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 2019  gennaio 21 Lunedì calendario

Intervista a Gennaro Sangiuliano: «Il mio Tg2 è TeleVisegrad? Va bene così»

«A quanto pare sono diventato un caso giornalistico, ma contro la mia volontà». E com’è stato possibile? «Io sono qui bello tranquillo a Saxa Rubra a lavorare dodici ore al giorno senza chiedere niente a nessuno, ma quando esci dal binario del politically correct arrivano i guardiani del sistema dominante e fanno di te un caso». Hanno ribattezzato il tuo Tg2 TeleVisegrad, paragonandolo al Tg3 di Sandro Curzi dei primi anni Novanta, passato alla storia come Telekabul…«Io a Visegrad non ci sono mai stato, ma a Kabul sì. Poco male, rimedierò il primo fine settimana libero, andando nella cittadina ungherese con mia moglie».
Non zigzagare, rispondi…
«Per me essere paragonato a Curzi è un complimento, chi lo fa pensando di offendermi prende una topica. Telekabul mi piaceva e Sandro era un giornalista di valore».
Ma era un comunista, stai facendo il diplomatico: come faceva a piacerti il suo tg?
«Curzi fu il primo a sdoganare una certa destra e a dare voce alla Lega nei tg Rai. Era ideologico, ma senza preclusioni. Quando lo intervistai mi raccontò che nel Dopoguerra andava nel campo di Coltano a parlare con gli ex fascisti di Salò rinchiusi. Voleva convertirli al comunismo».
Voleva torturarli…
«Curzi era aperto e aveva grande curiosità. Mi piacerebbe essere ricordato come il Curzi di Visegrad. A mio modo applico la sua lezione: il Tg2 è stato l’unico a mandare un inviato ad Atene al congresso dei Partiti Comunisti».
Grande tattico: vuoi essere inattaccabile?
«No, semplicemente voglio che il Tg2 dia attenzione alla pluralità delle culture. Per decenni in Rai abbiamo avuto una monocultura. Ma il popolo italiano ha più voci e più pensieri e io voglio proporli tutti».
Gennaro Sangiuliano è arrivato alla direzione delle news della seconda rete dopo un percorso quasi ventennale nella tv pubblica, partito quando lasciò la vicedirezione di Libero, nell’estate 2003. «Quando mi dicono che sono un Feltri-boy o che ho ancora Libero nel cervello, mi fanno un favore» smorza le polemiche. «È un’esperienza che rivendico con orgoglio». Gennaro è così, non rinnega il passato e non si fa prendere in castagna nel presente. Cuore partenopeo e stile britannico, ti conquista con la cortesia, la cultura e l’accoglienza. Per cui alla fine, non riesci a litigarci e non può non risultarti simpatico. Napoletano, di formazione giuridica, è diventato la punta di diamante della Rai sovranista targata Salvini dopo anni di vicedirezione al Tg1 come braccio destro prima del berlusconiano Augusto Minzolini poi del renziano Mario Orfeo. Una paziente e laboriosa gavetta che gli permette ora di muoversi al timone come un pesce nell’acqua.
E per forza, il Tg2 è quello più a destra dai tempi di Mauro Mazza direttore e di An… 
«Non è vero, è passato un abisso da quel tempo. Ho una redazione di qualità molto alta ma sono pochi i colleghi che hanno la mia storia politica. Però sono agevolato dal contesto: le categorie politiche destra-sinistra non sono più ingessate come un tempo. Tanti giornalisti su temi come la globalizzazione o il sociale la pensano come me anche se vengono dal fronte opposto. Se uno è davvero di sinistra, non può stare con Jeff Bezos, lo stramiliardario fondatore di Amazon che fa il liberal e il progressista finanziando Hillary Clinton ma mette il braccialetto elettronico al polso dei propri dipendenti».
Sei l’unico dei tre nuovi direttori Rai di tg a essere davvero premiato dagli ascolti: come te lo spieghi?
«Inchieste, esteri, cultura: se vuoi essere credibile e attirare il pubblico, devi alzare il livello dell’informazione ma stare attento a mantenere toni popolari. Abbiamo dato grande rilievo ai cinquant’anni dal sacrificio di Ian Palach, nel rogo della Primavera di Praga, e al centenario di Alexander Solzhenitsyn».
Per me sei salito perché mancava un tg sovranista e di destra…
«Ti rispondo con i fatti: abbiamo fatto inchieste sul caporalato e sui morti sul lavoro, abbiamo dato ampio spazio alla protesta dei gilet gialli in Francia. Rivendico di essere tra i primi ad aver intuito l’importanza di quel movimento…».
I gilet gialli sono violenti…
«La violenza va sempre condannata. I gilet gialli però son l’effetto del declino dell’occidente preconizzato dal filosofo tedesco Oswald Spengler. L’Occidente ha creato una super casta dove otto persone sono ricche quanto la metà del pianeta».
Tu sei un po’ il gilet giallo della Rai?
«Io e Carlo Freccero, al massimo. Siamo due innovatori e contestatori del sistema».
Già, da dove nasce il tuo feeling con il direttore di rete, un caposaldo dell’antiberlusconismo: convenienza, saper vivere, cameratismo?
«No guarda, abbiamo un sincero feeling intellettuale. Ci scriviamo sms che partono immancabilmente con “ciao fratello”. Passiamo ore a parlare di Pirandello, Dostoevskij…».
