dove c’erano regole e paletti. In tv bisogna chiedersi: stiamo proponendo qualcosa per la gente o per il mercato? Per me per la gente, che ha il diritto di essere informata».
È stato Freccero a proporle lo speciale su Freddie Mercury?
«Sì. E qualsiasi cosa mi avesse proposto avrei accettato. So tutto dei Queen, sono perfetti.
Rappresentano tutti, sono l’espressione del popolo, sono veramente sociali. Non social».
Perché "Bohemian Rhapsody" ha avuto così successo?
«È l’unico film che parla di Mercury e allora dobbiamo chiederci perché piace lui. Perché viene dal basso e ce la fa. È diverso nel vero senso della parola, ma non perché sia gay. La prima vera diversità è che è un vero artista. Non è bello, non sa ballare, però ci prova. Ma canta. Il suo insegnamento è: guarda che ce la puoi fare. Lo stesso meccanismo per cui piace De André. Le canzoni parlano di gente sfigata che ha la sua rivincita. We will rock you vuol dire "ve la faremo pagare"».
Cosa fa il rock?
«Il rock riesce a dare fiducia, energia e speranza a chi vuole stare al mondo come se stesso, non come un numero o un soldatino. Mercury ti dice: "Sii te stesso nel tuo tempo nel tuo ego e nel tuo te stesso". Tutti s’identificano. Non c’è nulla di più politico che unire la collettività.
De André idem: musica e testi colti, ma piace perché parla di noi, al nostro essere umano ferito».
Racconterà questo in tv?
«Sì. Mercury è empatico con il pubblico e io sono empatico con Freddie perché a furia di ascoltare i Queen invece di tradurre Platone fui bocciato. Sono andato in una scuola più facile del liceo classico e allora sono morti i Queen. Ma il lutto è stato elaborato suonandoli. Poi col mio compagno di scuola Gabriele andammo a Londra al Freddie Mercury Tribute Concert.
Io amavo Bowie, lui i Queen. Due italiani a Wembley, c’era il mondo. Il pomeriggio suonò Zucchero, ci mettemmo a gridare: "Ehi, siamo italiani"».
Canterà le canzoni dei Queen nello speciale?
«Certo. Qualcuno dirà: mica si permetterà di cantare Mercury? Certo, altrimenti si spegne il sogno, i Queen invece lo accendono».
Farà il giudice a "The voice"?
«Mi piacerebbe. Vorrei tornare a dare il mio servizio ma me lo devo anche meritare».
Il suo rapporto con la televisione?
«Bello. Mi fa addormentare. La più grande rockstar della tv italiana è Carmelo Bene. Quello sulla televisione è un discorso complesso. Ci puoi portare tante cose: è un contenitore. Va distinta la tv privata dalla Rai per cui vige l’idea di servizio pubblico. Questo dovrebbe aiutare a distribuire bene i format. Non bisogna imitare chi insegue il mercato perché non funziona».
Cosa funziona?
«Essere meno forsennati sui ricavi, coltivare l’arte, la cultura, il cinema. Si guarda troppo al denaro. Grazie alla televisione ho potuto conoscere Pasolini, solo dopo ho comprato i libri. Spero che ci sia una televisione in grado di proporre il Pasolini di oggi. Non ho niente da insegnare a nessuno, posso solo portare la mia passione e la musica».
Come giudica l’apertura di Sanremo al rap e alla trap?
«Ottima idea. Mi piacciono molto certe espressioni della musica trap di oggi. Bisogna solo capire perché nei testi le donne vengano considerate, diciamo così, facili. Perché le ragazze lo accettano? Perché non andiamo a vedere come sono descritte nei testi di oggi? Questa cosa dispiace. E poi mi dispiace quello che è successo al concerto di Sfera Ebbasta».
Che idea si è fatto?
«Che è sempre una questione di soldi, sono quelli che fanno casino. Tutto per mettere dentro più gente in un posto dove doveva starcene meno».
Della polemica sulle frasi di Baglioni sui migranti che pensa?
«Un cantautore per forza ha opinioni. Se non avesse viaggiato, se non condividesse la migrazione come idea di cultura come potrebbe scrivere? Un immigrato è l’occasione per imparare una nuova cultura e un artista lo sa, è andato oltre le colonne d’Ercole. Se no, non riuscirebbe a cantare le gesta e i dispiaceri degli uomini. Mi è sembrato tutto coerente.
Non ci ho trovato niente di strano o di politico. Ma di poetico».