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 2019  gennaio 20 Domenica calendario

Incontro con Giorgio e Filippo Tirabassi

Questa è una storia di destini incrociati, di corsi e ricorsi, di persone e luoghi che tornano nella vita dopo tanti anni a rivelare il senso nascosto del loro primo apparire. È una storia raccontata, con il pudore gentile di due ragazzi, da Giorgio e Filippo Tirabassi. In realtà sono padre e figlio, ma a tratti, nella conversazione, emerge una complicità da coetanei. In nessuno dei due c’è la voglia di dichiarare il vantaggio che l’età dà sull’altro: i 58 anni consapevoli di Giorgio e i 28 anni più leggeri di Filippo che si prepara a fare un viaggio a Cuba, prima di tornare in scena in primavera al Quirinetta di Roma con VaffanDisney, «una commedia surreale satirica politicamente scorretta». «Io invece non sono mai stato un grande viaggiatore, e anche per stare vicino alla famiglia ho scelto di lavorare sempre a Roma. Di Filippo ho seguito tutta la crescita, ma anche di Nina, che è più piccola», racconta Giorgio Tirabassi, occhio azzurro, un volto più armonico di quello che a volte la cinepresa gli ha rubato, da Distretto di polizia a Boris, dalla fiction su Borsellino fino alla Linea Verticale.
Ed è sul set della fiction di Mattia Torre che, unica volta nella vita, padre e figlio si sono sfiorati professionalmente. «Sono stato il protagonista di una puntata: facevo un giovane oncologo, ma nessuna scena con papà», spiega Filippo, un ragazzo esile, con una faccia apparentemente normale, sottile, che però all’improvviso è capace di aprirsi in tutte le direzioni dell’espressività. «A me interessa molto il comico, ma mi dicono che le mie cose più riuscite finora sono quelle di tono drammatico».

IMPROVVISAZIONE
Aveva sette anni, il piccolo Tirabassi, quando suo padre lo fece salire sul palcoscenico. Forse il coraggio Giorgio lo prese dal fatto che si trovavano lontano da Roma, ad Oslo precisamente. «Ero in Norvegia per recitare Coatto unico all’Istituto italiano di cultura e avevo portato con me anche mia moglie Francesca (la gallerista Francesca Antonini, ndr.) e Filippo. Durante una replica dello spettacolo, dove interpreto diverse figure, mi venne in mente di chiedere a Filippo di fare il personaggio del figlio in un dialogo che fino a quel momento avevo recitato da solo. Lui sapeva tutte le battute a memoria perché aveva visto quello spettacolo centinaia di volte e devo dire che rimasi impressionato dal suo senso del ritmo. Aveva i temi esatti».
«Me lo ricordo benissimo quel momento. Io ero piccolissimo e avevo davanti a me un microfono che mi sembrava immenso. Però non ho avuto paura. Mi piaceva fare tutte quelle domande a mio padre». Quali domande? «Beh, nel copione il bambino insiste nel sapere come nascono i bambini e il padre non sa come cavarsela». E Filippo da bambino che cosa voleva sapere? «Con il fumetto di Batman in mano, una volta venne da me per chiedermi: anche Gesù vola? Per lui una persona importante come Gesù doveva avere per forza i superpoteri».
Su quella precoce vocazione manifestata a 7 anni, né padre né figlio osarono però dirsi nulla per molti anni. Nel frattempo era nata la passione per la musica. «È stata quella l’arte che all’inizio ci ha unito», spiega Giorgio. «Io suonavo la chitarra, lui si è appassionato al contrabbasso e al basso». «Tutto è nato quella volta che ho trovato a casa quel vecchio basso mezzo scassato che ti aveva regalato un amico. Era rosso», interviene Filippo. «Sai che non me lo ricordo?».
Insomma, niente faceva pensare che il figlio volesse seguire le orme del padre fino a che, una mattina, Filippo capisce che, dopo due anni di vita londinese, vuole tornare a Roma e fare proprio l’attore. «Mi ero anche iscritto all’università, ma capisco presto che volevo tentare la strada della recitazione». E qui viene il bello. Come monologo per il provino, inizialmente il giovane Tirabassi aveva pensato a una scena di Will Hunting, Genio ribelle. «Era un’idea assurda. Volevo fare un vecchio sessantenne, il personaggio interpretato nel film da Robin Williams». «A quel punto sono intervenuto e gli ho consigliato di dare un’occhiata a un film di Elio Petri, La proprietà non è un furto». «Alla fine ho portato il monologo che faceva Proietti, È morto un ladro, dove si fa l’elogio funebre dell’amico appena morto di fronte a tutti gli altri ladri piangenti».