Paraculi…
«È un po’ come quando, nel 1934, a Place Vendome, a Parigi, l’Action Francaise si ritrovò con i comunisti per protestare contro il governo Daladier».
Com’è cambiata la Rai del governo del cambiamento?
«Prima di questo governo la Rai aveva un approccio pedagogico. Le élites avevano elaborato un modello di pensiero e società, con un preciso ruolo dell’Italia nel mondo come pezzo del grande ingranaggio globale teso ad annullare ogni identità e senso d’appartenenza al nostro Paese. Con il ditino alzato, volevano calare sulla società il proprio modello, vantando una superiorità didattica tutta da verificare».
Vedi che fai un tg sovranista…
«Non ho questa presunzione, voglio solo dare al telespettatore dati oggettivi e strumenti conoscitivi per formarsi liberamente i propri convincimenti. Non esistono verità assolute. Poi, se proprio insisti, non ho difficoltà a dirti che di Visegrad mi incuriosisce la concezione di un’Europa delle nazioni dove vige uno spirito autenticamente europeo ma nel rispetto delle peculiarità dei popoli. Come saprai, era questo il progetto originario di Charles De Gaulle e dei padri fondatori, che non avevano in testa un modello di Ue stile Urss».
Ungheria e Polonia sono accusate di essere nazioni autoritarie…
«Ci sono delle criticità, ma è lo stesso discorso che vale per Putin: fino al 1862 in Russia c’era la servitù della gleba, ovverosia la schiavitù. Poi hanno avuto il comunismo. Non si può transitare dall’assolutismo monarchico zarista all’assolutismo criminale bolscevico alla democrazia liberale occidentale alla quale siamo abituati noi. Serve tempo. E poi, sai che ti dico: noi ci vantiamo tanto, ma anche nel nostro mondo libero gli spazi democratici in realtà sono limitati. La democrazia non si conquista mai del tutto e, come diceva il filosofo Ralph Dahrendorf, l’unico spazio possibile per la democrazia è la nazione, perché solo così si possono controllare i centri decisionali. Se deleghi il potere all’Unione Europea, esso diventa opaco».
Aprirai un’edizione del Tg2 con un ricordo di Dahrendorf in campagna elettorale?
«Ma no, per quello ci sono gli speciali».
A proposito, Lega e M5S si danno i pizzicotti: è già iniziata la campagna elettorale per le Europee di maggio?
«Ma la campagna elettorale non è mai finita. Dal 1992 siamo in uno stato di perenne transizione, il quadro non si è mai più cristallizzato dopo il crollo della Democrazia Cristiana».
Servirebbe una riforma costituzionale?
«Ma tanto non si fa mai. Potremmo lastricare l’Autostrada del Sole da Milano fino a Reggio Calabria con i testi delle proposte di riforma costituzionale elaborati negli ultimi 25 anni».
Quanto è importante il voto europeo in chiave italiana?
«Moltissimo: sia in Italia che in Europa può segnare definitivamente la fuoriuscita dallo schema destra-sinistra che si è formato nell’Ottocento e consolidato nel secolo scorso e sostituirlo con la contrapposizione tra vecchie élites e nuove forze».
Berlusconi ha detto che si candiderà…
«Lui è già storia ma ancora cronaca. Quando il personaggio si storicizzerà definitivamente ne saranno chiari i molti lati positivi. Attualmente però non so quanto gli convenga candidarsi».
Il voto europeo sarà una sfida tra le due forze di governo, M5S e Lega. Si dicono tutte e due antieuropeiste ma tu hai capito in che modo diverso lo sono?
«Questo spetterà a loro dircelo. Noi gliene daremo l’occasione».
Anche il comitato d’accoglienza Salvini-Bonafede a Ciampino per il terrorista Cesare Battisti e le critiche che la sinistra ha fatto ai due ministri sono già campagna elettorale? 
«Battisti è arrivato in Italia grazie ai rapporti tra Salvini e Bolsonaro. Chi polemizza lo fa solo per attaccare. Mi domando perché D’Alema, quando lo incontrò, non chiese all’amico Lula, che ora è andato a trovare in cella, e ai tempi era presidente del Brasile, l’estradizione di Battisti. Forse la sinistra non si spese sufficientemente perché non teneva a riavere il terrorista quanto invece premeva a Salvini».
La striscia informativa che hai introdotto a metà mattina è preparatoria al voto europeo? 
«Esisteva già e si chiamava prima “lavori in corso” e poi “Frankenstein”. Io l’ho solo cambiata e ribattezzata “Tg2Italia”: dev’essere una finestra su quello che accade nel mondo e in Italia. Come del resto gli speciali informativi. Quello su Macron ha avuto un picco d’ascolti: il presidente francese doveva essere l’uomo nuovo che guidava la vecchia Europa, si è rivelato un prodotto di laboratorio. Ho scritto con Feltri “Quarto Reich”, un libro che denuncia la politica imperialistica tedesca nei confronti del resto dell’Unione, ma almeno alla Merkel riconosco una struttura e una storia politica, sebbene in fase declinante».
Rete 2 diventerà una rete d’approfondimento informativo grazie al tuo sodalizio con Freccero?
«La Rai fino all’anno scorso viveva un periodo di regressione rispetto ai mitici anni Sessanta o anche alla tv degli anni Ottanta, con Arbore, Biagi e Tortora. C’erano potenzialità umane e intellettuali inespresse. Ora si respira aria nuova, c’è una nuova linfa vitale e ci saranno molte occasioni per tutti».