La Stampa, 20 gennaio 2019
Intervista a Aby Rosen. «Non temo Trump perché investo a lungo termine»
Aby Rosen è un immobiliarista americano-tedesco. Gestisce Rfr, una delle più grandi agenzie immobiliari degli Stati Uniti, con il suo socio e migliore amico Michael Fuchs, che come lui è un ebreo tedesco di Francoforte. Si conoscono fin dall’asilo.
Ci racconta la sua infanzia?
«Nacqui a Francoforte nel maggio del 1960, ebreo in un momento in cui solo l’1% della popolazione lo era. Mio padre era polacco ed era stato rinchiuso ad Auschwitz fino all’aprile 1945. Mia madre, nata a Bruxelles nel 1935, venne affidata da mio nonno a una famiglia di contadini non ebrei, con cui ha vissuto fino al 1945. Divenne una pittrice, un’arte che le permetteva di esprimere la sua collera».
Com’è stato per un ebreo crescere in Germania 15 anni dopo la fine della guerra?
«Eravamo troppo giovani per capire cosa fosse successo. Io trovavo bello essere speciali. Mio padre aveva fatto i soldi e ci sentivamo finanziariamente al sicuro. Ero positivo, schietto, equilibrato».
Come è iniziato il suo successo professionale?
«Mio padre ha avuto un attacco di cuore e quindi si è ritirato dal lavoro quando avevo 18 anni. Io frequentavo Giurisprudenza e lavoravo nel settore immobiliare con lui. Mi ha passato il testimone».
Perché gli Stati Uniti?
«Non volevo fare l’avvocato. Mi è sempre piaciuta l’America: brillante, innovativa. A 27 anni andai a New York, una città che scegli non perché sia bella ma perché ti si addice. Mio padre mi prestò i soldi. Volevo essere indipendente».
E che cosa fece?
«Acquistai un edificio vuoto all’angolo tra la 44th Street e Lexington Avenue, posizione fantastica. E assunsi un ottimo architetto per trasformarlo in un grande palazzo, spendendo fin troppi soldi. Alla fine fu una buona dea perché lo affittai al McDonald’s che diventò il più carino della città. Da quel momento ho capito che l’architettura di qualità paga».
A che tipo di proprietà è interessato oggi? Dove si fanno i soldi?
«Rfr ricerca investimenti in immobili sui principali mercati degli Stati Uniti e dell’Europa. I nostri obiettivi comprendono tutte le categorie con un valore aggiunto, una proprietà strategica o un riposizionamento di livello».
Possiede edifici significativi?
«Sì, il “Seagram Building” di Mies van der Rohe e poi di Philip Johnson. E “Lever House”. Costruito nel 1954, è stato il primo edificio in vetro al mondo. In un anno ho comprato due dei migliori immobili in assoluto. Ho costruito 15 edifici, rinnovato più di 30, e ne possiedo 70».
Tutti a New York?
«No, anche a Miami e Las Vegas - e c’è un grande portafoglio di immobili in Germania».
Come vanno i due ristoranti che ha aperto al Seagram dove c’era il «Four Seasons», e le sue attività alberghiere e di ristorazione?
«Gli hotel e i ristoranti sono aziende attive 24 ore su 24. Se non ci stai dietro e se non trai il massimo dalle esperienze dei tuoi ospiti, sei morto. Ma continuano a soddisfare le mie aspettative».
Quali sono i suoi hotel in America?
«Il “W South Beach” a Miami, il “Paramount” a Times Square e il “Gramercy Park Hotel” a New York».
È molto legato a Israele?
«Avevamo grandi ambizioni per Israele, ma dopo 22 anni abbiamo costruito solo l’Hotel Jaffa a Tel Aviv. Mi spiace non aver fatto molto, ma è tutto troppo competitivo. Gli israeliani sono tosti».
Come sta andando l’hotel Jaffa?
«L’abbiamo aperto ad agosto 2018 ed è il miglior hotel e residence israeliano. Offriamo ospitalità a 5 stelle in un Paese che vede una crescita esponenziale del turismo. I riscontri e le recensioni sono straordinari. La città vecchia di Jaffa è la zona più eccitante e diversificata di Tel Aviv. L’hotel è bellissimo».
Gli artisti continuano ad avere un ruolo nel suo lavoro?
«Ho capito che l’arte e l’architettura sono interconnesse e ho cominciato a mettere l’arte in tutti gli edifici, hotel e appartamenti. E aiutiamo i nostri affittuari a creare collezioni con artisti emergenti e affermati».
Il mercato dell’arte è ancora in piena espansione, quali sono gli artisti che colleziona o ammira?
«Ho tra le 800 e le 900 opere. Warhol, Twombly, Basquiat, Koons, Ed Ruscha, Damien Hirst, Richard Prince e altri. Ritengo importante esporre la mia collezione e condividerla con gli altri. Lo spazio della nostra galleria, la Lever House Art Collection, è molto attivo e presenta opere interessanti di una vasta gamma di artisti».
Dopo tanto successo e molti anni, si sente tedesco o americano?
«Americano al 100%. Ho una moglie americana, figli americani. Provo gratitudine nei confronti dell’America».
Qual è l’impatto della presidenza Trump sul settore immobiliare?
«Le leggi fiscali di Trump non sono buone per chi possiede proprietà a New York, ma risento un impatto negativo minimo. Investo a lungo termine e troverò opportunità in qualsiasi mercato».
Che pensa dell’arte?
«È il riflesso di ciò che sta succedendo, e comprandola acquisisci il tuo segmento di tempo, come una fotografia».
Nuovi progetti?
«Cerco proprietà di alta qualità nei quartieri emergenti, Ho ampliato la nostra presenza a Brooklyn e nel centro di New York. Continuo a creare buone abitazioni, buoni spazi e a usare l’arte per creare un valore che duri nel tempo».
Come vorrebbe essere ricordato?
«Sono un capitalista, ma se riesco a esserlo con architetti, paesaggisti e artisti bravi, sono felice. Mi piacerebbe essere ricordato come qualcuno che aveva un buon occhio».
(Traduzione di Carla Reschia)