La Stampa, 19 gennaio 2019
Per il tribunale di Genova un minorenne può operarsi per diventare maschio
Sarà Alessio e non più Alessia per l’anagrafe, cambiando sesso da femmina a maschio anche se minorenne. Soprattutto: può sottoporsi subito, sebbene non abbia raggiunto i diciott’anni, a un irreversibile e invasivo intervento chirurgico, che lo Stato sosterrà economicamente «per assicurargli il benessere psicofisico».
Lo ha stabilito il tribunale di Genova, pronunciandosi sul ricorso inoltrato dai genitori d’una quindicenne (nel frattempo ha compiuto diciassette anni) caratterizzata dalla «disforia di genere»: un transgender, da non confondere ovviamente con chi è omosessuale.
La scelta consapevole
La sentenza è stata depositata giovedì e ha un valore notevole per diversi motivi. Sebbene non esista un’anagrafe dei pronunciamenti in materia, la giurisprudenza fino a pochi anni fa era stata contraria, mentre ora non solo si consolida quella di segno opposto, ma si accentua e accelera. I tre casi «definiti» e «favorevoli» di norma citati dai giuristi (tribunali di Tempio Pausania, Roma e Frosinone) riguardano infatti il cambio di sesso da maschile a femminile, una situazione quindi opposta, ferma restando la delicatezza d’ogni singola vicenda. Non c’erano state, nel percorso degli altri minorenni, operazioni profonde come quelle affrontate da Alessio e legittimate dagli psichiatri che hanno poi orientato il verdetto. E oggi per via giudiziaria viene contemplata la sostanziale urgenza di azioni non reversibili come l’isterectomia (asportazione dell’utero), alle quali sottoporsi non ancora maggiorenni. I tempi stretti sono fondamentali, e in questo i magistrati condividono le istanze della famiglia. Perciò è autorizzata con il timbro dello Stato una trasformazione tanto netta, nel pieno della pubertà e dalla quale è impossibile tornare indietro.
Può, una persona così giovane, essere in toto consapevole di ciò che vuole, ancorché ascoltata e sostenuta da genitori amorevoli e comprensivi? È la domanda delle domande cui tentano di rispondere i giudici Francesco Mazza Galanti e Marina Pugliese. La premessa: «La richiesta è stata presentata dalla madre e dal padre (con la consulenza d’un legale, Andrea Martini, ndr) tenendo imprescindibilmente conto della volontà della figlia». Poi un passaggio che certifica il rispetto delle leggi italiane, della Costituzione e della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sul «consenso informato». Ma il cuore del pronunciamento ripercorre il lavoro dello psichiatra e dell’endocrinologo che seguono Ale dai 14 anni in avanti, Pietro Ciliberti e Diego Ferone: «Presenta una disforia di genere, non secondaria a condizioni di disturbo psicopatologico. L’identificazione con il sesso maschile è evidente e non appare legata a qualche presunto vantaggio culturale derivante dall’eventuale riattribuzione... non sono emersi aspetti psicopatologici significativi o tali da controindicare l’inizio del trattamento ormonale (una somministrazione persistente di testosterone, con metamorfosi del corpo molto più evidente di ciò che accade nel passaggio da maschio a femmina, ndr). Durante gli incontri ha dimostrato coerenza alla decisione, evidenziando consapevolezza sulle conseguenze legali, ma soprattutto affettive e relazionali». Il 12 gennaio 2017, aveva 15 anni, all’Hospital General de Catalunya di Barcellona era avvenuto il primo intervento, la rimozione dei seni. Alessio era già seguito da una struttura pubblica italiana, l’ospedale San Martino di Genova, i cui medici hanno dato via libera; ma hanno operato chirurghi di un altro Paese perché in Italia sarebbe stato fuorilegge, non essendovi allora la sentenza favorevole.
Il sostegno dei genitori
«L’adeguamento dei caratteri sessuali con trattamento medico-chirurgico demolitorio - è quindi ribadito dai giudici in uno dei paragrafi più rilevanti - ha lo scopo di assicurare il benessere psicofisico... Il sesso è un dato complesso della personalità, determinato da un insieme di fattori, dei quali dev’essere agevolato o ricercato l’equilibrio».
«Equilibrio» è una delle parole più ricorrenti e il tribunale definisce i documenti clinici «precisi, dettagliati, approfonditi delle problematiche psico-sessuali che hanno accompagnato la persona sin dall’infanzia, provenienti da figure con provata competenza... Emerge in modo inequivocabile la non corrispondenza “fisica” della minore, che da tempo nell’ambiente familiare e scolastico è chiamata Alessio, con quella psico-sessuale». E oltre a correggere i dati anagrafici, i genitori «sono autorizzati a far effettuare alla figlia minorenne ogni ulteriore trattamento medico-chirurgico ritenuto necessario all’adeguamento dei suoi caratteri e organi sessuali, primari e secondari, da femminili a maschili». Con un obiettivo: «Il rispetto del benessere psicofisico».