il Giornale, 18 gennaio 2019
Il figlio di Colombo e il sogno della biblioteca perfetta
Il 12 ottobre 1492, approssimativamente a 24 gradi e 6 primi nord e 74 gradi e 29 primi ovest, la storia dell’umanità cambiava per sempre. Cristoforo Colombo era giunto all’isola di San Salvador. Non importa davvero discutere se le rotte navali per le Americhe fossero state percorse in precedenza oppure no (probabilmente sì). Da quel momento quelle rotte sarebbero rimaste sempre aperte, collegando il mondo nuovo a quello vecchio.
E il mondo nuovo costringeva gli abitanti di quello vecchio a ripensare tutto. La catalogazione del sapere ne veniva stravolta: nuovi popoli, nuove lingue, nuove piante, nuove rotte, nuovi equilibri di geopolitica tutti da creare. Di questi equilibri e di questa riorganizzazione del sapere Cristoforo Colombo (1451-1506) introiettò ben poco. Anzi si sentì profondamente «tradito» dalla sua stessa scoperta. Rivolte di indigeni e di coloni, ammutinamenti, i contrasti con i monarchi di Castiglia e di Aragona che pure lo avevano finanziato, il suo ben poco sensato rifiuto di ammettere di non essere mai arrivato al Catai. Senza contare che difronte alla enormità del cambiamento, da lui stesso innescato, Colombo, stremato dai viaggi, si appoggiò a idee millenaristiche e a profezie di fine dei tempi che l’ammiraglio scrisse nel suo Liber prophetiarum.
Eppure mentre Cristoforo Colombo si perdeva nelle rotte del sapere che lui stesso aveva tracciato un altro Colombo, Fernando, suo figlio (seppur illegittimo), di questo enorme cambiamento provava a tenere le fila. Le vicende di Fernando sono narrate da Edward Wilson-Lee, storico della letteratura transitato sia da Oxford sia da Cambridge, in un saggio che si legge quasi come un romanzo ed è intitolato Il catalogo dei libri naufragati (Bollati Boringhieri, pagg. 340, euro 30). Di Fernando Colombo (1488-1539) si è sempre parlato come di un estroso personaggio, un bibliofilo maniacale e un matematico di una certa bravura che si applicò al complesso – per l’epoca – calcolo della longitudine. Wilson-Lee, con un’analisi certosina di quel che resta dei quindicimila libri che componevano la Biblioteca Colombina voluta da Fernando – un investimento enorme di denaro che nessuno aveva osato prima – ripercorre le rotte intellettuali di quest’uomo, cresciuto nel culto e nell’adorazione del padre, che a partire dalla sua permanenza alla raffinata corte spagnola e passando per le esplorazioni che condusse col genitore (nel quarto viaggio nelle Americhe) intuì che era necessario un sistema nuovo per catalogare il sapere.
Fernando pensò di superare il canone librario pensato da Tommaso Parentucelli, ovvero Papa Niccolò V. Allargò la sua biblioteca ben oltre lo spazio dei testi classici od ecclesiastici. Divenne a esempio uno dei più grandi collezionisti di stampe. Inventò nuovi sistemi di catalogazione e di disposizione dei libri. Mentre lavorava a questo ambiziosissimo progetto prese contatto con un enorme numero di intellettuali e viaggiatori, dal grande umanista Pietro Martire sino ad Amerigo Vespucci, passando dai più rinomati cartografi che strappò al Portogallo per metterli al servizio della corona spagnola (fu un lavoro a metà tra l’intelligence spionistica, la corruzione e il corteggiamento culturale). Questo senza contare la sua costante corrispondenza con Albrecht Dürer, Erasmo da Rotterdam, Aldo Manuzio. Animato dal sogno rinascimentale, mutuato dalla cabala e condiviso con Pico della Mirandola, che l’uomo controllando le parole potesse diventare padrone dell’universo, si dedicò ai dizionari, allo stendere elenchi di qualunque tipo. Aveva visto il padre sconfitto dal caos del nuovo mondo, lui il caos cercò di governarlo in ogni modo. In pratica, quello che secoli dopo Borges ha sognato nella Biblioteca di Babele Fernando Colombo ha cercato di realizzarlo a Siviglia con la più vasta biblioteca privata della sua epoca. La prima con una vera mappa interna per aiutare gli studiosi. Dopo la sua morte però, nonostante un consistente lascito il progetto, forse davvero troppo avanti per i tempi è lentamente affondato. Oggi sopravvivono solo quattromila volumi e l’ordine originario è naufragato. Ma il sogno, forse addirittura più grande di quello di Colombo padre, resta. Oggi che il sapere è tutto in rete e sempre meno catalogabile ci rendiamo conto di quanto fosse importante il tentativo di Fernando. Ma tra la biblioteca perfetta e Babele, per il momento, ha vinto Babele.