Il Messaggero, 19 gennaio 2019
Pablo Iglesias in paternità, intervista alla compagna
Irene Montero, 30 anni, è la portavoce del gruppo di Unidos-Podemos nel Congresso spagnolo. Madre di due gemelli, nati nel luglio scorso, è da pochi giorni tornata alla vita politica lasciando la cura dei figli al padre, il suo compagno Pablo Iglesias, segretario generale di Podemos, in congedo di paternità fino ad aprile. Le chiediamo della sua nuova vita familiare e delle sfide che l’attendono nella politica spagnola.
Come stanno i suoi figli?
«Stanno bene, con il loro padre in questi mesi, perché ci siamo divisi i congedi parentali in parti uguali e ora io sto al lavoro».
È raro avvicendarsi nella cura dei figli, specie alla guida di un partito.
«Da sempre la cura è a carico delle donne in opposizione alla loro carriera. Ciò ha a che vedere con una disuguaglianza strutturale di genere ove le donne sono perdenti. Una delle misure più importanti per avanzare nell’eguaglianza è che i permessi per maternità e paternità siano uguali, intrasferibili e remunerati al 100%, consentendo a uomini e donne di accudire i figli nella stessa misura. Se proponiamo una legge di questo tipo, dobbiamo dare l’esempio. È abbastanza inedito per il segretario di un partito, Pablo Iglesias è ancora il segretario di Podemos e questo è molto importante: quando una persona è in congedo parentale non bisogna sostituirla, ma riconoscere che essere in congedo parentale è compatibile col mantenere il proprio spazio sul lavoro».
Come l’avete deciso?
«Ne parlammo e fin dal principio ci fu chiaro che dovevamo ripartire la cura a metà: entrambi abbiamo molta voglia di accudire i nostri figli e di rendere questa cura compatibile con i nostri lavori che sono di grande responsabilità. Anche nel caso di responsabilità pubbliche rilevanti, la vita si può conciliare con il lavoro, perché la vita dev’essere al centro di tutte le decisioni che prendono i politici».
Lei è tornata alla politica attiva con un’assemblea di donne.
«Davanti all’incertezza e alla paura generata dalla crisi economica, si sta sviluppando un riflesso d’odio un po’ dappertutto. In Spagna c’è una reazione democratica per dire che dalla crisi si può uscire con più diritti, segnalando che i colpevoli non sono i migranti, ma quei potenti che portano il loro denaro in paradisi fiscali e le grandi multinazionali che sfruttano i paesi più poveri. E salvaguardando sempre il bene comune, altrimenti non c’è via d’uscita per la gente normale. In Spagna, l’uscita dalla crisi è, per il momento, democratica, ma contro questa si è sollevata un’opposizione reazionaria. Credo che le donne siano la punta di lancia di questo processo democratico di cui ha bisogno il mio paese e che può essere un esempio per l’Europa».
È appena nato un governo in Andalucia col sostegno dell’estrema destra.
«È un governo di estrema destra più che esserne appoggiato, perché grazie a Vox, il PP e Ciudadanos si stanno spostando verso l’estrema destra. La sua priorità è l’odio verso il diverso, il migrante, le donne, le famiglie arcobaleno».
Come farete a convincere gli indipendentisti catalani a votare la finanziaria?
«La finanziaria è il risutato del lavoro di Unidos-Podemos, il governo per esempio non voleva una crescita del Salario minimo interprofessionale fino a 900 euro. Stiamo lavorando, forse più dello stesso governo, affinché questa finanziaria sia approvata, perché è buona, indipendentemente dal fatto che abbiamo un’altra sfida molto importante che è la crisi territoriale. A partire da qui, sosteniamo qualunque proposta per affrontare la crisi catalana che vada nella direzione del dialogo».
I leader indipendentisti sono imputati di ribellione, che ne pensa?
«Abbiamo sempre detto che i leader indipendentisti non dovrebbero stare in carcere e vediamo con vergogna come in tutta Europa le accuse che vengono loro imputate generino dubbi, quando non la loro negazione. La soluzione alla crisi territoriale catalana dev’essere politica».
Nelle elezioni andaluse non siete andati bene, ora avete una crisi in corso su come concorrere nella Comunità di Madrid: il marchio Podemos non è più attraente?
«Ciò che è Podemos e la sua utilità lo deciderà la gente votando. In Andalucia abbiamo fatto autocritica. Penso che il principale elemento d’analizzare sia la smobilitazione dell’elettorato democratico di questo paese: c’è molta gente che crede nella necessità di avanzare nei diritti e nelle libertà ma non nella necessità di andare a votare e dobbiamo lottare con più decisione contro questa spoliticizzazione».
Come si fa a sostenere il progetto europeo e al contempo reclamare un’altra politica?
«Noi difendiamo l’Europa che dà senso all’attuale Unione europea, quell’Europa antifascista, democratica, che si unisce per garantire i diritti dei lavoratori, delle donne: questo è lo spirito fondativo dell’Europa, la garanzia dei diritti umani e dei diritti sociali. L’Europa ha reagito alla crisi proteggendo gli interessi delle corporazioni finanziarie e delle multinazionali e questo ha provocato un grave turbamento del progetto europeo. Da cui si esce rafforzandone lo spirito fondativo».
Che pensa dei gilet gialli?
«È un movimento fatto di gente normale organizzata contro la precarietà della propria vita. Macron arrivò alla presidenza francese dicendosi né di sinistra né di destra, ma nel corso del suo mandato ci sono stati tagli nei diritti delle persone e privilegi per i più potenti. Allora la gente normale si è ribellata e la protesta è stata così forte che Macron si è visto obbligato a non rispettare l’obiettivo di deficit per far fronte alle spese sociali».
E del governo italiano?
«Penso che sia un cattivo segnale per la democrazia che ciò che arriva dall’Italia, dalla maggioranza che sta al governo e che dà esecuzione a questi provvedimenti, siano notizie di politiche di odio contro persone che fuggono da guerre e miserie. L’Italia è un esempio di democrazia e di lotta popolare per difendere le libertà dal fascismo. Lo fu già nel passato e credo che debba tornare ad esserlo».