Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2019
Il vero peso di euro e dollaro
L’uso del dollaro come valuta di riserva privilegiata negli scambi internazionali è una caratteristica dell’economia globale dal secondo dopoguerra. Altre valute-chiave hanno avuto un’influenza ha superato i confini delle aree geografiche in cui avevano valore legale: lo yen, la sterlina, il marco tedesco e, negli ultimi 20 anni, l’euro.
Un recente studio della Bank for International Settlements quantifica l’estensione segue l’evoluzione nel tempo delle aree di influenza di queste valute. Il criterio utilizzato è dato dalla capacità di una valuta-chiave – ad esempio del dollaro – di determinare i movimenti del cambio di altre divise negoziate sui mercati Forex (Foreign Exchange).
In altri termini, più queste sono influenzate dal dollaro, più i movimenti dei rispettivi tassi di cambio saranno coordinati.
Un’area valutaria “estesa” comprende dunque economie con valute relativamente stabili tra loro. In tali aree i trasferimenti di capitale transfrontalieri sono soggetti a un rischio valutario inferiore, per via della minore volatilità dei tassi di cambio. Gli
operatori tendono dunque a preferire per le operazioni in valuta estera la divisa dominante della propria area. Ad esempio, in Messico si userà quasi esclusivamente il dollaro, mentre in Bulgaria l’euro.
Il co-movimento dei tassi di cambio può dipendere non solo da scelte di policy come un cambio fisso, ma anche da una politica monetaria che prenda come riferimento tassi di interesse decisi da banche centrali estere. Infine hanno un peso i legami commerciali tra i Paesi. Ad esempio, il peso messicano o lo szloty polacco tendono a seguire rispettivamente il dollaro e l’euro, poiché Stati Uniti ed Unione europea sono i principali partner commerciali. Questo ultimo fattore è fondamentale per le cosiddette commodities currencies, cioè le valute di Paesi esportatori che sono governate dall’andamento dei prezzi delle materie prime.
Non sorprendentemente, gli autori “scoprono” che il 60% del Pil mondiale è prodotto in economie che orbitano nell’area del dollaro. Tuttavia l’intensità della “dollarizzazione” si è ridotta nel tempo, per via dell’ascesa di un nuovo competitor, l’euro, come si evince dalla figura.
La zona estesa dell’euro si è espansa ad est negli anni 2000 grazie alla progressiva integrazione di queste economie con quella dell’Eurozona. Il rublo russo secondo gli autori potrebbe essere sullo stesso percorso.
Dollaro ed euro si sono spartite le vestigia di quella che era fino agli anni ’70 l’area estesa della sterlina, rappresentata dalle economie del Commonwealth. Dopo la crisi valutaria del 1976 la valuta britannica viene attratta nella zona di influenza del marco tedesco mentre i Paesi del Commonwealth subiscono una rapida dollarizzazione.
Un caso a parte appare il Giappone: l’area dello yen è rimasta stabile, ma non ha mai guadagnato terreno oltre il territorio nazionale. La ricaduta occasionale di commodity currencies all’interno di quest’area (Cile nel 1968, Brasile nel 2017) può essere un artefatto statistico, oppure approssimare l’influenza dello yuan cinese nella determinazione dei prezzi dell’export dei Paesi sud-americani.
Lo yuan ha guadagnato un più ampio ruolo internazionale dal 2015 dopo l’abbandono del cambio fisso con il dollaro e l’ammissione nel paniere delle valute di riserva del Fondo Monetario Internazionale. Quel che sembra trasparire dagli scarsi dati è che lo yuan stia acquisendo influenza a discapito del dollaro nell’intermediare i rapporti commerciali con i Paesi vicini.
Anche dal lato valutario dunque l’economia globale appare orientata verso un assetto sempre più multipolare.