17 gennaio 2019
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Biografia di Kevin Costner
Kevin Costner (Kevin Michael C.), nato a Lynwood (California, Stati Uniti) il 18 gennaio 1955 (64 anni). Attore. Regista. Produttore. Musicista. Due premi Oscar, al miglior film e al miglior regista, per Balla coi lupi, nel 1991. «Ho imparato ad accettare successi e fallimenti come parte di un unico insieme, che è la vita. Chi non sperimenta non sbaglia mai. Nel cinema, chi fa un sequel, due sequel tre sequel, difficilmente trova ostacoli. Se avessi fatto Balla coi lupi 2 anziché Waterworld, mi sarebbe andata meglio. Ma perché continuare a fare le stesse cose? Solo per la paura di fallire? Allora, tanto varrebbe vendere hamburger» • Origini europee (soprattutto tedesche, ma anche britanniche e irlandesi); indimostrate, invece, le ascendenze cherokee abitualmente rivendicate dallo stesso attore • Figlio di un elettricista e di un’assistente sociale. «Sono cresciuto in una famiglia molto umile a Compton, un sobborgo di Los Angeles. Mio padre era venuto dalle campagne dell’Oklahoma: non avevano niente. Ha sposato mia mamma e ha lavorato duro tutta la vita. Seguiva me e mio fratello a ogni singola partita di baseball o evento scolastico. Io pensavo che il mio giardino fosse un regno fino a quando ho visto il giardino degli altri ragazzini. […] Non ero bravo al college, scrivevo poesie e canzoni, suonavo il piano, lavoravo fisicamente ogni giorno con mio padre, ma c’era una parte di me che voleva raccontare storie» (a Silvia Bizio). «Mio padre era un grande artigiano. Riparava qualsiasi cosa: il frigorifero, l’auto. Io […] ho fatto la mia parte: quando ero studente costruivo e montavo le intelaiature di legno delle case per cento dollari al giorno. Lo so fare ancora» (ad Alessandra Venezia). «Il piccolo Kevin scopre l’amore per il cinema […] quando, […] all’età di dieci anni, […] viene letteralmente fulminato da una sequenza in La conquista del West: un enorme gruppo di bisonti lanciati dai Sioux che distruggono tutto al loro passaggio. Un’immagine forte e indimenticabile. […] Quando il giovane Costner è in età da liceo, deve fare i conti con un temperamento molto timido e un profitto scolastico non proprio eccellente. Di contro, dimostra un discreto rendimento nelle sue pratiche sportive, dal basket al baseball, tale da ottenere riconoscimenti di merito da parte dell’istituto. Al termine del liceo, su suggerimento del padre, cui è molto legato, si iscrive ad Economia e commercio alla California State University e frequenta un corso di marketing senza troppo entusiasmo» (Patrizia Ferretti). «“Da ragazzo non sapevo cosa volevo fare nella vita, e a scuola mi ritrovavo sempre vicino a qualcuno che invece aveva le idee chiare ed era più bravo di me, tanto che quando studiavo economia e finanza ero il peggior studente di tutta la classe. Non capivo cosa facessi al college, ma i miei genitori mi avevano detto che quello sarebbe stato il posto giusto per trovare un lavoro. Anche nel corso serale di contabilità succedeva lo stesso: con me c’erano lavoratori, più grandi e motivati, ma io niente… Poi, un giorno, sul retro del giornale studentesco ho letto un annuncio per i provini di un’opera teatrale: in quel momento non ascoltavo l’insegnante, anzi dormivo in classe, ma appena l’ho visto mi sono svegliato. E per la prima volta qualcosa all’università mi interessava davvero. Questo è stato l’inizio: avevo 21 anni, ma il successo non è arrivato da mattino a sera. Ho impiegato otto anni per guadagnare il primo dollaro, ma poi, a 35 anni ho sentito il mio nome agli Oscar”. […] Cos’ha fatto negli otto anni senza un soldo? “Non ho mai dato scadenza alla carriera e al successo: ero innamorato del progetto che avevo sulla mia vita. Allora mi sono trasferito a Hollywood, dove non conoscevo nessuno, ho lasciato gli amici e ho dormito a Sunset Boulevard nella mia macchina, mentre i colleghi dell’università dicevano ‘povero Kevin’. Era imbarazzante. Non ero bravo a fare il cameriere o il barista, non me la cavavo in matematica: cosa avrei potuto fare? Ero disposto persino a portare fuori l’immondizia se fosse stato necessario, ma ad una condizione: doveva essere immondizia del cinema!”