Corriere della Sera, 16 gennaio 2019
Scordatevi John Wayne, dicono gli psicologi statunitensi
«Un uomo deve fare quel che un uomo deve fare», diceva. E ancora: «Mai chiedere scusa, mai dare spiegazioni: sono segni di debolezza». Per decenni John Wayne – o meglio: l’immagine del cowboy senza ombre, rappresentata dall’attore in decine di film – è stato il modello maschile per eccellenza. Poche parole. Nessuna concessione ai sentimenti. Sopportazione stoica del dolore. Esaltazione di forza, rischio, aggressività: e certezza di essere nel giusto.
Per questo fa rumore che l’American Psychological Association, la più grande associazione di psicologi statunitense, faccia proprio il nome della star nell’articolo con cui rende pubbliche le sue prime linee guida (in 126 anni di storia) per la pratica terapeutica nei confronti di uomini e bambini. E lo faccia per dire che quell’immagine di uomo – la «visione tradizionale della mascolinità» – è «psicologicamente dannosa»: «Educare i ragazzi a non dare voce alle loro emozioni causa danni, dentro e fuori di loro».
Il documento, scritto per un pubblico di addetti ai lavori, è diventato virale negli Usa: anche a causa del dibattito – acceso – che ha scatenato. La partenza è legata a una serie di dati: in America, gli uomini commettono il 90% degli omicidi, si suicidano con tassi tre volte e mezzo più alti rispetto alle donne; evitano con maggiore frequenza di fare prevenzione e sono più soli delle donne, con il passare dell’età. Tutto questo, secondo i ricercatori, ha a che fare con la cultura che informa l’idea di mascolinità: «Vieni educato a fare da solo, e a tenere per te ogni segnale che le cose non siano sotto controllo», spiega Frederic Rabinowitz, uno degli autori. «Se non lo fai, pensi di essere sbagliato. E solo, e debole». Il problema, prosegue Rabinowitz, può peggiorare con la pensione, quando «chi si identificava come lavoratore di successo rischia di essere vulnerabile». «Certo, ci sono momenti nei quali è necessario essere forti e tenere duro», spiega Ryon McDermott, un altro autore. «Ma se ti convinci che, se non ce la fai, il tuo valore come persona diminuisce, è un guaio».
L’obiettivo delle nuove linee guida è quello di modificare un approccio radicato: per questo le critiche sono state aspre, specie dagli ambienti della destra americana. David French, sulla National Review, si chiede se quello in atto non sia un tentativo di «sopprimere nei ragazzi la loro natura profonda» e di scardinare un modello «positivo, quello del “maschio adulto”». «Non bisogna fare confusione», spiega al Corriere Luigi Zoja, psicoanalista e autore di testi fondamentali come Il gesto di Ettore. «Educare a non lamentarsi non è negativo, anzi: è una questione etica. Lo stesso vale per il farsi carico dell’altro, per il tentativo di dover essere responsabili. È sbagliato “rincorrere John Wayne”: come lo è cercare di aderire a un modello rigido. Creare in famiglia spazi perché un figlio possa parlare delle proprie fatiche e sofferenze, è fondamentale». Ed è da lì che, spiega McDermott, può partire una rivoluzione: «Perché se possiamo cambiare gli uomini, possiamo cambiare il mondo».