Robinson, 20 gennaio 2019
Paolo Di Paolo ricorda il set di Pasolini a Matera
Nel luglio del 1959 Paolo Di Paolo, classe 1925, allora giovane fotografo de Il Mondo e di tante altre testate, aveva accompagnato con la sua macchina Pasolini per un reportage lungo i litorali italiani. Non era stata facile la compagnia dello scrittore: in auto lunghissimi silenzi. Poi, dopo un paio di mete, ciascuno aveva proseguito per conto suo. Di Paolo preoccupato aveva mandato a Successo di Arturo Tofanelli le prime immagini, ma il direttore lo aveva rassicurato: “Ho già letto il testo di Pasolini, bellissimo; lui insegue i suoi fantasmi del passato, tu fotografi l’Italia di oggi”. Si erano poi rivisti per altri servizi a Roma, a Monte dei Cocci, e davanti alla tomba di Gramsci nel 1960; nel 1962 con Anna Magnani, di cui Di Paolo era amico. Tuttavia la deferenza per lo scrittore gli era rimasta. Oggi Paolo Di Paolo è finalmente uscito dal cono d’ombra grazie a un libro che raccoglie le sue bellissime fotografie, Mondo perduto. Fotografie 1954- 1968 (Marsilio Editore), curato da Giovanna Calvenzi, cui seguirà una mostra in marzo presso il museo Maxxi di Roma. Contiene, tra le altre cose di quell’Italia del passato, immagini del Vangelo secondo Matteo.
«Pasolini mi ha telefonato», racconta il fotografo, «per dirmi se volevo andare sul set del suo film. Ci sono andato subito, mi interessava molto ritrarlo. Conoscevo Matera. A metà degli anni Cinquanta, tra il 1955 e il 1956, c’ero stato. Avevo scattato fotografie delle chiese rupestri, che si andavano scoprendo lì intorno». Dov’era il set? «Quel giorno da Matera s’era spostato sul confine tra Basilicata e Puglia, in un castello normanno, credo a Gioia del Colle. Stava girando delle scene della danza dei veli, quella di Salomè. C’erano le comparse, molte comparse in costume, e poi le attrici che recitavano nel ballo. La cosa che mi aveva colpito era l’atteggiamento che la troupe manteneva con lui. Sono stato su tanti set, e sempre dominava uno spirito caciarone, rumoroso: battute e lazzi. Lì invece c’era come una compostezza da parte di tutti. Le comparse erano rispettose, educate. Pasolini, come si sa, non aveva una gran voce; la sua era una vocina, flebile, perciò usava il megafono, ma anche in quel modo lo si sentiva poco quando dava gli ordini di regia. Come regista risultava perciò ben poco oppressivo. Dirigeva con garbo, e tutti lo stavano ad ascoltare».Su quel set, a Matera e altrove, il regista aveva portato i suoi amici, e la madre Susanna: Mario Socrate, Marcello Morante, Elsa Morante, che figura nei titoli come assistente alla regia, Francesco Leonetti, Rodolfo J. Wilcock, Natalia Ginzburg, Alfonso Gatto, Giorgio Agamben, poi attori presi dalla vita, come usava fare. Lì compare per la prima volta Ninetto Davoli, che interpreta un pastore. Riguardo la madre, Di Paolo racconta di quando l’aveva ritratta con il figlio nella loro casa romana di Monteverde: «Un bell’appartamento al piano terra, e con il giardino. La madre era una persona speciale cui Pasolini era molto legato. Si capiva subito che tra loro c’era un’intesa, una intimità; era un idillio. Lei lo osservava compiaciuta».
Di Paolo ha diverse foto di loro due insieme. In uno scatto si vede Susanna dietro di lui; osserva Pier Paolo seduto al tavolo mentre legge; entrambi chinano la testa. Prima di arrivare ai Sassi di Matera, in cui girerà nel 1964 le scene del suo Vangelo rimaste celebri, il regista aveva fatto un sopralluogo in Palestina, ma aveva presto rinunciato: la modernità aveva alterato i luoghi descritti dai Vangeli; solo case, condomini, kibbutz, niente del passato anche qui. Per questo aveva scelto la Basilicata, la Puglia e anche la Calabria, allora territori non raggiunti dall’incipiente boom economico, rimasti per molti aspetti remoti e arcaici, un mondo primitivo e insieme medievale, perfetto per le riprese. «Per me», continua Di Paolo, «è stata una sorpresa vedere come Pasolini istruiva gli attori, recitando lui stesso le scene che avrebbero poi ripreso. Le mimava e accompagnava i gesti con precise istruzioni».
Le chiese di fotografare qualcosa di particolare? «Mi disse se avevo già in mente cosa fare. Ho fotografato quello che vedevo. Le riprese e il set durante le pause. C’è un’immagine in cui la giovane attrice fa le mosse con i veli, e lui è seduto su un gradino della scala del castello. Poi una scena in cui due donne si baciano. Il regista aveva mostrato loro esattamente come fare». In un altro scatto stanno tutti intorno a Pasolini e lo ascoltano con riverenza. «Quel giorno Pasolini era in giacca e cravatta sul set, ogni tanto se la toglieva e la metteva sulle spalle. L’ho ritratto così. La gente provava molto rispetto per lui, lo si capiva. Anche io, per quanto oramai abituato alla sua presenza, sentivo la medesima cosa. Finite le riprese si andò a mangiare tutti insieme, seduti in una lunga tavolata, come si usava fare al cinema. Al tavolo era calato un silenzio di considerazione. Una cosa che non finiva di colpirmi». Tra le immagini del set ce n’è una in cui si vede un’attrice della danza di schiena. Pasolini la sta esaminando a braccia conserte: sorride soddisfatto.