L’Economia, 21 gennaio 2019
Nell’atelier dello scultore Barry X Ball
Ente la «casa del mago» di Depero. Avevo visto la mostra antologica di Barry X Ball a Villa Menafoglio Litta Panza a Varese (ancora in corso) e la sua versione della Pietà Rondanini al Museo del Castello Sforzesco di Milano. Opere che colpiscono il visitatore per la fusione di antico e ultramoderno. Sia le prime, i grandi quadrati monocromi in oro, che le più recenti, i capolavori classici reinventati, attraverso un viaggio nel tempo che da Michelangelo porta a Boccioni, e alla rivisitazione di Medardo Rosso che andrà alla prossima Biennale di Venezia. In quegli stessi giorni, a Milano, avevo incontrato l’artista con la critica d’arte Laura Mattioli, collezionista e fondatrice del Cima, il magnifico Center for Italian Modern Art di New York.
Giorni dopo ho visitato l’atelier dove le opere di Ball prendono vita, un edificio bianco a Brooklyn. La casa del mago: un laboratorio-fabbrica dove si utilizzano i marmi più belli e le tecnologie più avanzate. Le stesse usate dall’Industria 4.0. Barry X Ball ha il profilo complesso dell’artista, dell’artigiano e dell’imprenditore: con il gusto dell’innovazione e un orizzonte strategico chiaro.
Prima ancora di entrare, si è colpiti dalla varietà policroma delle pietre: il marmo bianco di Carrara, la calcite dorata dello Utah, l’onice rosa dell’Iran. È domenica, i quindici collaboratori di BXB sono a casa. Ma lui evoca continuamente la sua squadra di talenti: «My team and I…». Le macchine sono, al momento, inanimate: la gru-ponte da venti tonnellate per spostare le pietre, la sega a filo diamantato della Pellegrini Meccanica per tagliarle, i robot che compiono le lavorazioni sulle sculture, in base ai comandi di un sistema digitale Cad. Cui seguirà un lunghissimo lavoro manuale di rifinitura: fino a diecimila ore-uomo per le grandi opere come l’Ermafrodito dormiente. «Ma questi sono solo strumenti – dice Barry X Ball –: il fine è l’opera d’arte. Se vivesse oggi, Michelangelo userebbe gli stessi attrezzi digitali che uso io. Del resto, nella storia, le nuove tendenze artistiche si sono sempre mosse in concerto con le scoperte scientifiche e le invenzioni tecnologiche. Canova, Michelangelo e Brunelleschi sono solo alcuni degli esempi più famosi».
Strumenti BXB adora il Rinascimento italiano. L’uomo con i capelli bianchi e il vestito nero che si aggira in questi spazi come un antico fabbro nella sua officina, ha un passato speciale, che aiuta a capire il suo presente d’artista. Nato nel 1955 a Pasadena, California, cresce in una famiglia di cristiani fondamentalisti. Racconta: «Sono stato allevato dai miei nonni, ministri della chiesa evangelica metodista. Fin da bambino ero attratto dall’arte, ma l’educazione puritana mi proibiva perfino di entrare in un museo. Cominciai presto a desiderare di farmi una vita per conto mio e a provvedere a me stesso». La figura più influente è il nonno meccanico: Barry, dotato fin da piccolo di una manualità e una velocità di apprendimento fuori dal comune, lo aiuta nel lavoro. Il ragazzo è innamorato delle auto: «La mia unica, vera esperienza mistica – ricorda – fu quando vidi la mia prima Ferrari in una concessionaria di Palm Springs».
Recentemente l’artista ha visitato Maranello in compagnia di Flavio Manzoni, senior vice president del design Ferrari, che ammira le sue sculture.
Mantenendosi con vari lavori, Barry frequenta la Pomona University, dove hanno studiato artisti come James Turrell e John Cage. Dopo la laurea in storia dell’arte, lascia la famiglia e inserisce una X tra nome e cognome, a significare la rottura col passato. Con un pullmino Volkswagen inizia un viaggio che lo porterà nella East Coast. Durerà un anno, sarà un percorso di studio e formazione attraverso i più importanti musei del Paese: i luoghi di perdizione che gli sono stati proibiti. Nel 1978 approda a New York, dove l’artista Joe Mariani gli presta una casa. È un enorme loft sopra un garage, senza acqua corrente, luce e riscaldamento. Ma è New York. E, a prezzo di lavoro e fatica, lui lo rende un posto abitabile. La notte, per vivere, guida i camion che trasportano componenti elettronici tra gli aeroporti di New York.
Di quel periodo è l’esperienza che segnerà la sua carriera artistica: la visione del Cristo di Cimabue al Metropolitan, restaurato dopo l’alluvione di Firenze. Il crocifisso dipinto gli appare sospeso tra cielo e terra con cavi d’acciaio. Dice Laura Mattioli: «Barry vede quell’opera straordinaria come un oggetto, non come un dipinto. Da quel momento si mette a studiare la pittura su legno e le antiche tecniche di carpenteria. Nascono le sue prime opere monocrome, i quadrati in oro che vende al suo primo collezionista, Giuseppe Panza di Biumo. Ogni scultura è frutto di cura ossessiva: perfino i contenitori, realizzati a modello delle custodie tecnologiche a prova di bomba trasportate di notte tra il JFK e Newark, sono concepiti per essere esposti insieme alle opere».
Nel 1982 crea il primo dei Masterpieces (opere rielaborate da capolavori del passato), ispirato all’Adorazione dei Magi di Giotto. Del 1984 è il primo viaggio in Italia. Nello stesso periodo sperimenta su se stesso, per l’autoritratto, le tecniche di scansione usate a Hollywood per gli effetti speciali dei film. «Il ritratto di Panza di Biumo, realizzato tra il 1998 e il 2001 e anch’esso visibile al Castello Sforzesco – dice Laura Mattioli – è in assoluto la prima opera in marmo a essere prodotta con i nuovi strumenti tecnologici, oggi diffusi nella produzione scultorea. Gli strumenti per l’ultima, lunghissima operazione artigianale di finitura sono anch’essi creati o adattati dall’artista, che li prende a prestito da diversi ambiti, quali la chirurgia, l’odontoiatria e la meccanica di precisione».
Con i grandi imprenditori l’artista ha in comune la continua sperimentazione (come l’uso del nero perilene degli aerei Stealth), l’attitudine a collaborare con i fornitori, ma soprattutto una solida visione del futuro e della storia. Il gallerista Stefano Rabolli Pansera ha descritto il suo approccio «reverse engineering della storia dell’arte». Più in generale Barry X Ball è la dimostrazione vivente che per realizzare opere d’arte serve un talento speciale, creatività organizzata, duro lavoro. In più, lui ha la capacità mettere la tecnologia al servizio dell’intelligenza e di un progetto umani. Un esempio da proporre a chi pensa che le macchine siano destinate fatalmente a dominarci.