La Stampa, 19 gennaio 2019
Storia di Alessia che a 17 anni vuole diventare Alessio
Alessio è prima di tutto uno che non si scompone: «All’inizio della seconda liceo si presenta una prof nuova, apre il registro e fa l’appello. Dopo il mio cognome scandisce “Alessia”. Io alzo la mano, dico “sono io” e lei non è convinta: “No no scusa ho chiamato Alessia, tu chi sei?”. Ho iniziato a spiegare e i miei compagni accanto tranquilli, nessuno che abbia ironizzato, anzi: loro sapevano già tutto».
“Mamma mi sento un uomo”
Denise è la madre seduta accanto che lo bacia insieme al fratello più piccolo: «Io avevo intuito da quand’era bambino, ma il giorno in cui ha avuto le mestruazioni ha cambiato espressione, ho sentito come se mio figlio fosse morto dentro e nelle settimane e nei mesi seguenti non mi raccontava mai quando aveva il ciclo,era evidente che fosse un aspetto della sua vita da rimuovere: lo osservavo, quei felponi a coprire il seno precoce e abbondante, pensavo fosse gay, volevo solo confrontarmi con lui. Una sera si è avvicinato: “Ale vuoi che andiamo da uno psicologo? Noi ti saremo vicini sempre”. Ha avuto la certezza del sostegno familiare e ha sospirato: “Mamma vedi, è che io mi sento proprio un uomo, non una ragazza, è questo che devo dirti”. Ci siamo abbracciati, abbiamo semplicemente cominciato da lì».
I controllori sul bus
Non c’è nulla di enfatico e stucchevole, nel racconto di Alessio che prima d’essere operato e vincere in tribunale doveva fare i conti con la quarta di reggiseno. E lo descrive con un mezzo sorriso: «I miei amici, i compagni di classe, il parroco dell’associazione cattolica mi hanno sostenuto. Tutti quelli che fanno parte della mia quotidianità, parenti e vicini di casa. Le cose cambiano quando di mezzo finiscono un computer e una tastiera: se descrivo sui social o su FanPage la mia esperienza, allora sotto compaiono frasi violente, transfobiche, prese in giro. E vabbè...».
Fuori dalle perizie e dalle sentenze, che incorniciano una svolta irreversibile, gli ultimi tre-quattro anni di Alessio e Denise sono un caravanserraglio di piccoli episodi semplicemente eloquenti. «Vai sul bus - e qui parla lui - il controllore ti chiede l’abbonamento su cui c’è scritto Alessia, ma vedono lo sguardo d’un ragazzo e fanno una faccia strana». Inclina un pelo la testa e allarga le braccia: «Eh, ero proprio io, avevo già un po’ di barba ma non è che fossero convinti. E ogni volta la stessa storia».
Sul registro era già Ale
Denise oggi ha ancora meno dubbi di allora. «Sono stata sempre convinta che il cambio di sesso fosse un percorso giusto, gli psichiatri ci hanno confortato focalizzando prima di tutto l’aspetto temporale. Senza fretta, è chiaro, ma nella consapevolezza che un periodo cruciale come l’adolescenza andasse vissuto con una sessualità davvero rispettosa di se stessi. Ecco perché la mastectomia in Spagna quando aveva 15 anni: in Italia sarebbe stato impossibile, i nostri medici dicevano che avevamo ragione noi... E da quell’istante Alessio è andato di nuovo al mare tranquillo, non aveva più l’ansia di nascondere il seno».
E però la spinta vera è arrivata dalla serenità di chi li circondava e li circonda. «Mia madre cioè sua nonna, cui avevo sentito dire certe cose tremende sull’intimità altrui, quando ha saputo del nostro percorso non ha fatto una piega: “Il mio Ale!” e se l’è abbracciato».
A scuola, per come la tratteggia, è stata persino più semplice: «Si è messo al centro della classe, ha annunciato ai compagni che doveva dir loro una cosa importante, ovvero che stava seguendo una strada sia medica sia giuridica per diventare a tutti gli effetti un uomo: qualcuno si è messo a piangere, un po’ commosso, qualcun altro lo ha abbracciato ma in un attimo erano di nuovo i suoi amici e stop. Il preside ha accettato subito di modificare il registro: hanno scritto “Ale” accanto al cognome, non potevano correggerlo per intero poiché non c’era il verdetto d’un tribunale e non siamo all’università, dov’è contemplato appunto il doppio registro».
All’associazione cattolica
Alessio ora aggiunge un paio di dettagli: «Ho chiesto se ci fosse qualche problema a lasciarmi andare nel bagno maschile, i prof hanno risposto: “Vai dove vuoi”. In gita ho sempre dormito nelle stanze dei ragazzi, ma per loro era normale, nulla di che. Al massimo, proprio al massimo, un paio di stupidi all’inizio della transizione che mi hanno buttato lì “sembri una lesbica”. Ma la vera violenza verbale soltanto dai computer». Alessio ama la musica e tra i suoi principali sostenitori c’è il prof di tromba. Ma nel novero dei più comprensivi c’è spazio pure per un prete, don Paolo, al tempo in cui frequentava l’azione cattolica: «Gli ho chiesto se voleva che avvertissi le famiglie - ricorda Denise - ha risposto che non ci sarebbero stati problemi per lui e per loro. Aveva ragione».