la Repubblica, 20 gennaio 2019
Riparte la grande corsa ai bond
Ci sono almeno due certezze per il 2019 che riguardano il mercato dei bond delle società italiane quotate e non. La prima è che ci sarà una corsa ai nuovi collocamenti, non fosse altro perché nell’anno che si è appena aperto vanno in scadenza oltre 20 miliardi di emissioni che dovranno qualche modo essere rifinanziate. L’altra è che l’esito dei collocamenti non sarà uguale per tutti, a causa dell’incertezza che regna sovrana nelle Borse, dove la parola volatilità è la più gettonata nei report degli analisti. Oltre ai possibili contraccolpi che potrebbero arrivare dalla fine del programma di riacquisto di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (il cosiddetto Quantitative easing). Cosa significa nel concreto?
Archiviata la stagione dei tassi a zero, per i corporate bond si inaugura un periodo in cui si andrà sul mercato a vista. Non per nulla, tutti gli operatori si aspettano un rialzo generalizzato del costo del denaro, sulla scia di quanto già avvenuto negli Stati Uniti. Questo perché le spinte inflazionistiche porteranno le banche centrali a intervenire non appena se ne porrà l’evidenza.Tutto questo ribaltato sul mercato dei corporate bond significa che da un lato rifinanziarsi sul mercato costerà di più e dall’altro che gli investitori valuteranno con più attenzione ogni singola emissione, prendendo in esame ogni singola storia societaria sia dal punto di vista finanziario sia delle prospettive industriali.
Ne sono un esempio quanto accaduto di recente sul mercato italiano e che ha visto protagoniste quattro tra le principali società quotate a Piazza Affari, quando nel giro di pochi giorni altrettanti collocamenti hanno visto esiti completamente diversi.Ha iniziato il gruppo Unicredit che subito dopo la Befana ha emesso un bond per un importo pari a 2,5 miliardi di dollari a tasso fisso e un bond per un importo pari a 0,5 miliardi a tasso variabile. Sicuramente un successo la richiesta da parte del mercato per complessivi 8 miliardi, ma frutto anche del fatto che per l’emissione a tasso fisso gli investitori potranno incassare una cedola che paga il 6,572%; mentre per i bond a tasso variabile, una cedola legata all’US Libor a 3 mesi più 390 punti base. Un risultato che è sicuramente figlio di quanto sta accadendo al sistema bancario italiano e che viene pagato anche da chi è più solido. Le vicende societarie hanno un loro peso anche nell’emissione appena lanciata da Telecom Italia. Per quanto inferiore all’indicazione iniziale che prevedeva una forchetta compresa tra 4,375-4,5%, l’ex monopolista delle tlc ha comunque garantito agli investitori un tasso finale de 4,125% per il collocamento del bond senior da 1,25 miliardi. Un risultato ottenuto anche grazie al fatto che la richiesta del mercato è arrivata a coprire fino a 4,5 miliardi.
Ma non è detto che tutte le società debbano offrire tassi di questo tipo per coprire più volte il book. Non è andata così al gruppo Enel, per esempio. L’obbligazione a tasso fisso da 1 miliardo lanciata lunedì scorso ha avuto richieste per 4,2 miliardi “nonostante” venga offerto un rendimento pari all’1 per cento. E lo stesso è avvenuto per il bond da 250 miliardi di Terna.
Ma qui siamo di fronte a un ulteriore fenomeno che sta prendendo sempre più piede nel mercato obbligazionario. Sia Enel che Terna hanno emesso green bond: in pratica, i soldi raccolti verranno destinati a progetti dedicati all’efficienza energetica o alla riduzione delle emissioni di CO2. Ne sentiremo parlare sempre di più, visto che cresce la richiesta di green bond da parte dei fondi etici. Secondo una previsione di Standard&Poor’s, il mercato dei green bond avrebbe dovuto raggiungere nel 2018 i 200 miliardi con una crescita del 30 per cento rispetto all’anno precedente. Ma gli esperti, in attesa del bilancio definitivo, prevedono che il risultato possa anche essere superiore.