il Giornale, 20 gennaio 2019
Sunniti e sciiti litigano sulla salma di Maometto
In una bella biografia dedicata a Maometto, il grande storico e islamista francese Maxime Rodinson – dopo aver raccontato le ultime ore del profeta e la sua tardiva e irrituale sepoltura – ha accennato, con una immagine efficace, alle rivalità tra familiari e seguaci più stretti del defunto: «Viene da pensare ad Antonio durante le esequie di Cesare o a Stalin che approfitta delle esequie di Lenin». In effetti, attorno alla morte del profeta aleggia un’aura di intrigo che fa pensare alla lotta per la successione e, quindi, anche alla genesi delle divisioni che segneranno il mondo musulmano fino ai nostri giorni. E poi ancora – si potrebbe aggiungere – c’è, attorno alla scomparsa del profeta, una atmosfera di mistero che sfiora la malattia, la morte, le esequie.
Maometto esalò l’ultimo respiro l’8 giugno 632, la testa poggiata sul grembo della moglie preferita, la bella e sensuale diciottenne Aisha, che gli era stata particolarmente vicina negli ultimi giorni e nelle ultime ore. Eppure, la vivace «piccola e rubiconda» Aisha (così Maometto la chiamava scherzosamente) non avrebbe saputo neppure del funerale del marito se non avesse sentito l’eco dei colpi di piccone che scavavano una fossa. Il corpo del defunto avrebbe dovuto essere inumato, secondo la prassi e le norme dettate dal Profeta, prima possibile e in ogni caso nella stessa giornata della morte. Tuttavia trascorsero ben due interi giorni prima che, la sera del 10 giugno, si provvedesse alla sepoltura. Mentre la salma giaceva sul letto di morte, ricoperta da un drappo, gli amici e compagni più vicini al Profeta erano alle prese con una lotta di potere per accaparrarsene l’eredità.
È sintomatico come, di fronte alla folla tumultuosa e disorientata accorsa davanti alla dimora di Maometto al diffondersi di notizie sulla sua morte, i più stretti collaboratori del Profeta sostenessero tesi diverse e del tutto contrastanti. Umar, per esempio, gridò con voce tonante: «Guai a voi, sventurati! L’Inviato di Dio è ancora vivo! Aspettate che il Profeta torni e taglierà le braccia e le gambe a tutti quelli che avevano detto che era morto». Poco dopo accorse alla camera ardente un altro dei fedelissimi, Abu Bakr, il quale, baciata la fronte ormai fredda del Profeta, si rivolse alla folla con parole completamente diverse da quelle di Umar: «Ascoltatemi! Coloro che adorano Maometto sappiano che Maometto è morto. Coloro che adorano Dio sappiano che Dio è eterno e non muore mai». Non si presentò, invece, Ali, cugino e genero di Maometto, colui che, per volere del Profeta, era stato designato a sovrintendere alla preparazione della salma per le esequie. Abu Bakr e Umar, e poi Uthman, un altro genero del Profeta, sarebbero stati nell’ordine i primi tre successori di Maometto alla guida del Califfato.
Che attorno alla morte di Maometto aleggi un’aura di mistero e di intrighi lo dimostrano questi comportamenti. Una studiosa tunisina, Hela Ouardi, che si divide tra il suo Paese natale e la Francia, ha esplorato i lati oscuri della vicenda in un bel volume, Gli ultimi giorni di Maometto (Enrico Damiani Editore, pagg. 310, euro 14), che ha il taglio di una «inchiesta storica» sulla misteriosa morte del Profeta: un volume finito subito, comprensibilmente, al centro di polemiche e contestazioni all’interno del mondo musulmano. Scritto con grande gusto letterario, il lavoro di Hela Ouardi è il frutto maturo di una ricerca accurata e scientificamente esemplare condotta, oltre che sulla letteratura storiografica, su tutte le fonti letterarie e storiche della tradizione musulmana, a cominciare dai versetti del Corano che si riferiscono alla vita del Profeta. L’interesse dell’autrice, professionalmente studiosa di letteratura e cultura francese, per Maometto e per il mondo musulmano nacque dal desiderio di comprendere, nel bel mezzo delle cosiddette «primavere arabe», il fenomeno del radicalismo religioso islamico sfociato nelle azioni terroristiche di Al Qaida e dell’Isis e, al tempo stesso, di spiegare le modalità attraverso le quali la figura di Maometto si trasformò in strumento di legittimazione del potere politico.
Al centro del racconto ci sono le ultime settimane di vita del Profeta, reduce dalle sconfitte dei musulmani da parte dei bizantini, sopravvissuto a un complotto ordito nei suoi confronti, prostrato dalla morte del figlio «inatteso» Ibrahim. È, il protagonista di questo racconto, un Maometto vecchio e affetto da una malattia dai risvolti oscuri – per alcuni si trattò di pleurite, per altri di avvelenamento -, un Maometto isolato fra i suoi stessi seguaci e familiari invischiati in una lotta di successione attorno al suo capezzale: una figura, insomma, dolente e tragica strappata dal mito e dell’agiografia e riportata da Hela Ouardi sul terreno dell’umanità.
L’agonia di Maometto durò a lungo, una quindicina di giorni. Il Profeta, a quanto risulta da più fonti, avrebbe voluto redigere o dettare un testamento cui affidare le ultime volontà sulla successione politica alla guida del califfato. Sognava, forse, di dar origine a una dinastia regnante ed è probabile che, in tale ottica, avrebbe indicato – è questa anche la convinzione dell’autrice – il cugino Ali Ibn Abi Talib. Oltre a essere povero, questi non era neppure un bell’uomo – obeso, gambe corte, occhi cisposi, naso schiacciato – tant’è che, si racconta, una donna, vedendolo passare, esclamò: «Si direbbe che sia fatto di pezzi messi insieme alla bell’e meglio!». Ma quest’uomo dall’aspetto grottesco e sgraziato era anche il genero di Maometto perché ne aveva sposato la figlia Fatima e gli aveva dato due nipotini per i quali il Profeta stravedeva.
Tuttavia, il testamento non venne redatto – alla vicenda, ricca di interrogativi senza risposta, della mancata stesura del documento è dedicato un intero e suggestivo capitolo – e quindi non venne in alcun modo ufficializzato il nome di Ali, che comunque Maometto considerava l’uomo «più istruito e virtuoso» della famiglia. Naturalmente, non furono neppure ufficializzati altri nomi, a cominciare da quello di Abu Bakr, amico del Profeta e padre della moglie Aisha. Fu così che, attorno alle spoglie di Maometto, si scatenò la faida, interna al mondo musulmano, tra «sunniti», in origine sostenitori di Abu Bakr, e «sciiti» o partigiani di Ali, che consideravano lo stesso Abu Bakr e i suoi immediati successori come degli usurpatori. Un conflitto, questo, che dilania tuttora il mondo musulmano.