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 2019  gennaio 16 Mercoledì calendario

Oltre 700 mila film e dvd online: in Italia la centrale dei pirati

Un minuto di pazienza e il sito, chiamiamolo per semplicità «civetta», ti spedisce, attraverso uno stargate digitale, su un mastodontico server in California, una sorta di grotta dei Quaranta ladroni. Sembra il copione rovesciato di un film, poiché i pirati storici stavano dal lato opposto degli attuali Stati Uniti, giù nei Caraibi. Però non è una fiction e i pirati sono autentici, anche se digitali. La scelta del luogo è dettata dalla tecnologia, dalla banda necessaria per gestire un immenso parco clienti, 8 milioni di utenti in giro per il mondo, e 793.432 prodotti da commercializzare illegalmente (al 1 gennaio 2019).
Tra questi, oltre 100 mila sono film presenti nei portafogli delle case di produzione. Spesso anticipano la proiezione nelle sale, come nel caso di Bumblebee, Il ritorno di Mary Poppins o Glass. Tutte le puntate de L’amica geniale erano disponibili due giorni dopo la trasmissione della prima. Per il resto, si tratta di centinaia di migliaia di prodotti tv, libri, giornali, musica, giochi, applicazioni, software... Il libro del collega Massimo Franco, C’era una volta Andreotti, pubblicato dalla casa editrice Solferino, domenica scorsa, pochi giorni dopo l’uscita in libreria, era stato scaricato illegalmente alcune centinaia di volte.
L’abbonamento è di 9,99 euro al mese ma in alcuni periodi si possono avere sconti. Non stiamo parlando di siti pirata allestiti da «sottoscalisti» che vanno al cinema e registrano con il telefonino il film non ancora in dvd, ma di formati in alta definizione, con la possibilità, da parte dei «clienti», di avere copia del master delle opere cinematografiche in Dvd, Bluray e nel nuovo formato 4K in tutte le lingue in commercio.
Una simile attività illegale sembrerebbe possibile solo grazie alla violazione dei sistemi informatici su quegli stessi computer utilizzati per la stampa dei supporti digitali. L’alternativa comporterebbe l’acquisto di 90 mila Dvd, oltre 15 mila Bluray e 4K e la loro conversione in tutti i formati digitali esistenti nel mondo. Se anche così fosse, rimane il dubbio: come sono stati reperiti i film prima che venissero messi in commercio?
Questa che raccontiamo è solo la parte emergente dell’iceberg scoperto da uno studio di consulenza paralegale statunitense in collaborazione con un esperto informatico specializzato in investigazioni private, noto nell’ambiente come «Emme», assistiti in Italia dallo Studio legale Bernardini de Pace, nella persona del responsabile della sezione copyright, l’avvocato Luciano Faraone. La necessità di avere un referente legale in Italia non è casuale, perché una grande fetta del business criminale, sparso per l’orbe terracqueo, ha paternità italiana.
Negli ultimi anni la polizia postale ha oscurato decine di siti pirata non riuscendo a scalfire il business. Certo, la fonte di tutto non è in Italia. Negli ultimi mesi di indagine, gli investigatori privati americani hanno constatato come 50 siti, apparentemente non connessi tra loro, in realtà fanno tutti riferimento allo stesso gruppo criminale: una volta acquistato un abbonamento per il download illimitato dei contenuti, l’utente viene spedito sugli stessi gruppi di server in California, dove è gestito il 40% di tutta la pirateria mondiale.
Ieri abbiamo chiamato il customer service di uno di questi siti «civetta» chiedendo di aiutarci a fare l’abbonamento. Un’addetta, gentile e anche spiritosa («Non mi dica la sua password: va bene fidarsi, ma non si sa mai!») ci ha guidato passo dopo passo nell’abbonamento. Lo abbiamo fatto pagando con Postepay, immediatamente dopo abbiamo ricevuto l’email di conferma con tutte le indicazioni e anche il ringraziamento di «Valentino».
Pagare è facilissimo: si può fare con carte di credito, PayPal, bonifici, money transfer e altri sistemi specifici a seconda della nazione interessata, in Italia Sisal e tabaccherie. Un servizio accurato garantito in 18 Paesi nel mondo.
Tutto molto semplice dunque, un crimine facile da stroncare. E invece no. La notte del 7 gennaio 2019 la Commissione Europea ha pubblicato la Counterfeit and Piracy Watch List, datata 7 dicembre 2018, dove a pag. 21 si fa esplicitamente riferimento alla società californiana CloudFlare che ospita il «tesoro» dei pirati. L’immediata reazione è stata di spostare le «pagine civetta» dagli Usa su server russi. Con un po’ di superficialità, a dire il vero, dovuta all’impunità goduta in tutti questi anni, in cui si è arrivati a illustrare, con video pubblicati su YouTube, come cambiare il settaggio dei propri computer, così da rendere inutile ogni tentativo di fermare la pirateria.
Sulla homepage della CloudFlare si invita a segnalare se attraverso quel server qualcuno sta violando la legge sul copyright, la Dmca (Digital Millennium Copyright Act). Eppure i server pirata ancora ieri navigavano a gonfie vele, nonostante non un privato ma addirittura la Commissione Europea avesse indicato quell’indirizzo come «luogo del delitto».
Forse, viene da pensare, a nessuno è venuto in mente di compilare il modulo necessario. Così, venerdì scorso, un dossier di oltre 1.400 pagine, con tutte le prove delle violazioni ricostruite da «Emme» e dai legali americani e italiani, è stato inviato al Dipartimento di Giustizia statunitense, che accerterà gli eventuali illeciti, chiamando in causa il Dipartimento per i crimini informatici, quello per la violazione della proprietà intellettuale, quello per la tutela dei minori (infatti non è richiesta l’età per abbonarsi a un’infinità di film pornografici), includendo le prove di evasione fiscale e dimostrando che gli introiti illegali ammontano a circa 800 milioni di euro l’anno.
Lunedì scorso, poi, non riuscendo a contattare direttamente il proprietario della CloudFlare, gli investigatori privati hanno sollecitato, con una email in cui sono dettagliate tutte le violazioni, due suoi investitori perché convincano il proprietario della CloudFlare a staccare i server. Il rischio è che i pirati riescano a spostare il materiale prima dell’intervento della polizia. E ora, mentre stiamo scrivendo, lo studio Bernardini de Pace e i legali statunitensi stanno avviando una colossale Class Action per far bloccare i fondi provenienti dalla pirateria e redistribuirli tra i legali aventi diritto.