il Fatto Quotidiano, 20 gennaio 2019
Maria Antonietta Boschi
Casomai qualcuno credesse ancora alla favoletta del Pd “di sinistra”, ha provveduto Maria Elena Boschi a sfatarla con la memorabile battutona sullo Stato sociale (che per lei non è il Welfare, ma la band arrivata seconda all’ultimo Sanremo) e sulla “vita in vacanza” (intesa come la pacchia sardanapalesca del reddito di cittadinanza per i 5 milioni di poveri creati anche dal suo partito). Per una volta la freddura, peraltro copiata ad Aldo Cazzullo, è riuscita a fare più danni al Pd del suo rottamatore ufficiale, che tuona contro il reddito da un tipico mezzo di locomozione proletario: un motoscafo di Venezia. Nel silenzio assoluto dei vari Zingaretti e Martina. Se non sapessimo che Maria Etruria e Matteo stanno scientificamente picconando quel che resta del loro partito per farne un altro ancora peggiore, ci domanderemmo quanto li pagano i 5Stelle e la Lega per mettere in fuga gli elettori superstiti. Mai, a memoria d’uomo, il Pd si era accanito contro una legge come ora contro il sussidio per i meno abbienti, fino al punto di annunciare un referendum abrogativo in combutta con FI (che nel programma elettorale prometteva non solo il reddito di cittadinanza, ma financo l’“azzeramento della povertà assoluta”, manco l’avesse scritto Di Maio) e con Fd’I (già “destra sociale”).
Se il centrosinistra avesse speso un decimo delle energie e dello sdegno che ora impiega contro il reddito per combattere una a caso delle 41 leggi vergogna di B., il berlusconismo sarebbe durato molto meno. Dal 2011 al 2018 i nostri “progressisti” hanno regalato senza fare un plissé 60 miliardi alle banche rovinate dai loro amici magnager; hanno votato sette manovre con 40-50 miliardi a botta di sgravi fiscali alle imprese; hanno buttato ogni anno 4 miliardi abolendo l’Imu sulle prime case (anche dei ricchi), 12 miliardi per gli incentivi del Jobs Act alle imprese e altri 10 miliardi per gli 80 euro a chi uno stipendio ce l’ha. Poi, in vista delle elezioni, si sono ricordati dei poveri: solo che l’Istat ne conta 5 milioni, mentre lorsignori li hanno ridotti a uno solo col Reddito di inclusione (in media 297 euro mensili a testa). Un primo passo contro la miseria, peraltro dimenticato in campagna elettorale per non darla vinta al M5S: così nessuno se n’è accorto. Ora che la platea si allarga a 4,9 milioni di poveri, con un assegno medio di 500 euro a famiglia (fino a 780 euro al mese a persona), il Pd si batte come un leone perché l’Italia torni a essere l’unico paese Ue senza un reddito minimo, mentre globalizzazione, delocalizzazione, automazione e nuova recessione sterminano centinaia di milioni di posti di lavoro.
Nemmeno la lezione di Macron, partito col taglio delle tasse ai ricchi, cioè molto più a destra di Salvini (che la Flat tax l’ha lasciata perdere), e convertito di corsa al “reddito universale” per rompere l’assedio dei Gilet gialli, fa riflettere il partito più cieco, sordo e ottuso dell’Occidente. Il reddito di cittadinanza, se le stime saranno confermate, costerà nel primo anno 6 miliardi (più 1 per i centri per l’impiego e i navigator). Sommandolo alla quota 100 per le pensioni, non si arriva neppure a 10. Meno della metà delle due bandiere del renzismo: il Jobs Act e gli 80 euro. Eppure chi non fece una piega quando Renzi buttò dalla finestra 22 miliardi l’anno a pioggia per due misure che non smossero i consumi né crearono posti di lavoro in più rispetto ai già pochi che nascevano prima, ora si scandalizza per 10 miliardi destinati alle fasce più deboli della popolazione: pensionati minimi, costretti a campare con 100 o 200 euro al mese, giovani senza lavoro e anziani lavoratori costretti dalla Fornero a rinviare la meritata pensione. Quasi che Conte, Di Maio e Salvini scialassero i nostri soldi in champagne, casinò e donnine allegre. Che Confindustria, abituata a mettersi in tasca la magna pars delle manovre, sia sul piede di guerra non stupisce. Che B., dimentico di aver copiato al M5S il reddito di cittadinanza in campagna elettorale, scateni i rottweiler, è normale: già è un miracolo se, ridotto com’è, si ricorda come si chiama. Che la stampa di destra titoli ogni giorno sul “regalo a fannulloni e a fancazzisti”, offendendo milioni di poveri che attendono da 25 anni i milioni di posti di lavoro promessi da tutti i governi della Seconda Repubblica, è ovvio: fanno il loro sporco mestiere.
Ma è incredibile che, salvo rare eccezioni, da sinistra e dal mondo cattolico non si levi una voce a sostegno di una misura che per la prima volta affronta concretamente l’urgenza della povertà. Si era detto che il reddito costava 50 o 60 miliardi l’anno, dunque non sarebbe mai stato approvato: ora è legge dello Stato, anche se non si sa se si farà in tempo a erogarlo alla prevista scadenza di aprile. Si era detto che avrebbe favorito chi vuole poltrire sul divano o arrotondare lo stipendio al nero. Allora il governo ha inserito paletti, controlli e sanzioni per scoraggiare i furbi (che comunque, nel Paese dell’evasione e del lavoro nero, ci saranno sempre, ma non possono penalizzare gli onesti: altrimenti, per evitare che ne approfitti chi non ne ha diritto, bisognerebbe abolire anche la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione, le agevolazioni sanitarie, scolastiche e universitarie ai meno abbienti, gli 80 euro, il Rei e gli altri strumenti del Welfare). E ora tutti a criticare i paletti, i controlli e le sanzioni. E a ripetere a macchinetta che ci vuol altro per creare lavoro, come se il lavoro si creasse per decreto e come se il reddito non fosse pensato proprio per chi non ce l’ha, lo cerca ma non è detto che lo trovi. Non va mai bene nulla, e neppure il suo contrario. Presto Maria Antonietta Boschi si affaccerà al balcone di Banca Etruria e annuncerà il nuovo slogan vincente del Pd: “Non hanno pane? Mangino brioche”.