. […] “La mia famiglia, di soldi, ne aveva pochi. Nessuno faceva parte del mondo dello spettacolo, e per mio padre è stata dura accettare che volevo fare l’attore: non sapeva come aiutarmi”» (Giulia Imperiale). Costner attribuisce grande importanza, nel determinare la sua scelta di dedicarsi professionalmente alla recitazione, a un incontro fortuito con il grande Richard Burton. «Studiavo recitazione, sognavo di fare l’attore, ed ero in luna di miele a Puerto Vallarta con mia moglie di allora, Cindy. All’aeroporto, di ritorno a Los Angeles, incontrai Richard Burton, che era salito a bordo del nostro stesso aereo e aveva comprato tutti i posti intorno a lui per non avere nessuno vicino. Morivo dalla voglia di parlargli. Le storie sui rotocalchi in quei tempi raccontavano dei suoi problemi con le donne e con l’alcool, e mia madre mi diceva sempre che la vita degli attori era difficile, di starmene alla larga. Ma io amavo la recitazione. Così, con grande trepidazione, durante il volo mi alzai, mi accostai a lui e gli dissi: "Mr Burton, vorrei chiederle un consiglio". Lui avrebbe potuto mandarmi al diavolo, e invece mi disse: "Giovanotto, quando finisco di leggere il libro ti concederò un po’ del mio tempo". E io lo guardavo che finiva il libro, ma quando lo finì si mise a dormire: la mia chance era andata. Invece dopo pochi minuti si è girato e mi ha fatto cenno di avvicinarmi. Mi sono seduto vicino a lui, abbiamo parlato per 10 minuti. Non ho mai detto pubblicamente di cosa abbiamo parlato, ma ricordo che quando siamo atterrati, mentre io e Cindy aspettavamo l’autobus che ci avrebbe riportati a casa, un’enorme limousine si è fermata davanti a noi, lui si è affacciato al finestrino e mi ha detto: “Buona fortuna!” Mi rattrista non averlo più visto per dirgli che pure io ero diventato un attore di discreto successo». «Burton lo spinge a dedicarsi completamente alla carriera di attore. Così Costner si trasferisce a Los Angeles con la giovane moglie Cindy Silva, conosciuta al college. […] Per vivere fa un po’ di tutto, dal camionista alla guida dei tour alle ville dei divi, fino a diventare attrezzista ai Raleigh Movie Studios» (Francesco Gallo). «Ottiene qualche piccolo ruolo, fino a quando L. Kasdan gli affida la parte dell’amico scomparso in Il grande freddo (1983), che tuttavia viene tagliata in fase di montaggio. Due anni dopo Kasdan lo include nel cast di Silverado (1985) e quasi contemporaneamente K. Reynolds lo chiama per il suo lungometraggio d’esordio, Fandango (1985). Accolto con una certa freddezza negli Stati Uniti, il film ottiene un grande consenso alla Mostra di Venezia e segna per l’attore un successo personale che gli spiana la strada per ulteriori impegni di prestigio. La popolarità cresce con l’interpretazione di Gli intoccabili (1987), remake dell’omonimo serial tv trasportato sul grande schermo da B. De Palma. Si delinea così il profilo del suo personaggio: avventuroso, tenace, determinato, a volte cinico ma nel fondo sempre leale, spesso venato da un filo di tenerezza. […] Interpreta mediamente un paio di film all’anno, imprimendovi il segno di un’originalità mai rinchiusa in una tonalità monocorde: spiccano, tra gli altri, Robin Hood – Principe dei ladri (1991) di K. Reynolds, JFK – Un caso ancora aperto (1991) di O. Stone, Un mondo perfetto (1993) di C. Eastwood. Si misura nella regia con Balla coi lupi (1990), un western – di cui è anche produttore – che restituisce per la prima volta ai Pellerossa la lingua madre (i loro dialoghi sono sottotitolati) e che ottiene un grande successo al box office, vincendo ben sette Oscar. Ci riprova nel 1995 con Waterworld e poi con i western L’uomo del giorno dopo (1997) e Terra di confine (2003). Intensa e coinvolgente anche la sua interpretazione in Thirteen Days (2000) di R. Donaldson, che ricostruisce gli inquieti giorni della