La Lettura, 20 gennaio 2019
89 Paesi, 89 titoli. Caccia all’Oscar del film straniero
A fine dicembre, l’Academy of Motion Picture Arts and Sciences ha selezionato i nove titoli candidati alla statuetta come Miglior film in lingua straniera, scegliendoli da un elenco di 89 Paesi (di cui due ammessi per la prima volta, Malawi e Nigeria, rispettivamente con The Road to Sunrise e The Wedding Ring). Da questi nove, martedì 22 gennaio sarà estratta la «cinquina» che il 24 febbraio, al Dolby Theatre di Los Angeles, California, si contenderà la vittoria per l’Oscar.
Le opere in gara, in ordine alfabetico per Paese partecipante, sono: Birds of Passage di Cristina Gallego e Ciro Guerra (Colombia); Burning di Lee Chang-dong (Corea del Sud); The Guilty di Gustav Möller (Danimarca); Never Look Away (Opera senza autore) di Florian Henckel von Donnersmarck (Germania); Shoplifters (Un affare di famiglia) di Hirokazu Kore’eda (Giappone); Ayka di Sergei Dvortsevoy (Kazakistan); Capernaum(«Cafarnao») di Nadine Labaki (Libano); i super favoriti Roma di Alfonso Cuarón (Messico) e Cold War di Pawel Pawlikowski (Polonia).
Dogman, del nostro Matteo Garrone, il film scelto per rappresentare l’Italia, è stato escluso dalla «lista dei nove». L’Italia conserva tuttavia il titolo di Paese straniero più premiato con 14 statuette e 31 nomination, seguito dalla Francia (12 Oscar e record di candidature: 39) e dalla Spagna (4 Oscar e 19 nomination).
Quando la prima cerimonia degli Academy Awards si tenne il 16 maggio 1929, per premiare i film usciti nel 1927-28, non esisteva una categoria «dedicata» per i film in lingua straniera: fu istituita solo con l’edizione del 1957. Da allora, la statuetta viene assegnata ogni anno, quasi esclusivamente a Paesi europei, premiati, fino a oggi, per ben 56 volte contro le sette dell’Asia, le quattro delle Americhe, le tre dell’Africa. Quanto al genere cinematografico, i film massimamente prediletti dall’Academy sono i drammi, che vincono a piene mani sia nella categoria Miglior film che in quella Miglior film straniero. Non fa eccezione la shortlist dei nove di quest’anno, composta da cinque drammi (Capernaum, Ayka , Opera senza autore , Roma, Un affare di famiglia), un historical period drama (Cold War), un mistery drama (Burning), un thriller (The Guilty) e un crimeispirato a una storia vera (Birds of Passage).
Tra i nove, Roma, nome del quartiere di Città del Messico in cui Cuarón è cresciuto, è considerato il front runner. Dichiaratamente autobiografico (in diverse interviste il regista ha affermato che «il 90% delle scene esce dalla mia memoria»), il film racconta, attraverso lo sguardo di una domestica (Cleo, interpretata da un’attrice non professionista, la bravissima Yalitza Aparicio), il Messico del 1971. L’anno è quello in cui il padre di Cuarón abbandonò moglie e figli: lo stesso del «massacro di El Halconazo», la violenta repressione, con 120 morti, di una protesta studentesca da parte di un corpo d’élite dell’esercito messicano. Girato in un bianco e nero sontuoso, Roma ha vinto due Golden Globe (Miglior regista e Miglior film straniero), considerati l’anticamera dell’Oscar, e quattro Critics’ Choice Awards (Regia, Miglior film, Miglior film straniero, Fotografia), i premi assegnati ogni anno dai critici di cinema e tv delle principali testate americane.
L’altro contender dato per favorito è The Guilty, opera prima del regista svedese Gustav Möller, di cui è già stato annunciato un remake americano con protagonista Jake Gyllenhaal. Un thriller al cui centro c’è Asger Holm (Jakob Cedergren), un poliziotto che si è messo nei guai con la Disciplinare. Confinato a rispondere a chiamate d’urgenza, Holm riceve la telefonata di una donna che sostiene di essere stata rapita. Da quel momento inizia una corsa contro il tempo per risolvere un crimine che si rivelerà più esteso di quanto il poliziotto potesse pensare.
Il sudcoreano Burning di Lee Chang-dong, regista sempre sospeso tra poesia e cinema, potrebbe invece rivelarsi l’outsider che scombina i pronostici. Ispirato a un racconto breve di Haruki Murakami contenuto nel libro L’elefante scomparso e altri racconti (Einaudi), il film segue un triangolo amoroso dai contorni misteriosi che porterà il protagonista, un ragazzo di nome Lee (Yoo Ah-in), sull’orlo della paranoia. Dall’Estremo Oriente arriva anche Un affare di famiglia di Hirokazu Kore’eda. Palma d’oro al Festival di Cannes 2018 e presentato nelle nostre sale nel settembre scorso, il film affronta questioni da sempre care al regista giapponese: i legami, i rapporti, la famiglia vista nelle sue molte geometrie variabili.
Dalla Croisette, dove ha vinto il Premio della Giuria, arriva anche Cafarnao, scritto e diretto dalla libanese Nadine Labaki. Prodotto da Khaled Mouzanar (che per il budget ha dovuto mettere un’ipoteca sulla casa), il film è costruito sull’incredibile figura di Zain, un dodicenne rifugiato siriano alla ricerca della sua identità. Il ragazzino si ribella contro la vita che gli è stata imposta e fa causa ai genitori «perché lo hanno messo al mondo».
L’Europa della guerra fredda fa invece da sfondo al bianco e nero di Cold War, di Pawel Pawlikowski (Oscar al Miglior film straniero con Ida, 2015), storia di un amore impossibile ambientata tra Polonia, Berlino, Jugoslavia e Parigi; mentre in Opera senza autore il tedesco Florian Henckel von Donnersmarck (Le vite degli altri, Miglior film straniero nel 2007), ispirandosi alla vita del pittore Gerhard Richter, sceglie di raccontare le stagioni di un uomo attraverso quelle del suo Paese (nazismo, guerra fredda, anni Sessanta).
Avidità e sete di potere sono al centro di Birds of Passage di Cristina Gallego e Ciro Guerra. Diviso in cinque «canti», il film racconta la nascita del narcotraffico in Colombia attraverso l’ascesa e la caduta di una famiglia indigena wayùu che della ricchezza scoprirà anche i risvolti tragici.