Il Sole 24 Ore, 19 gennaio 2019
Antimafia, nasce la holding dei beni confiscati
Dal settore alimentare al turismo, fino all’edilizia e all’energia: una filiera commerciale legherà tutte le aziende confiscate alle mafie sotto un unico soggetto giuridico. Una sorta di holding che sarà controllata dall’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) ma che sarà gestita con tecniche imprenditoriali all’avanguardia. Un progetto ambizioso pronto a partire, che potrebbe proiettare l’ente a una nuova dimensione.
Il dossier è tra i più rilevanti in ballo all’Agenzia, che tuttavia ancora si trova a dover far fronte a problematiche di tipo tecnico: su un organico di 200 unità ne risultano impiegate solo 92. Una carenza che rappresenta un aspetto di non secondaria importanza per un ente che gestisce un patrimonio pari a 2,3 miliardi di euro e che svolge uno dei compiti più importanti nella lotta alla criminalità organizzata: far fruttare il bene mafioso a vantaggio dello Stato.
A marzo 2017 l’ex presidente della Commissione Antimafia, Rosy Bindi, ha parlato di un valore del patrimonio pari 25 miliardi. Stima che, secondo l’Anbsc, non è realmente indicativa. È probabile, infatti, che in quel computo siano stati inseriti non solo i beni confiscati ma anche quelli sequestrati, i quali non risultano all’Agenzia perché si tratta di mobili, immobili e società soggette a misure cautelari patrimoniali, per questo suscettibili anche di annullamento. Allo stato risultano immobili per un valore complessivo di 1,967 miliardi di euro e società con un valore della produzione pari a 484,35 milioni.
Il nuovo direttore, il prefetto Bruno Frattasi (si veda l’articolo in basso), trova comunque un’Agenzia con una base normativa per avviare una gestione innovativa delle imprese confiscate. Non solo: un piano di restyling è stato già avviato, attraverso gli interventi mirati dell’ex direttore, il prefetto Mario Sodano, e dell’ex vice direttore, il prefetto Francesca Guessarian, fresca di nomina a vice capo dell’ufficio legislativo del ministero dell’Interno. C’è il Codice Antimafia, che ha tracciato la strada verso una gestione unitaria delle imprese in pancia all’Agenzia e c’è il nuovo regolamento dell’ente, in vigore dal 31 ottobre scorso, che ha istituito due direzioni generali: una per i beni immobili l’altra per le società.
In un’intervista al Sole 24 Ore del Lunedì del 29 ottobre scorso, il prefetto Sodano ha detto che «l’Agenzia gestisce oltre 500 imprese realmente attive. Si va dal campo alimentare a quello alberghiero, fino all’eolico. Abbiamo un panorama variegato di realtà industriali che, allo stato, risulta frastagliato e isolato quanto a scelte aziendali». Da qui è nata l’idea di costituire una sorta di holding, con l’obiettivo di far gestire a manager di alto profilo tutte le imprese confiscate alla mafia, creando una rete commerciale con un marchio di legalità.
Cosa succederebbe, dunque, se tutte queste società fossero gestite in modo unitario? Sinergia e massimizzazione di guadagni. Accadrebbe, per esempio, che merci prodotte da un’azienda confiscata a Cosa nostra in Sicilia sarebbero vendute da un supermercato portato via alla ’ndrangheta in Lombardia, o che le farine prodotte da un mulino pugliese un tempo nelle mani della Sacra corona unita sarebbero lavorate da un pastificio confiscato alla criminalità organizzata in Abruzzo. Il tutto con un marchio di legalità collegato non a un’associazione antimafia ma direttamente allo Stato. Stando al progetto ci sarà una società capofila, selezionata tra quelle già in gestione, che sarà amministrata da manager di alto profilo. Un’unica governance e regole aziendali condivise consentiranno uno sviluppo di tutte le varie imprese distribuite sul territorio nazionale. All’Agenzia resterà il compito di vigilare sul lavoro svolto dagli amministratori, impartendo le direttive di carattere generale.
Secondo i conteggi, l’Anbsc ha in gestione 2.771 imprese confiscate, sparse nelle varie regioni italiane. Tra queste, però, ci sono anche società esistenti solo sulla carta, perché utilizzate dalle mafie al solo scopo di compiere delle false fatturazioni, per esempio. Poi invece ci sono quelle realmente produttive. L’Agenzia ne ha contate 513 – quelle che almeno dal 2014 presentano un bilancio – che hanno un valore della produzione, come detto, pari a 484,350 milioni di euro, ma che arriva a quota 1 miliardo 42 milioni 842mila euro se si contano anche le società escluse dal filtro della presentazione del bilancio dal 2014 a oggi. Gli altri indici delle società in pancia all’ente sono rappresentanti dai 296,289 milioni del patrimonio e dai 364,289 milioni dei ricavi da vendite e prestazioni. Numeri che potrebbero essere destinati a salire con una gestione unica delle imprese.