crisi russo-americana seguita al tentativo sovietico di installare missili strategici a Cuba» (Gianni Canova). In seguito Costner alternò, nelle vesti di attore, vari generi, dalle commedie sentimentali (Litigi d’amore, Vizi di famiglia) alle pellicole d’azione o thriller (The Guardian – Salvataggio in mare, Jack Ryan – L’iniziazione, 3 Days to Kill) fino ai film fantastici (L’uomo d’acciaio), senza tuttavia riscuotere grande successo. «Se la carriera di Kevin Costner […] è ripartita, è grazie alla miniserie Hatfields & McCoys, vincitrice di cinque Emmy Awards e un Golden Globe. […] In America è stato il programma più visto di History Channel, superando i 14 milioni di spettatori. […] Hatfields & McCoys […] è basata su una storia vera, quella della lunga faida tra le famiglie Hatfield e McCoy che prende il via dopo la Guerra di secessione (1861-1865). "Tornare nel West è stato molto importante – spiega Costner –. Andare in quei posti per me è come un’immersione nell’acqua santa". […] Esecuzioni, imboscate e incendi tra i boschi ai confini di Virginia e Kentucky sono le conseguenze dell’omicidio di Asa McCoy, nel 1865. I due ex compagni d’armi William Hatfield (Costner) e Randolph McCoy (Paxton) si giurano vendetta, e da allora, complici la disputa sulla proprietà di un maiale e la storia d’amore tra i rispettivi nipoti Johnse e Roseanna, inizia una lunga scia di morti che si conclude solo nel 1891, lasciando sul campo decine di giovani» (Bizio). Negli ultimi anni Costner è tornato ad apparire più spesso anche al cinema, sostenendo con particolare convinzione due film incentrati sul razzismo, Black or White (prodotto dallo stesso Costner) e Il diritto di contare. Da ultimo, ha preso parte al film biografico Molly’s Game (2017) di Aaron Sorkin e alla serie televisiva western Yellowstone, anch’essa prodotta da Costner. «Se c’è da fare un film in esterni, dove magari bisogna andare a cavallo, io certo non mi tiro indietro. Detto questo, il progetto in questione deve avere qualcosa in più, qualcosa di universale, che possa valicare i confini. È quello che mi ha convinto di Yellowstone, in cui i personaggi sono fittizi, ma lo stile di vita no. I cowboy sono ancora vivi e vegeti in America: il “ranching” è uno stile di vita ancora praticato, ed è fatto ancora principalmente in sella ad un cavallo, anche se alcuni grandi ranch ora affiancano anche elicotteri e fuoristrada. Sono vite e luoghi che mi attraggono, pezzi di Eden da cui è passata la storia americana: nella nostra valle, ad esempio, la spedizione di Lewis e Clark. Ma non basta dipingere una cartolina: ci vuole il dramma, e la nostra storia ruota attorno ad una famiglia disfunzionale, che dopo cinque generazioni di allevamento si trova a far fronte a pressioni politiche, urbanizzazione, speculatori che vogliono costruire l’ennesimo campo da golf… Poi la questione dei nativi, gli Indiani, che torna sempre, e in cui giustizia non è mai stata fatta» • «Costner ama l’America, la sua Storia, i suoi personaggi leggendari, i suoi paesaggi sterminati e solitari, il suo passato, il suo fascino, il suo terribile futuro. I film che ha diretto raccontano la guerra feroce e la pace possibile tra americani immigrati e americani nativi pellerossa (Balla coi lupi), l’eroismo quotidiano dei vecchi portatori di corrispondenza e la loro funzione sociale (The Postman), la lotta dei cow-boy contro i proprietari terrieri che vietavano il pascolo degli animali (Terra di confine). Nei film altrui ha interpretato spesso figure di coraggio e grandezza, allenatori sportivi (Bull Durham), magistrati irriducibili (JFK), funzionari pugnaci (Gli intoccabili), sceriffi del West (Wyatt Earp), eroi solitari di un mondo avvenire sommerso dalle acque (Waterworld)» (Lietta Tornabuoni). «Sono sempre stato interessato a una cosa: raccontare l’America, il mio Paese» (a Giovanna Grassi) • Nel 2007 ha fondato un gruppo di musica rock country, i Kevin Costner & Modern West, con cui ha realizzato quattro album, tenendo anche concerti in numerose località