La Stampa, 20 gennaio 2019
Opzione doppia per Putin
Le esitazioni sui visti ai cinesi in Siberia e le aperture all’Europa per salvare il trattato Inf sul disarmo suggeriscono che al Cremlino qualcosa si muove. Nella nuova dinamica delle relazioni internazionali i protagonisti sono tre - Stati Uniti, Russia e Cina - e le mosse del presidente Vladimir Putin suggeriscono la volontà di ritagliarsi un ruolo capace di andare oltre l’apparente, marcata, convergenza con Pechino per sfidare Washington ovunque possibile.
Non c’è dubbio che gli ultimi diciotto mesi hanno segnato un’intensificazione dei rapporti fra Putin e Xi, dalle imponenti manovre militari congiunte nel Pacifico all’intensificazione degli scambi commerciali, portando il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ad affermare pochi giorni fa che «le relazioni sino-russe sono un modello di cooperazione internazionale e non hanno limiti di amicizia».
Ma c’è dell’altro: la resistenza di Mosca a liberalizzare l’entrata di cinesi in Siberia, e soprattutto nel porto di Vladivostok, evidenzia il timore di subire l’impatto economico della crescita dell’incontenibile vicino lungo la frontiera del conflitto del 1969, così come i segnali a Bruxelles a favore del salvataggio del patto contro i missili nucleari in Europa siglato fra Ronald Reagan e Michail Gorbaciov, lascia intendere la volontà di frenare il domino di tensioni con l’Occidente per scongiurare una corsa al riarmo nucleare.
È come se il Cremlino volesse tenersi strette due opzioni alternative, con Cina e Occidente. Sono segnali che coincidono temporalmente con quelli arrivati da Washington, dove il consigliere per la sicurezza nazionale John Bolton si è detto a favore di «colloqui strategici» con Mosca sulla «minaccia cinese» e Victor Davis Hanson, uno dei maggiori analisti militari nel fronte conservatore, ha suggerito alla Casa Bianca di «adoperare i rapporti con la Russia per evitare che nel 2025 la Cina domini il Pacifico ed a metà secolo il mondo intero». D’altra parte la decisione della Casa Bianca di ritirare le truppe dalla Siria sottolinea la comunanza di interessi con Mosca in Medio Oriente, dove la collaborazione contro il terrorismo islamico resta un punto di incontro fra Trump e Putin. Ma al di là dei singoli tasselli del mosaico, è la dinamica della «triangolazione» - come l’ha definita Henry Kissinger - che porta Russia e Occidente ad una potenziale convergenza per arginare la Cina. Per due motivi. Primo: la capacità di Xi di sfidare l’America sul fronte della tecnologia obbliga Washington a disegnare nuove alleanze per contenere Pechino. Secondo: il mega-progetto infrastrutturale di Xi «One Belt, One Road» punta a integrare l’Europa alla Cina relegando la Russia nel ruolo di piattaforma logistica asiatica per realizzare i propri interessi economici nel XXI secolo. Nulla da sorprendersi dunque se in un recente rapporto del «Council on Foreign Relations» di New York si legge: «I progetti di forte sviluppo cinese in Estremo Oriente, Asia Centrale e nell’Artico minacciano la sovranità nazionale russa» trasformando Mosca e Pechino da «alleati in possibili rivali». Ciò non toglie che su singoli dossier - dall’Ucraina all’Iran al cyber - gli interessi russi ed americani restino divergenti. Ma tali conflitti tattici non devono far perdere di vista l’opportunità di una convergenza strategica più vasta fra le potenze dell’Emisfero Settentrionale, accomunate da matrici storiche e culturali comuni. Saranno i prossimi mesi a dire quanto tali segnali fra Mosca e Washington possano aver un seguito concreto, certamente per Paesi come l’Italia - da sempre di frontiera fra Est ed Ovest - si tratta di uno scenario che tende a coincidere con l’interesse nazionale.