la Repubblica, 20 gennaio 2019
Fascetti e l’elogio del libero
Fa bene l’Inter a muoversi sul fronte del tifo razzista, insopportabilmente tracimato. In tutta sincerità, poteva muoversi un po’ prima. Anche perché, ha scritto ieri Andrea Sorrentino, il suo pubblico non è particolarmente attivo nel dare sulla voce ai coristi della vergogna. La campagna varata si chiama Buu, esattamente come gli ululati contro Koulibaly. Buu è un acronimo di Brothers universally united, Fratelli universalmente uniti.
"Scrivetelo ma non ditelo": questa frase completa il messaggio voluto dal presidente Steven Zhang. Sì, non ditelo ma soprattutto non gridatelo per evitare equivoci. Il buu buono e il buu cattivo sempre buu sono, ma sarebbe tristissimo vedere spacciato un buu per l’altro. Ossia, cori contro il Koulibaly di turno e, a domanda, rispondere che l’intenzione era quella di abbracciare i Fratelli universalmente uniti. Dentro gli stadi succedono cose che superano ogni fantasia.
Parliamo di tifo antisemita. A Tel Aviv i tifosi avversari augurano una Shoah al Maccabi. Era il derby di Tel Aviv, tra due squadre israeliane. Primo in classifica il Maccabi, dodicesimo l’Hapoel. Per questo coro e per il lancio di oggetti in campo l’Hapoel è stato multato di 25mila shekel (circa 6 mila euro). Poca cosa. Il giudice sportivo ha invitato i suoi tifosi a visitare il memoriale dell’Olocausto a Gerusalemme. A dimostrazione che arrampicarsi sui vetri non è una specialità solo italiana, ecco le dichiarazioni di Erez Naaman, portavoce dell’Hapoel: «Quanto accaduto è stato un incidente isolato, i nostri tifosi non hanno citato l’Olocausto come attacco al popolo ebraico, ma come espressione di odio profondo». E profondissima idiozia, punita con un buffetto.
Se l’arrampicata sui vetri è in calo da noi, tiene bene l’altrovismo. Una volta identificato un problema, lo si sposta altrove. Piccolo esempio su Repubblica di ieri, pagine milanesi. Secondo l’assessore regionale Stefano Bolognini, leghista, «su Inter-Napoli c’è stato un ingigantimento mediatico che ha creato molta tensione. In tutti gli stadi ogni domenica si assiste a cori che vanno oltre il concetto di educazione». Non è di questi che stiamo discutendo. «Quando diventano violenti o addirittura antisemiti vanno condannati e censurati. Anzi, sarebbe bello che il pubblico, che spesso rimane in silenzio, iniziasse a fischiare». Giusto, concordo. «Io però sono bergamasco e contro l’Atalanta di cori ne ho sentiti tanti. Anche peggiori di quelli che ho sentito a San Siro». Io no, ma è vero che non seguo l’Atalanta con la stessa assiduità dell’assessore Bolognini. Non vedo che tipo di cori si possa fare contro l’Atalanta, che non ha una tifoseria organizzata tra le più miti d’Europa, ma è tra tutte le squadre di A la più luminosa dispensatrice di bellezza agonistica. Con qualche traccia di gioco a uomo (non è una critica). Sto leggendo “Elogio del libero” di Eugenio Fascetti (ed. Gazzetta dello sport), un elogio che l’inventore del “casino organizzato” sente eretico come quello di Erasmo. Fascetti, polemista acuto all’occasione, prima che il ruolo calcistico ama la parola: essere libero, sentirsi libero. Ma poi, a suon di schemi, ricorda che dal 1990 a oggi tutte le nazionali che hanno vinto il mondiale schieravano un libero nella zona, uno dei due difensori centrali oppure un centrocampista portato alla copertura. Basta non chiamarlo libero, parola senza più cittadinanza pallonara, come catenaccio e contropiede.
Fascetti dice di essersi regolato così anche nella vita: «Il libero in famiglia è mia moglie Mirella». Sono sposati da 57 anni. Ma come esempio di libero che fa vincere voglio aggiungere il pesante Traianos Dellas, libero vecchia maniera cioè schierato alle spalle di tutti. La Grecia vinse l’ europeo in Portogallo, battendo i padroni di casa nella partita d’apertura e nella finale.Non auspico, sia chiaro, un funerale alla zona e un rilancio del libero. Ogni tecnico segua la strada che preferisce. Penso però che alcune cose possano tornare, come i pantaloni a zampa d’elefante, le lavagnette adesive, le Olivetti 32, le rane e le lucciole, forse. Il calcio è anche moda, inutile negarlo, e la moda registra movimenti ciclici, o contromovimenti repentini. Una delle convinzioni più radicate, nel nostro calcio, è che non si può affrontarlo così alla cieca, ma bisogna prima conoscerlo un po’, fare pratica, perché è un calcio difficile, molto tattico. Contrordine: Paquetá sbarca dal Brasile ed esordisce nel Milan pochi giorni dopo, idem Kucka nel Parma, partendo dalla Turchia ma il nostro calcio già lo aveva assaggiato. Se la faccenda si sbroglia, Higuain farà la stessa cosa a Londra. L’importante non è più finire, ma incominciare. Quanto al Milan, non sono affari miei ma dopo Bonucci e Higuain sarebbe giusto chiedersi chi fa un affare e chi no negli scambi di mercato con la Juve.