internazionali. «Ho cominciato a cantare in chiesa con mia madre. La passione per la musica, la devo decisamente a lei: mi ci portava spesso, e poi ricordo che mi costrinse a imparare a suonare il pianoforte. Fu un’esperienza disastrosa: ero pigro e passavo interi pomeriggi alla tastiera sognando di stare fuori a giocare con i miei compagni. Quando poi intrapresi la carriera cinematografica, cominciai proprio col musical: in America è una strada comunemente battuta dai giovani attori che vogliono esordire al cinema. Poi, da giovanotto, ho cantato in una rock-band, i Roving Boy. E, diversi anni dopo, eccomi qua: sono passato dal suonare in salotto a esibirmi davanti a ottomila persone. Ho scoperto con un certo stupore che alla gente la mia musica piaceva. E questo è davvero gratificante. […] I nostri brani hanno un background country e piaceranno molto agli "spiriti semplici". Il nostro repertorio musicale, che comprende brani originali scritti dalla band e altri da alcuni amici, racconta principalmente la nostra infanzia, una sorta di nostalgico “come eravamo” quando avevamo pochi soldi, tanta fantasia e una bicicletta per spostarci da un quartiere all’altro. Alcuni brani, poi, cantano i sentimenti: un amore da cercare o una verità da rivelare a chi ci ama, prima che sia troppo tardi». «Mi piace suonare dal vivo: c’è sempre un margine di sorpresa» • Oltre a essere produttore, partecipa a un’attività imprenditoriale legata al suo impegno in difesa dell’ambiente. «Risale a più di vent’anni fa il suo investimento in una società che fabbrica macchinari per ripulire gli oceani dalle "maree nere" degli incidenti petroliferi. Fu un lavoro pionieristico in cui lei collaborò con suo fratello Dan, scienziato ambientalista. Le vostre macchine furono adottate su vasta scala per ripulire i danni del disastro Deepwater Horizon, la macchia petrolifera della Bp nel Golfo del Messico. Continua a occuparsene? “Certo. La nostra società ora opera anche in Canada, Germania, Kuwait. E non si occupa solo di ripulire le maree nere: le nostre macchine purificano l’acqua in generale. Spesso dobbiamo sopperire con l’iniziativa privata perché le leggi in questo campo sono inadeguate. Non mi fermo mai: il mio interesse si estende all’alimentazione umana, come possiamo cambiarla per vivere meglio e al tempo stesso rispettare l’ambiente. So bene di non essere un esperto, quando si parla di queste cose non sono certo io il "cervello", però ho tempo e denaro da dedicare a queste cause, per aiutare chi ha le idee e le invenzioni giuste”» (Federico Rampini) • Sette figli da tre donne diverse: tre (due femmine e un maschio, nati tra il 1984 e il 1988) dalla prima moglie, uno (nato nel 1996) da una breve relazione intermedia, altri tre (due maschi e una femmina, nati tra il 2004 e il 2009) dalla seconda e attuale consorte. «Non ho nulla di cui rimproverarmi come padre. Sono sempre stato molto presente: la carriera e i film non mi hanno mai allontanato da loro. Li ho portati sui set, e continuo a portarceli». «Non gioco ai videogame, non so nemmeno come funzionino. Con tutti i miei figli pratichiamo sport. Facciamo immersioni nell’oceano e porto la famiglia in montagna, lasciando che sperimentino un modo diverso di vita. […] Quando vedo i miei figli alla tv, ai tablet, li sfido. I miei figli sanno che se vogliono giocare con me devono venire all’aperto, sul prato. E mettersi in gioco, lottare con il loro vecchio padre, che ancora si difende» (ad Arianna Finos). «Ultimamente non ho fatto troppi film perché non volevo trascurare i miei bambini. Non voglio perdere i grandi momenti di passaggio della loro vita. La differenza di età tra noi è troppo grande. Non ho paura della morte, ma, se potessi vedere realizzato un desiderio, vorrei fosse quello di essere ancora su questa terra nei prossimi 20 o 30 anni. Voglio stare con i miei figli per svelare loro i segreti dell’esistenza; voglio essere forte e in salute per loro. Io prego solo per questo» • «Ex repubblicano pentito (da giovane giocava a golf con Ronald