L’ISPIRAZIONE
In questa storia, Gigi Proietti è una figura importante. A sua insaputa, ha sorvegliato come un fantasma buono e vite artistiche di padre e figlio. «Sarà un caso che oggi mi trovo a fare Gaetanaccio?», si chiede Giorgio. E già, può essere un caso che, a distanza di 40 anni dal celebre spettacolo di Luigi Magni, Tirabassi si trovi a ereditare il ruolo che fu di Gigi Proietti? Lo spettacolo, che debutterà il 19 febbraio al Teatro Eliseo di Roma, porta la firma registica di Giancarlo Fares. «Nel 1978 io avevo 20 anni e vidi lo spettacolo con Proietti. Ne rimasi folgorato, e niente allora lasciava pensare che solo dopo tre anni sarei andato a recitare nella compagnia di Gigi. E oggi mi trovo a fare questo personaggio magnifico di burattinaio costretto alla fame a causa di un divieto del Vaticano. L’unica cosa che un po’ mi preoccupa è la forza fisica che ci vuole. Quando ha fatto Gaetanaccio, Gigi non aveva neanche 40 anni ed era un leone, io mi trovo a farlo a quasi 60», riflette Giorgio. «E poi è un’altra magnifica coincidenza che la mia partner scenica sia Carlotta Proietti, la figlia di Gigi. Quando l’ho vista la prima volta, stava imparando a camminare».

SEPARATI
L’unico rammarico, in tutta questa storia, è che Filippo non reciti accanto al padre. «Ci abbiamo un po’ sperato, ma le esigenze di produzione erano altre». «Però forse è giusto che sia andata così, anche se prima o poi vorrei avere l’opportunità di recitare con lui», commenta il figlio, che abbiamo visto sul grande schermo per la prima volta in una piccola parte del film di Muccino, L’estate addosso. «Contemporaneamente, fui chiamato per fare una puntata di Don Matteo. Un periodo veramente felice». Dopo pochi mesi, sempre nel 2016, arriva il suo primo ruolo da protagonista, nel film di Laura Morante, Assolo, dove è il fidanzato di Eugenia Costantini. «Da Laura Morante ho imparato tanto, per esempio come usare le mani. Lei è veramente brava nella direzione d’attore», commenta Filippo Tirabassi.

ALLO STADIO
«Io non l’ho mai spinto a fare questo mestiere, che è molto duro, che qualche volta ti aliena», dice Giorgio. «Papà non è stato un padre assente, però il lavoro qualche volta l’ha portato via. Mi ricordo quando mi promise di andare tutte e due in campeggio e poi alla fine fu chiamato per una puntata della prima serie di Distretto di Polizia, non partimmo più e mi piantò una tenda nella nostra casa di campagna. Ci rimasi proprio male», ricorda il ragazzo, che dal padre ha assimilato una lezione: «Via l’ego. In questo mestiere, l’autocompiacimento è il vero nemico». E per dimostrare che per loro lo spettacolo non è l’unica cosa che li unisce, tirano fuori a fine conversazione il vero unico, intramontabile amore: la Roma. «All’inizio lo portavo in tribuna ma vedevo che lui guardava ipnotizzato la Curva» spiega divertito il padre. Il figlio si apre nel suo più ampio sorriso: «È da tredici anni che vado in curva, niente mi fa più felice».