La Lettura, 20 gennaio 2019
Tutti i pesci di Milano
Quando la sbarra si riabbassa lenta e silenziosa alle nostre spalle, il signore infreddolito all’interno del gabbiotto solleva il braccio in segno di saluto e noi proseguiamo lentamente per un breve tratto al buio, in automobile. Ci lasciamo dietro la Milano che conosciamo – quella delle vie affollate, dei negozi alla moda, dei tram, delle nostre quotidianità – per entrare in un mondo con gli orari rovesciati, in una piccola parte della città dove si affollano 1.500 lavoratori, mentre quasi tutti gli altri dormono già da parecchie ore.
Sono passate da poco le 4 del mattino, «ora dalla notte al giorno, ora da un fianco all’altro, (...), ora vuota. Sorda, vana. (...) Ora in cui la terra ci rinnega», come recitano alcuni versi di una poesia di Wisława Szymborska. Alle 4 del mattino attraverso l’ingresso del civico 54 di via Cesare Lombroso arriviamo al mercato ittico di Milano, il più importante d’Italia. Dove, nel corso dell’anno appena congedato, sono state smistate 10 mila tonnellate di pesce proveniente soprattutto dal Mediterraneo e dall’Atlantico per un valore pari a 75 milioni di euro. Anche se qui di contante se ne vede girare solo alla cassa del bar nel mercato, dove – sotto una luce artificiale che illumina a giorno e foto in bianco e nero affisse ai muri come trofei di pesca – ci si prende una pausa per un caffè o un tramezzino. Le transazioni sul pescato vengono infatti regolarizzate unicamente attraverso un sistema bancario innovativo, di tale trasparenza che se uno dei 1.300 tesserati che ha libero accesso al mercato per l’acquisto del pesce dovesse, per un motivo o per l’altro, non rispettare i propri impegni di pagamento, lo saprebbero in tempo reale tutti gli altri 1.299. «Serietà», sorride soddisfatto Cesare Ferrero, presidente SogeMi, società che gestisce per il Comune l’intero mercato agroalimentare di Milano (il direttore generale Stefano Zani è ora indagato per corruzione e turbativa d’asta nell’ambito di un’inchiesta legata al mercato ortofrutticolo). Ferrero: «Abbiamo appena lanciato il marchio di qualità “Mercato Ittico Milano”, creato per valorizzare cinque punti: la pesca sostenibile, la sicurezza alimentare, la catena del freddo, la correttezza commerciale, la trasparenza dei processi. Gli operatori devono credere nel marchio che li identificherà nei negozi, nei menu dei ristoranti... Dobbiamo diventare ancora più competitivi».
Nel parcheggio davanti al mercato, i camion provenienti da tutt’Italia, con il loro carico di mare, hanno già provveduto alle operazioni necessarie per distribuire il pesce ai 25 grossisti intorno a mezzanotte. Siamo vicinissimi a Linate, lì arrivano prodotti ittici dai nostri mari, ma anche dalle coste del Marocco, Capo Verde, isole Canarie, persino dal Golfo di Guinea. Le macchine del ghiaccio sono in funzione e continuano a produrre freddo per tenere a temperatura il pescato. Proprio qui, in mezzo alla pianura padana, in una delle città più funzionanti d’Italia, a 150 chilometri dal mare più vicino, arriva – con il beneplacito del chilometro zero – il pesce fra i più freschi d’Italia. Con una varietà senza pari. Abbiamo visto lampughe (pesci di origine tropicale e subtropicale, che, al pari dei barracuda, per via dell’innalzamento della temperatura delle acque del Mediterraneo, ora popolano anche i mari italiani), mustele, dotti, cernie bianche e dorate, pesci serra, lecce stella, polpi, saraghi pizzuti, fasciati e reali, sogliole, pagri, pagelli, dentici, pesci spada, tonni pinna gialla, orate e branzini in quantità, rane pescatrici, ogni genere di crostaceo, salmoni, pesci San Pietro, rombi, chiodati e non.
È uno spettacolo che va in scena ogni notte (esclusa la domenica) dalle 4 alle 10 del mattino (il sabato fino alle 8) fra contrattazioni e vendite. Il grande spazio del mercato diventa un enorme palcoscenico che si riempie improvvisamente di «attori» e «comparse» e con la stessa velocità – quando le vendite sono invece finite – si svuota e tutto torna come prima, grazie all’abile lavoro degli operai e alla forte pressione dell’acqua spruzzata per terra che spazza via i resti.
