La Stampa, 20 gennaio 2019
Perché l’Academy non trova un comico per la serata degli Oscar
La novantunesima cerimonia degli Oscar che si svolgerà il 24 febbraio a Los Angeles avrà tutto - abiti da sera, star, vincitori e vinti - tranne una cosa: il presentatore. È la conclusione a cui è giunta l’Academy dopo la decisione del comico Kevin Hart di rinunciare, avvenuta lo scorso dicembre. Subito dopo la sua nomina, erano infatti ricomparsi in rete suoi tweet del 2009 con battute considerate omofobe e irrispettose verso la comunità Lgbtq. Hart in un primo momento aveva minimizzato, dicendo che era materiale vecchio e che lui era cambiato e maturato. Poi, il 7 dicembre, l’annuncio: non voglio che la mia presenza distragga dalla premiazione, trovate qualcun altro. E qui sta il problema: in un mese e mezzo l’Academy non è riuscita a trovare un sostituto adeguato, ovvero abbastanza irriverente da tenere sveglia la platea televisiva - e risollevare gli ascolti pessimi dell’anno scorso, con Jimmy Kimmel: 26 milioni contro i 32 del 2017 - e sufficientemente politically correct da non offendere nessuno, neanche in retrospettiva. Di questi tempi, sembra un’impresa impossibile (ci sono voci del no di Oprah Winfrey, Jerry Seinfeld e Justin Timberlake). Fare il presentatore di un evento di massa come gli Oscar - o come Sanremo: vedi alla voce polemiche su Baglioni e i suoi commenti pro immigrati - è diventato una distesa di uova su cui nessuno sente di poter camminare, ancora di più se il suo mestiere è far ridere. «I comici sono per le pari opportunità: ebrei, neri, omosessuali, eterosessuali. Tutti sono materiale per una battuta. La correttezza politica non è divertente», ha dichiarato a «Variety» un agente che li rappresenta ma che è voluto rimanere anonimo. «Sconsiglio ai miei clienti di accettare l’offerta», ha dichiarato un altro, sempre anonimo. E il fatto che nessuno ci metta la faccia nel dire un’ovvietà - per far ridere a volte occorre essere minimamente scorretti - la dice lunga sui tempi in cui viviamo, ipersensibili per reazione, tossici per eccessiva divisione politica, emotivamente instabili per tutto il resto. «La comicità è spacciata?» si è chiesta ieri «The Guardian». Louis CK è caduto in disgrazia a colpi di #metoo ed è tornato peggio di prima, facendo battute sui ragazzini sopravvissuti alla sparatoria di Parkland, Kevin Hart si è dileguato, Hasan Minhaj si è visto ritirare lo speciale che aveva su Netflix per le critiche mosse verso il regime saudita. Una ridefinizione dei confini e degli scopi del far ridere è già in atto, ma il presente è quello che è: noioso e soporifero come gli ultimi Golden Globes presentati da Sandra Oh e Andy Samberg. L’anno scorso, una battuta considerata sessista della comica Michelle Wolf su Sarah Sanders, portavoce della Casa Bianca, scatenò il putiferio all’annuale cena di gala dell’associazione dei corrispondenti. Quest’anno l’associazione ha deciso di rinunciare alla presenza del comico, invitando al suo posto uno storico. Immaginate il divertimento.