Reagan); sostenitore di Obama, che appoggiò nella prima campagna elettorale del 2008» (Rampini). «Il razzismo è un grosso problema in America: stiamo pagando ancora il fatto di aver costruito il Paese sullo schiavismo. La bellezza del mondo è rappresentata dalla diversità. Le cose più belle che mi sono capitate nella vita coinvolgono persone che non parlavano la mia stessa lingua» • «Se nel cinema sei alto quasi un metro e novanta e sei di aspetto piacente, si pensa subito che sei sciocco, bello e fortunato. Io non credo di essere particolarmente intelligente, e su questo lavoro quotidianamente… Di certo, comunque, sono stato molto fortunato» • «Un amico aveva scritto Balla coi lupi. Nessuno voleva produrlo: io invece lo amavo, ma significava raccogliere fondi, così decisi di dirigerlo anche quando tre famosi registi mi ebbero dato svariati motivi per cui non avrebbe funzionato. E io dicevo: “Cosa faccio ora?”. Ho fatto come sempre nella vita: non mi disinnamoro mai di quello che amo». «Per me la gioia di fare cinema è quella di realizzare un film che nessuno prevede, che riesca a sorprendere. Quello che rischio è la popolarità, e non credo che la mia popolarità valga il prezzo di rinunciare al mio modo d’essere. E poi non mi vedo come una star, ma come un narratore» • «Cosa dice a quanti sono rimasti male nel vedere l’eroe di Balla coi lupi nella pubblicità di un tonno? "Non faccio pubblicità per fare soldi, ma per alimentare i miei sogni e poter fare le cose che più mi piacciono. Devo ringraziare l’azienda che mi ha ingaggiato: sono stato benissimo, e uso quei soldi per sviluppare tecnologie che ci aiutino nella difesa dell’ambiente oppure film sul razzismo o sui nativi americani che Hollywood si rifiuta di fare. Così se ne vanno i miei guadagni: fossi stato un uomo d’affari, oggi avrei un mucchio di soldi"» (Carlo Moretti) • «È l’attore che ha riverniciato la figura dell’eroe e rinverdito il sogno americano; è l’attore che sa andare a cavallo stringendo la bandiera Usa e tenere la Colt in mano» (Valerio Cappelli). «Ottimo attore, serio professionista che sin dalle prime apparizioni ha lasciato il segno di una preparazione artistica di prim’ordine unita ad un serio impegno politico. […] Attore sobrio, misurato, calibrato a tale punto da sembrare inespressivo, amatissimo dal pubblico, un po’ meno dai critici» (Enrico Lancia). «C’è chi dice che Kevin Costner “ha tutta la gamma delle espressioni, dalla A alla B”. La battuta è copiata da Lillian Hellman, il giudizio è ingeneroso» (Tornabuoni). «Complessiva assenza di doti di interprete, e una voce piatta e acuta che per fortuna gli spettatori italiani non conoscono» (Irene Bignardi) • «Sul fronte delle memorie, il momento migliore della sua carriera non è stato il palco degli Oscar, per le sette statuette conquistate per Balla coi lupi. “La felicità pura è stata quando cui fui ingaggiato per Il grande freddo. Capivo che la mia carriera stava prendendo la direzione giusta. Quando le mie scene sono state tagliate, la gente era stupita che non fossi arrabbiato. Certo, avrei voluto esserci, ma sapevo, prima ancora che quel film arrivasse in sala, che mi ero incamminato per la strada giusta. Non molti hanno la capacità di percepire le cose buone della vita. I miei ricordi felici sono legati all’inizio della carriera: le piccole cose che mi eccitavano, quando ho iniziato a fare progressi”» (Finos) • «Io non sono uno di quegli attori cerebrali, con l’angoscia decadente dell’artista. Io sono un lavoratore, un pragmatico, uno che lotta per la sopravvivenza» (Bizio). «Comprendo pienamente l’arco della mia vita, e sono consapevole che sto vivendo la seconda metà della mia esistenza. Ho avuto cose che non avrei mai immaginato. Ero un ragazzino con dei sogni, e il cinema li ha esauditi tutti: grazie ai film ho potuto essere chiunque. Ho avuto dei figli, li ho visti crescere, li ho visti innamorarsi, sono stato accanto a loro nei momenti più duri. Ho avuto una vita piena». «La vita mi ha trattato così bene… E, no, in pensione non ci vado».