Inutile dirlo, di notte chi prima arriva – recita il detto – meglio alloggia, ovvero si accaparra il pesce migliore. Il prezzo varia da giornata a giornata. Con il maltempo il pesce, si sa, costa di più: è una legge del mercato imposta dalla natura, che almeno in questo caso riesce, per una volta, a farsi valere. «Facciamo l’esempio delle alici, il più comune dei pesci», spiega Teodoro Lattanzio, presidente dell’associazione grossisti. «Una cassa – di quelle di polistirolo che contengono circa otto chili di alici – può variare di prezzo da un giorno all’altro, oggi può costare 5 euro e domani anche 60».
Fra il luccichio del ghiaccio, gli schizzi di sangue per terra, le folate d’aria fredda che filtrano attraverso i pesanti tendoni di plastica trasparente, i lavoratori indossano stivali di gomma ai piedi e berretti di pile in testa. Le mani sempre umide e gonfie, anche sotto i guanti, sollevano e spostano casse di pesce: due, tre, anche quattro alla volta. Qui gli uomini assomigliano tutti un po’ al personaggio di Jude, il grande marinaio dell’omonimo romanzo rivelazione della francese Catherine Poulain (Neri Pozza, 2016), la scrittrice che ha trascorso dieci anni a pescare in Alaska. È una vita dura anche quella di chi lavora al mercato ittico, e tuttavia la maggior parte dei lavoratori qui sorride. «Provate a entrare in una qualunque agenzia bancaria appena apre alla mattina e ditemi se trovate gente che sorride così», scherza Cesare Ferrero, indicando un gruppetto di lavoratori. E poi aggiunge: «Si parla tanto di integrazione sociale. È qui che avviene. Il 50 per cento di questi lavoratori non è italiano».
Lattanzio, battuta veloce e l’aria di uno che sta sul pezzo, lavora in questo settore da 43 anni. «All’una di notte spengo la sveglia prima che suoni. Mezz’ora dopo arrivo al Mercato. Alle 8 comincia la giornata in ufficio, dove sto fino alle 12, poi vado a casa a riposare. Nel pomeriggio sto al telefono con i collaboratori che si trovano nei porti e alle aste di Ancona, San Benedetto, Manfredonia, Viareggio... per decidere che cosa comprare».
Una delle figure chiave in questo luogo è Valerio Ranghieri, consulente veterinario per l’autocontrollo del Mercato. Entriamo nel suo ufficio. Sul tavolo, appoggiati su coperchi di scatole in polistirolo, ci sono pesci sezionati, come in un’aula universitaria prima di una lezione di biologia marina. Sono alici, suri, sgombri e rane pescatrici, pesci che Ranghieri ha prelevato dalle casse in arrivo. Per un controllo. E ha trovato esemplari di anisakis, il temibile parassita, pericoloso anche per l’uomo, che si può trovare «in tutti i pesci», spiega, dosando bene le parole e utilizzando spesso i nomi in latino dei singoli pesci. «In una settimana può capitare che faccia ritirare uno o due lotti. Basta che ci sia un paio di pesci con anisakis per giustificare un ritiro e l’allerta successivo». Il parassita è «ematofago, cioè si nutre di sangue» ed è pericoloso per l’uomo soltanto se ingerito con il pesce crudo o appena scottato, perché da cotto è innocuo. «È aumentato il numero di queste gravi infezioni gastrointestinali con l’incremento dei locali che propongono pesce crudo. In Giappone ci sono duemila casi ogni anno, in Italia il registro delle persone colpite è tenuto all’ospedale di Pescara», dice. «C’è una legge che obbliga il ristoratore che serve pescato crudo ad abbattere la temperatura del pesce: 24 ore a -18° oppure 15 ore -35°». E poi continua: «Il pesce che fa meglio alla nostra salute è il merluzzo nordico, Gadus morhua, pochissimi grassi e quasi solo proteine, portato in Italia dal navigatore veneziano Pietro Querini, sopravvissuto a un naufragio nel gennaio del 1432, nell’arcipelago delle isole norvegesi Lofoten, dove già si pescava ed essiccava il merluzzo».